MALTRATTAMENTI PSICHIATRICI

Stefano mi racconta una storia. C'è un reparto psichiatrico da qualche parte a Roma, dove i medici impongono ai ricoverati di assumere psicofarmaci previa recitazione di una formula. Devono dire "Questa è la terapia" e ingurgitare quanto viene loro dato.

E' molto importante per i medici di questo reparto che questo rituale venga osservato ad ogni assunzione. Se questa è la terapia, la cosa per cui ti tratteniamo è una malattia e noi che la pratichiamo dottori. La psichiatria si fonda tuttora su assunti e convenzioni di questo tipo. Quando gli psichiatri affermano che i loro pazienti sono malati come gli altri, in realtà intendono dire che loro sono medici come gli altri.

Sandro non ci sta. Dice agli infermieri che assumerà i farmaci solo se potrà dire "Questa è la porcheria". In poco tempo il rituale viene stravolto dai ricoverati. Tutti usano la sua formula come si usa un antidoto contro un veleno. Poter chiamare le cose con il proprio nome è sempre stata un'esigenza di sopravvivenza per i pazienti psichiatrici. Sono infatti le parole e i giudizi degli psichiatri a condannarli.

Questa è la porcheria, questo non è reparto, io non sono malato e tu non sei un medico. Basta poco per mettere in ginocchio la presunta scientificità della psichiatria, il suo presunto rigore logico, le sue pretese terapeutiche. Basta guardare a ciò che realmente fa.

Parlare di terapie o trattamenti psichiatrici è improprio. Di fatto difficilmente questi termini possono essere usati per definire ciò che gli psichiatri fanno su e dei loro pazienti. Se la malattia che affermano di curare è solo metaforica, lo stesso non si può dire delle terapie che usano.

Da quale malattia è affetto Sandro? Cosa c'è di insensato in ciò che dice? Cosa ci fa ritenere più logico affermare che sia lui a soffrire di un delirio di persecuzione e non siano invece i medici a perseguitarlo?

La risposta sta in quello scambio fra terapia e porcheria che gli è costata una massiccia terapia del sonno e dell'oblio. Il suo delirio consiste, infatti, nel fatto di chiamare i farmaci porcherie o di definire i medici carcerieri.

Se e quando sarà dimostrato che gli psicofarmaci sono in realtà porcherie, il suo delirio diventerà paradossalmente opinione scientifica. E' già successo con le centinaia di migliaia di persone che ritenevano il loro internamento in manicomio come una minaccia alla loro integrità fisica e psichica, e che sono stati lobotomizzati per il loro rifiuto di entrarvi, per la loro resistenza alle terapie o per i loro tentativi di fuga. Oggi è opinione diffusa in ambito psichiatrico che bisogna dimettere e fare uscire le persone dai manicomi perchè luoghi non terapeutici. Le stesse persone che hanno definito questa idea delirante, quando espressa da altri, oggi la assumono come obiettivo scientifico o rivoluzione culturale. L'Organizzazione Mondiale della Sanità assume questo delirio come priorità di intervento e strategia per i servizi di salute mentale. Uscire dal manicomio si può, anzi si deve.

Già oggi, e da decenni, i pazienti psichiatrici affermano che gli psicofarmaci sono delle porcherie. Non sono i soli a pensarlo. Alcuni medici e psichiatri sono d'accordo con loro. Affermano in buona sostanza che Sandro ha ragione, e che imporgli le cure è un crimine contro la sua e la nostra umanità.

Il dottor Giorgio Antonucci, ad esempio, scrive:

Porcherie può essere una buona traduzione popolare di quanto il dottor Antonucci afferma. Tanto più quanto più riflettiamo sul fatto che i tranquillanti:

A ben guardare tutte le invenzioni psichiatriche hanno origini altrettanto inquietanti. Una fra tutte: la pratica dell'elettroshock. E' notorio che il suo inventore, il dottor Ugo Cerletti, si ispirò alle tecniche di macellazione dei maiali nel mattatoio di Roma.

Strana gente i medici. Di fronte ad un'orrendità simile, l'unica cosa che riescono a pensare è come e se applicarla agli uomini.

Ma torniamo agli psicofarmaci. Sandro trova altri riscontri scientifici nelle affermazioni dello psichiatra Peter Breggin. La prima di carattere medico:

La seconda di carattere storico-culturale:

Ancora una volta usiamo qualcosa di cui sono certi i danni, per curare qualcosa di cui non siamo affatto certi. Se non abbiamo prove dell'esistenza della schizofrenia, infatti, possiamo essere certi della discinesia tardiva. Così come certi e documentati sono i danni provocati al cervello, alla mente e all'esistenza di chi è sottoposto alle altre terapie psichiatriche.

Le pratiche psichiatriche risultano insensate fino a che le si inquadra nel campo della ricerca e della pratica medica. Tutto si chiarisce se accettiamo l'ipotesi che scopo della psichiatria non è quello di curare una qualsivoglia malattia, ma di controllare e modificare i comportamenti e il pensiero di individui che, per qualsiasi motivo, risultano inaccettabili e intollerabili ai loro simili.

Visti da questa angolazione, tutti i trattamenti psichiatrici hanno una loro efficacia.

Scopo della psichiatria è impedire che le persone si comportino in un modo che risulti, in un dato contesto o in un dato momento, inaccettabile. Per far questo, si sa, si può usare la convinzione o la costrizione. Il che, in termini psichiatrici, si traduce con la psicoterapia o l'internamento. Ma la psichiatria pratica anche una terza via. Cerca di distruggere dal di dentro la nostra possibilità di pensare e agire, agendo direttamente sul nostro cervello.

