Possiamo chiamarli "immigrati clandestini",
"stranieri in situazione irregolare" o semplicemente "sans papiers":
non cambia nulla, queste persone hanno in comune il fatto di essere qui e di dover,
per sopravvivere, ricorrere ad espedienti precari. Alcuni hanno liberamente scelto
il suolo francese. Altri sono venuti sotto la minaccia di persecuzioni, o perché
la vita lì era senza futuro, oppure per raggiungere coloro che avevano fatto
prima di loro questa scelta. Da vent'anni a questa parte le autorità e la
legislazione hanno moltiplicato le difficoltà per la loro entrata e per il
loro soggiorno. Senza grandi successi, visto che sappiamo benissimo che la forza
che li attrae qua è superiore ai mezzi impiegati per allontanarli. Così,
le leggi xenofobe risultano più efficaci nell'indebolire tutti gli stranieri
(anche quelli che sono in regola) che nel frenare l'immigrazione. E soprattutto
nell'arricchire gli imprenditori del lavoro nero: per questi ultimi, leggi del genere
costituiscono un vero colpo di fortuna.
Tutti gli irregolari hanno due caratteristiche comuni: la prima è che non possono o non desiderano andarsene; la seconda è che sono messi in una situazione di fragilità economica determinata dal fatto che la legge rifiuta loro ogni inserimento contrattuale nel mondo del lavoro. Le condizioni sono quindi riunite perché gli irregolari accettino qualsiasi cosa pur di ottenere qualche risorsa.
Come si organizza questa sopravvivenza?
Sostanzialmente
attorno a due poli (non esclusivi, ovviamente):
PRIMA RISORSA: IL LAVORO NERO
Contrariamente a ciò che alcuni affermano, il lavoro
nero non è la prerogativa degli immigrati clandestini, che sono comunque
abbastanza pochi nell'economia francese; a questo proposito circolano i dati i più
fantasiosi, però sembra che effettivamente non superino i 100.000.
Ma
nonostante questo dato di fatto, rimane una tenace equazione, accuratamente veicolata
dal potere e dai media, "stranieri clandestini = lavoro clandestino".
Una cosa è certa: per lavorare, gli stranieri senza permesso di soggiorno
non hanno come altra soluzione che il lavoro non dichiarato. Dal '91, i rifugiati
non hanno più automaticamente il permesso di lavoro durante il periodo di
esame del loro dossier.
Questo limite ipocrita è rivelatore visto che
uno che chiede l'asilo politico non ha nessuna intenzione di lasciare il paese prima
di aver ricevuto il risultato della sua domanda, e quindi è quasi dichiarato
ufficialmente l'invito a cercarsi un lavoro illegale.
Nella pratica non solo i sans papiers, bensì tutti
gli immigrati, costituiscono una preda favorevole per gli imprenditori di certi settori
di attività che sono molto coscienti del fatto che gli stipendi e le condizioni
di lavoro proposte sembreranno sempre migliori di quelle offerte nel loro paese
di origine. Questi settori sono conosciuti da tutti: per primo il settore dell'edilizia,
poi l'industria alberghiera e della ristorazione, la confezione, l'agricoltura,
le imprese di pulizia, i colf, le imprese specializzate nel volantinaggio.
[...]
Dall'inizio dell'entrata in vigore delle leggi repressive,
un numero crescente di immigrati si ritrova in situazione di precarietà.
Risultato:
sono consapevolmente orientati sul mercato del lavoro clandestino e persino su quello
delle attività delittuose.
[...]
È così che il rapporto di forza fra offerta
e domanda di lavoro si modifica, con la benedizione delle leggi, in funzione del
profitto degli imprenditori del lavoro illegale. L'ideologia di questi ultimi è
paradossale: da un lato, non sono di solito xenofobi (il che non significa che alcuni
non siano razzisti) e lasciano ai politici il compito di vociferare contro "l'invasione
straniera"; dall'altro lato, le misure contro gli stranieri gli sono favorevoli
perché, se non lo fossero, il lavoratore immigrato diventerebbe forse più
esigente, almeno è quello che pensano questi imprenditori. I padroni non
hanno anima: in quanto capitalisti, prendono la manodopera dove sarà possibile
ottenere, avendo la certezza del profitto, il migliore rapporto produttività-
costo. Quindi ci sarà sempre manodopera sufficiente, anche se per diversi
motivi non tutti sono sempre disposti, per gestire un mercato crescente del lavoro
nero. Le leggi repressive contro il lavoro clandestino hanno effetti dissuasivi
però permettono anche all'imprenditore che impiega i clandestini di fare pressione
su di loro. Infatti, il padrone usa il fatto che sta assumendo dei rischi per imporre
qualsiasi condizione di lavoro ai lavoratori in nero, non potendo questi ricorrere
ad un'assistenza legale, e soprattutto non avendo alcuna sicurezza del lavoro.
