SITUAZIONE GIURIDICA PRECARIA, LAVORO PRECARIO

Alain Morice, CNRS - Centre d'études africaines (CNR Centro studi africani)

 
Possiamo chiamarli "immigrati clandestini", "stranieri in situazione irregolare" o semplicemente "sans papiers": non cambia nulla, queste persone hanno in comune il fatto di essere qui e di dover, per sopravvivere, ricorrere ad espedienti precari. Alcuni hanno liberamente scelto il suolo francese. Altri sono venuti sotto la minaccia di persecuzioni, o perché la vita lì era senza futuro, oppure per raggiungere coloro che avevano fatto prima di loro questa scelta. Da vent'anni a questa parte le autorità e la legislazione hanno moltiplicato le difficoltà per la loro entrata e per il loro soggiorno. Senza grandi successi, visto che sappiamo benissimo che la forza che li attrae qua è superiore ai mezzi impiegati per allontanarli. Così, le leggi xenofobe risultano più efficaci nell'indebolire tutti gli stranieri (anche quelli che sono in regola) che nel frenare l'immigrazione. E soprattutto nell'arricchire gli imprenditori del lavoro nero: per questi ultimi, leggi del genere costituiscono un vero colpo di fortuna.

Tutti gli irregolari hanno due caratteristiche comuni: la prima è che non possono o non desiderano andarsene; la seconda è che sono messi in una situazione di fragilità economica determinata dal fatto che la legge rifiuta loro ogni inserimento contrattuale nel mondo del lavoro. Le condizioni sono quindi riunite perché gli irregolari accettino qualsiasi cosa pur di ottenere qualche risorsa.

Come si organizza questa sopravvivenza?
Sostanzialmente attorno a due poli (non esclusivi, ovviamente):

 

PRIMA RISORSA: IL LAVORO NERO

Contrariamente a ciò che alcuni affermano, il lavoro nero non è la prerogativa degli immigrati clandestini, che sono comunque abbastanza pochi nell'economia francese; a questo proposito circolano i dati i più fantasiosi, però sembra che effettivamente non superino i 100.000.
Ma nonostante questo dato di fatto, rimane una tenace equazione, accuratamente veicolata dal potere e dai media, "stranieri clandestini = lavoro clandestino". Una cosa è certa: per lavorare, gli stranieri senza permesso di soggiorno non hanno come altra soluzione che il lavoro non dichiarato. Dal '91, i rifugiati non hanno più automaticamente il permesso di lavoro durante il periodo di esame del loro dossier.
Questo limite ipocrita è rivelatore visto che uno che chiede l'asilo politico non ha nessuna intenzione di lasciare il paese prima di aver ricevuto il risultato della sua domanda, e quindi è quasi dichiarato ufficialmente l'invito a cercarsi un lavoro illegale.

Nella pratica non solo i sans papiers, bensì tutti gli immigrati, costituiscono una preda favorevole per gli imprenditori di certi settori di attività che sono molto coscienti del fatto che gli stipendi e le condizioni di lavoro proposte sembreranno sempre migliori di quelle offerte nel loro paese di origine. Questi settori sono conosciuti da tutti: per primo il settore dell'edilizia, poi l'industria alberghiera e della ristorazione, la confezione, l'agricoltura, le imprese di pulizia, i colf, le imprese specializzate nel volantinaggio.
[...]

Dall'inizio dell'entrata in vigore delle leggi repressive, un numero crescente di immigrati si ritrova in situazione di precarietà.
Risultato: sono consapevolmente orientati sul mercato del lavoro clandestino e persino su quello delle attività delittuose.
[...]

È così che il rapporto di forza fra offerta e domanda di lavoro si modifica, con la benedizione delle leggi, in funzione del profitto degli imprenditori del lavoro illegale. L'ideologia di questi ultimi è paradossale: da un lato, non sono di solito xenofobi (il che non significa che alcuni non siano razzisti) e lasciano ai politici il compito di vociferare contro "l'invasione straniera"; dall'altro lato, le misure contro gli stranieri gli sono favorevoli perché, se non lo fossero, il lavoratore immigrato diventerebbe forse più esigente, almeno è quello che pensano questi imprenditori. I padroni non hanno anima: in quanto capitalisti, prendono la manodopera dove sarà possibile ottenere, avendo la certezza del profitto, il migliore rapporto produttività- costo. Quindi ci sarà sempre manodopera sufficiente, anche se per diversi motivi non tutti sono sempre disposti, per gestire un mercato crescente del lavoro nero. Le leggi repressive contro il lavoro clandestino hanno effetti dissuasivi però permettono anche all'imprenditore che impiega i clandestini di fare pressione su di loro. Infatti, il padrone usa il fatto che sta assumendo dei rischi per imporre qualsiasi condizione di lavoro ai lavoratori in nero, non potendo questi ricorrere ad un'assistenza legale, e soprattutto non avendo alcuna sicurezza del lavoro.
Possiamo inoltre verificare che, nei settori in cui si usa tantissimo la manodopera clandestina, l'"assunzione" non si fa più a livello di grande impresa bensì al livello di quella più piccola.
Per esempio, nel settore dell'edilizia, le grosse società mantengono il minimo di dipendenti e appaltano i lavori ad una moltitudine di piccole imprese, le quale ricorrono al lavoro nero nelle sue forme più diverse (dipendente non dichiarato, prestito di manodopera fra le diverse società, falsi contratti di lavoro interinale, falsi lavoratori autonomi, ...). Ritroviamo lo stesso meccanismo nel settore della confezione, in cui i "fabbricanti" (cioè le società che mettono la loro firma e commercializzano i vestiti) affidano la produzione a contoterzisti. In questi due casi, questa esteriorizzazione si traduce da una evoluzione dell'economia verso la precarietà, di cui l'ultimo livello è l'impiego di lavoratori senza diritti.

