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      La proprietà intellettuale è un furto!   Partiamo da una considerazione: gli artisti devono ricevere un giusto corrispettivo per il loro lavoro. Questa semplice e ineccepibile affermazione è la base della legittimità dell’esistenza dei diritti d’autore (copyrights). Ma qual è la situazione realmente? Quanti artisti sono concretamente tutelati e in che modo? E il concetto di proprietà intellettuale e così ovvio? Innanzitutto facciamo un tuffo nella realtà, senza
      il quale i discorsi rimangono sempre troppo astratti per essere
      “veri”.Oggi la produzione-distribuzione delle forme
      culturali-artistiche non avviene tra singoli, ma per il tramite di grandi
      aziende culturali e dell’informazione che con i loro cavi e satelliti
      coprono l’intero pianeta.Questo enorme apparato tecnologico dà profitto
      solo se si possiede il contenuto, di cui il copyright costituisce la forma
      legale di proprietà.
      Attualmente nel settore della
      cultura stanno avvenendo una serie di fusioni, come quella di Aol e Time
      Warner. Tutto questo rischia di far sì che, nel prossimo futuro, sia solo
      un gruppetto di poche compagnie a disporre dei diritti di proprietà
      intellettuale su quasi tutta la creazione artistica, passata e presente.
      Il modello è Bill Gates e la sua società Corbis, proprietari dei diritti
      di 65 milioni di immagini in tutto il mondo. Il concetto di diritto
      d'autore diventa così uno strumento di controllo del bene comune
      intellettuale e creativo, nelle mani di un ristretto numero di imprese.
      Non si tratta solo di abuso che sarebbe facile individuare. L'antropologa
      canadese Rosemary Coombe, specialista in diritti d'autore, osserva che «nella
      cultura consumistica, la maggior parte di immagini, testi, etichette,
      marchi, logo, disegni, arie musicali e anche colori sono governati, se non
      controllati, dal regime di proprietà intellettuale.» Le conseguenze di
      questo controllo monopolistico sono potenzialmente spaventose. I pochi
      gruppi dominanti dell'industria culturale promuovono la produzione,
      trasmettono e diffondono solo le opere artistiche o di intrattenimento di
      cui detengono i diritti. Si
      concentrano sulla promozione di alcuni artisti che devono diventare le
      “star”, sulle quali investono fortemente. Per ridurre al minimo i
      rischi dell’investimento e aumentare i margini di profitto, la pubblicità-marketing
      rivolta su ognuno di noi è così aggressiva (le cifre investite in questo
      settore si contano in centinaia di milioni di dollari) che tutte le altre
      creazioni sono eliminate dal panorama culturale di molti popoli. Tutto ciò
      a scapito della diversità delle espressioni artistiche, di cui abbiamo
      disperatamente bisogno in una prospettiva democratica.  Si assiste anche ad una
      proliferazione di norme legali su tutto ciò che riguarda la creazione. Le
      società che comprano l'insieme dei diritti, li proteggono con regole
      molto dettagliate e fanno difendere i loro interessi da avvocati altamente
      qualificati. Improvvisamente, l'artista deve fare attenzione a che queste
      società non gli rubino il lavoro. Per difendersi è costretto ad assumere
      a sua volta degli avvocati, anche se i suoi mezzi economici sono molto più
      limitati.  Inoltre il sistema sfavorisce
      gravemente il sud del mondo. Come spiega l'universitario James Boyle, per
      acquisire il diritto di proprietà intellettuale un artista deve essere
      affermato. «Questa esigenza favorisce in maniera sproporzionata i paesi
      sviluppati. Così curaro, batik, miti e il ballo lambada volano via dai
      paesi in via di sviluppo senza alcuna protezione, mentre il Prozac, i
      pantaloni Levi's, i romanzi di John Grisham e Lambada, il film, vi
      ritornano protetti da un insieme di leggi sulla proprietà intellettuale». Inoltre questo sistema di
      proprietà, che costituisce la fortuna delle grandi compagnie, si scontra
      con l’uso “altro”, democratico, orizzontale che si può fare delle
      nuove tecnologie: i computer, la “masterizzazione”, gli Mp3, internet,
      Napster e dintorni. Questi nuovi mezzi permettono agli artisti di creare
      utilizzando materiali provenienti da ogni corrente artistica, presente e
      passata, e da ogni parte del mondo. In questo, sia chiaro, non fanno nulla
      di nuovo rispetto  ai loro predecessori: da Bach a Shakespeare a Bob Dylan a
      migliaia d’altri. Si può forse anche solo immaginare un’opera, un
      poema, una canzone che non si nutra dei precedenti? È sempre stato
      normale utilizzare idee e parte del lavoro dei precursori. Altra cosa è
      il plagio.