Possiamo
inoltre verificare che, nei settori in cui si usa tantissimo la manodopera clandestina,
l'"assunzione" non si fa più a livello di grande impresa bensì
al livello di quella più piccola.
Per esempio, nel settore dell'edilizia,
le grosse società mantengono il minimo di dipendenti e appaltano i lavori
ad una moltitudine di piccole imprese, le quale ricorrono al lavoro nero nelle sue
forme più diverse (dipendente non dichiarato, prestito di manodopera fra
le diverse società, falsi contratti di lavoro interinale, falsi lavoratori
autonomi, ...). Ritroviamo lo stesso meccanismo nel settore della confezione, in
cui i "fabbricanti" (cioè le società che mettono la loro
firma e commercializzano i vestiti) affidano la produzione a contoterzisti. In questi
due casi, questa esteriorizzazione si traduce da una evoluzione dell'economia verso
la precarietà, di cui l'ultimo livello è l'impiego di lavoratori senza
diritti.
I sans papiers sono quindi la prima linea di un movimento
generale verso la "flessibilizzazione" (o ancora "precarizzazione")
del lavoro. Non sono, come d'altronde gli immigrati in generale, responsabili della
disoccupazione come afferma la classe politica: sono gli attori forzati di una sapiente
utilizzazione della disoccupazione per far crescere un'infinità di situazioni
precarie che, se ci pensiamo un po', minacciano l'intera popolazione.
Il padronato
ne trae un grandissimo profitto, grazie particolarmente alla loro precarietà
giuridica: privi di diritti, sono frequentemente legati a reti comunitarie, in cui
lo sfruttamento si nasconde sotto il profilo della solidarietà. Di fronte
al nemico comune che è rappresentato dallo Stato, l'imprenditore può
fare credere al suo "dipendente" che lo sta proteggendo e che gli sta
facendo un favore. Questo discorso paternalista è doppiamente alimentato dall'esclusione
giuridica dei lavoratori e dalla crisi economica.
LA DIPENDENZA: QUANDO LO STATO SPINGE AL DELITTO
Ma non tutti appartengono a delle reti. Tanti immigrati dei
collettivi di sans papiers si sono ritrovati progressivamente in una situazione
d'isolamento e di indigenza finanziaria, spesso dopo la perdita di un lavoro a causa
del mancato rinnovo del permesso di soggiorno provvisorio. Queste traiettorie prendono
la forma di un spirale discendente in cui tutte le difficoltà si accumulano.
Esempi: i controlli di polizia impediscono il loro spostamento per cercare un lavoro;
contemporaneamente nell'impossibilità di pagare le bollette, il telefono
viene tagliato e il rischio di sfratto diventa reale; la scuola rifiuta di iscrivere
i bambini al dopo scuola (per averne il diritto bisogna dimostrare di avere un contratto
di lavoro), il che aumenta il rischio per il lavoratore in nero di perdere il posto
perché non può più rispettare gli orari; senza copertura sociale
e quindi medica, il più piccolo problema di salute diventa una catastrofe.
[...]
Più i debiti si accumulano, più la chiusura
nella dipendenza si consolida. Ciò comporta grossi rischi ai quali le autorità
sembrano insensibili: per fare fronte alle scadenze a volte l'ultima possibilità
è la delinquenza. Il mercato dei documenti falsi è florido. I loro
acquirenti, per assumerne il costo, sono tentati di fare "colpi" e di
rendersi quindi ancora di più dipendenti dalle reti di attività illegali.
Diventa facile allora per i politici denunciare questa illegalità e chiedere
una più forte repressione. Ciò marginalizzerà sempre più
i sans papiers, e così via.
Lo Stato fa un gioco pericoloso e cinico perché
sa benissimo, primo, che non riuscirà mai a cacciare fuori tutti i "clandestini";
secondo, che l'economia ne ha bisogno.
Ma la sottomissione ha il suo rovescio della medaglia, come
hanno dimostrato i movimenti di sans papiers del '96 la cui ampiezza e determinazione
hanno sorpreso tutti. Questi movimenti si caratterizzano prima di tutto per la riconquista
di una dignità e di una indipendenza, soprattutto verso le associazioni specializzate
nella difesa degli immigrati, che hanno la vecchia abitudine di tenerli nella passività.
Si può ragionevolmente pensare che l'intransigenza del governo di fronte
alla rivendicazione di una regolarizzazione collettiva non sia dettata dallo scopo
confessato. Ufficialmente, è per mandare un "segnale forte" verso
i paesi di forte migrazione, perché si sappia che è inutile e doloroso
intraprendere un viaggio verso la Francia. Ma c'è forse un obiettivo più
fondamentale: impedire ai sans papiers, e con loro a tutti i titolari di documenti
precari di costituirsi in forza politica autonoma.
Perciò la discussione
sul loro posto particolare nell'economia, appena accennato in questo documento,
è un imperativo di questo movimento.
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