I sans papiers sono quindi la prima linea di un movimento generale verso la "flessibilizzazione" (o ancora "precarizzazione") del lavoro. Non sono, come d'altronde gli immigrati in generale, responsabili della disoccupazione come afferma la classe politica: sono gli attori forzati di una sapiente utilizzazione della disoccupazione per far crescere un'infinità di situazioni precarie che, se ci pensiamo un po', minacciano l'intera popolazione.
Il padronato ne trae un grandissimo profitto, grazie particolarmente alla loro precarietà giuridica: privi di diritti, sono frequentemente legati a reti comunitarie, in cui lo sfruttamento si nasconde sotto il profilo della solidarietà. Di fronte al nemico comune che è rappresentato dallo Stato, l'imprenditore può fare credere al suo "dipendente" che lo sta proteggendo e che gli sta facendo un favore. Questo discorso paternalista è doppiamente alimentato dall'esclusione giuridica dei lavoratori e dalla crisi economica.

 

LA DIPENDENZA: QUANDO LO STATO SPINGE AL DELITTO

Ma non tutti appartengono a delle reti. Tanti immigrati dei collettivi di sans papiers si sono ritrovati progressivamente in una situazione d'isolamento e di indigenza finanziaria, spesso dopo la perdita di un lavoro a causa del mancato rinnovo del permesso di soggiorno provvisorio. Queste traiettorie prendono la forma di un spirale discendente in cui tutte le difficoltà si accumulano. Esempi: i controlli di polizia impediscono il loro spostamento per cercare un lavoro; contemporaneamente nell'impossibilità di pagare le bollette, il telefono viene tagliato e il rischio di sfratto diventa reale; la scuola rifiuta di iscrivere i bambini al dopo scuola (per averne il diritto bisogna dimostrare di avere un contratto di lavoro), il che aumenta il rischio per il lavoratore in nero di perdere il posto perché non può più rispettare gli orari; senza copertura sociale e quindi medica, il più piccolo problema di salute diventa una catastrofe.
[...]

Più i debiti si accumulano, più la chiusura nella dipendenza si consolida. Ciò comporta grossi rischi ai quali le autorità sembrano insensibili: per fare fronte alle scadenze a volte l'ultima possibilità è la delinquenza. Il mercato dei documenti falsi è florido. I loro acquirenti, per assumerne il costo, sono tentati di fare "colpi" e di rendersi quindi ancora di più dipendenti dalle reti di attività illegali. Diventa facile allora per i politici denunciare questa illegalità e chiedere una più forte repressione. Ciò marginalizzerà sempre più i sans papiers, e così via.
Lo Stato fa un gioco pericoloso e cinico perché sa benissimo, primo, che non riuscirà mai a cacciare fuori tutti i "clandestini"; secondo, che l'economia ne ha bisogno.

Ma la sottomissione ha il suo rovescio della medaglia, come hanno dimostrato i movimenti di sans papiers del '96 la cui ampiezza e determinazione hanno sorpreso tutti. Questi movimenti si caratterizzano prima di tutto per la riconquista di una dignità e di una indipendenza, soprattutto verso le associazioni specializzate nella difesa degli immigrati, che hanno la vecchia abitudine di tenerli nella passività. Si può ragionevolmente pensare che l'intransigenza del governo di fronte alla rivendicazione di una regolarizzazione collettiva non sia dettata dallo scopo confessato. Ufficialmente, è per mandare un "segnale forte" verso i paesi di forte migrazione, perché si sappia che è inutile e doloroso intraprendere un viaggio verso la Francia. Ma c'è forse un obiettivo più fondamentale: impedire ai sans papiers, e con loro a tutti i titolari di documenti precari di costituirsi in forza politica autonoma.
Perciò la discussione sul loro posto particolare nell'economia, appena accennato in questo documento, è un imperativo di questo movimento.


[DOCUMENTI][HOMEPAGE]