      Su questo
      fenomeno, Jacques Soulillou sviluppa un interessante commento teorico: «La
      ragione per la quale è difficile produrre la prova di plagio nel campo
      dell'arte e della letteratura sta nel fatto che non basta soltanto
      dimostrare che B si è inspirato ad A, senza citare eventualmente le sue
      fonti, ma bisogna anche provare che A non si è ispirato a nessuno. Il
      plagio suppone infatti che la regressione di B verso A si esaurisca lì.»
       D’altra parte tutto ciò
      che è produzione  immateriale,
      cultura come fa ad essere proprietà privata di qualcuno quando la cultura
      per sua natura, e oggi nella società dell’informazione più che mai, è
      intreccio, comunicazione, insieme di relazioni, ibridazioni, meticciati,
      linguaggi, ecc? Come faccio a dire questo pensiero è solo mio, quando è
      frutto comunque dell’insieme del dialogo costante con ciò che mi
      circonda e nel quale sono immerso? Potremmo fare un esempio
      relativo alla pubblicità: consideriamo una campagna pubblicitaria che usa
      una musica hip-hop come tema d’ambientazione. E’ davvero possibile
      collocare la fonte di tale creatività nel responsabile pubblicitario e
      misurarla nei termini del  tempo
      di lavoro speso stando dietro alla sua scrivania, quando magari l’idea
      di fatto si basa su un rap ascoltato la sera prima casualmente in un
      locale? E non sarebbe altrettanto assurdo pretendere di localizzare la
      produzione nell’artista rap che suona nel locale, visto che quella
      musica si è sviluppata in linguaggi, comportamenti e suoni che hanno
      permeato il mondo? Con onestà dobbiamo concludere che l’atto di
      produzione immateriale è sempre e immediatamente collettivo e sociale, di
      conseguenza mai “privato”, ma pubblico e “comune” . L’unica altra
      giustificazione “forte” dei diritti d’autore è quella secondo la
      quale senza la gara per diventare miliardario non ci sarebbe spirito di
      creatività. Ma abbiano bisogno di un sistema di proprietà intellettuale
      per promuovere creatività? Assolutamente no!
      La
      nostra esperienza quotidiana è più che sufficiente a dimostrare
      l’infondatezza e l’ipocrisia di tale affermazione. Non solo ma un
      numero sempre maggiore di economisti, dati alla mano, dimostra che
      l'espandersi dei diritti d'autore favorisce più chi investe che chi crea
      e interpreta. Di fatto il 90% del reddito ottenuto a questo titolo va al
      10% degli artisti. L'economista
      britannico Martin Kretschmers conclude che «la retorica dei diritti
      d'autore è stata ingigantita essenzialmente da un terzo partner: Gli
      editori e le case discografiche, cioè da coloro che investono in
      creatività (più che dagli artisti).» Infine,
      abolito il sistema copyright, si potrebbe tassare chi fa ricorso a
      musiche, immagini, disegni, testi, film, coreografie, pittura, multimedia
      a scopo commerciale creando un fondo pubblico, autogestito dal basso, per
      promuovere l’ulteriore sviluppo della cultura e di tutte le forme
      artistiche. Tornando
      alle domande da cui eravamo partiti possiamo concludere che il copyright
      garantisce realmente solo le grandi industrie della cultura e dello
      spettacolo e i pochi artisti sui quali essi puntano, tagliando le gambe
      alla stragrande maggioranza degli altri. Inoltre bisogna sottolineare come
      la legittimità stessa della proprietà privata intellettuale vada messa
      in discussione. L’abolizione
      dei diritti d’autore,  connessa
      ad altre misure della liberazione sociale quali la riduzione generalizzata
      e radicale dell’orario di lavoro e il reddito garantito, permetterà la
      creazione di un nuovo sistema che garantisca al complesso degli artisti
      migliori redditi e molte più   R.U.K.O.L.A. bread and roses   p.s.: se ne condividete il
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      soprattutto … dite che è opera vostra!   | 
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