Il fine dichiarato è quello di asportare in maniera chirurgica solo certi pensieri e di neutralizzare solo certi comportamenti. In realtà non esiste (nè può esistere) alcuna azione selettiva nelle terapie psichiatriche. Esse possono solo impedirci di agire, di pensare, di percepire, di ricordare, di essere.

Questo risultato può essere anche auspicato o ricercato da qualcuno: non si spiegherebbe se no la diffusione dell'uso di sostanze come l'eroina che mira a raggiungere lo stesso scopo. Ma certamente non può essere imposto a nessuno.

La terapia psichiatrica che, a mio avviso, incarna la natura inquietante dell'ipotesi psichiatrica e ne rappresenta al contempo l'essenza, è la lobotomia.

Non a caso essa è l'unica scoperta psichiatrica ad aver avuto il riconoscimento del Nobel per la medicina. Come ogni altra terapia psichiatrica per decenni

La lobotomia, più che altre terapie, rappresenta simbolicamente e materialmente ciò che ci si aspetta dalla psichiatria. Un'azione diretta sul cervello dei pazienti per asportare definitivamente i centri del pensiero o dei comportamenti insani.

Anche qui sembra che E. Moniz, premio Nobel 1951 per la medicina, fosse stato folgorato dagli esperimenti di asportazione dei lobi frontali condotti nel secolo scorso sulle scimmie. Anche qui ciò che interessava era la possibilità di rendere docili e ubbidienti le persone.

La lobotomia uccide la vita psichica di chi vi è sottoposto in maniera irreversibile, riducendolo ad una vita vegetale. Eppure

Gli psicofarmaci hanno avuto storicamente la funzione di sostituire, almeno temporaneamente e solo in parte, le tecniche psichiatriche più apertamente crudeli. Oltre la lobotomia, anche gli shock insulinici e l'elettroshock. Come fa rilevare Sacks, tale cambiamento non è dovuto al riconoscimento dell'insensatezza di tali tecniche, ma al reperimento di un'altra terapia capace di ottenere gli stessi risultati senza suscitare lo stesso allarme sociale.

L'uso di queste tecniche non si è mai fermato, nè è stato vietato da alcuna legge in alcuna nazione del mondo.

Perchè mandare in coma le persone con l'insulina? Per lo stesso motivo per cui le attraversiamo con la corrente elettrica provocando loro convulsioni e danni al cervello: per cercare di farli smettere di pensare quello che pensano.

La psichiatria è uno scandalo scientifico all'interno della medicina. La ricerca scientifica da una parte afferma la complessità e l'assoluta inadeguatezza delle nostre conoscenze sul cervello umano, dall'altra permette alla psichiatria di mettere in pratica interventi chirurgici o chimici massivi su di esso, in maniera incontrollata e spesso contro il consenso dei suoi pazienti.

La storia antica e moderna dell'uso dell'elettroshock ne è un chiaro esempio. Nonostante i tentativi attuali di ricostruirne una verginità terapeutica, esso per anni è stato usato nei manicomi come strumento di controllo e di punizione dei ricoverati (cfr. A.Papuzzi 1977, Portami su quello che canta. Processo a uno psichiatra). Oggi invece viene smerciato come miracoloso e innocuo antitodo alla depressione.

Potrà essere solo un pregiudizio comune a gente non incline alla logica medica, ma credo che nessuno di noi se la senta di affermare che il passaggio di energia elettrica attraverso il nostro cervello, possa essere definito innocuo o, addirittura, terapeutico. Sarà perchè lo associamo a realtà tragiche come la sedia elettrica o le tecniche di tortura dei regimi militari, ma ci viene difficile credere che esista un modo o un risultato diverso nell'essere sottoposti al passaggio di energia elettrica attraverso il nostro corpo. Chiamiamolo istinto di sopravvivenza, ma è anche il risultato dell'osservazione sistematica di come questa e altre terapie hanno ridotto milioni di esseri umani in tutto il mondo.

Se poi vogliamo dare alla nostra naturale resistenza a riconoscere valore a tale pratica anche una motivazione scientifica, non abbiamo che da consultare, fra gli altri, il testo di P. Breggin Elettroshock. I guasti del cervello, edito da Feltrinelli. In esso l'autore spiega con esempi e ricerche sul campo, i motivi che lo inducono a chiedere la messa al bando e il divieto legale di usare l'elettroshock come forma di terapia.

Leggendo Breggin e ascoltando i fautori dell'elettroshock, sorge il sospetto concreto che la presunta efficacia di tale pratica consista nel tentare di curare il dolore con l'oblio.

Dove non arriva l'oblio, ci pensa il terrore.

La situazione con gli psicofarmaci non è molto diversa. Fra i loro effetti c'è quello di modificare lo stato di coscienza delle persone in un senso molto simile a quello dell'oblio. Più che il ricordo, viene compresso e coartato il senso critico, la capacità di reagire, si diventa spesso passivi e disponibili a subire la volontà altrui. Fra le modalità di somministrazione esiste anche qui la minaccia e il terrore. Anche gli psicofarmaci possono essere usati a scopo punitivo, come nel caso di Sandro e delle sue porcherie.

Gli psichiatri più illuminati ammettono che gli psicofarmaci non hanno alcuna funzione curativa, ma servono ad attenuare e a controllare i pensieri e i comportamenti che loro individuano come sintomi della malattia mentale. Del resto gli esseri umani hanno sempre usato sostanze per alterare il propria stato di coscienza e la propria biochimica, per adattarsi o superare le proprie difficoltà. Pensiamo alle foglie di coca masticate dalle popolazioni delle Ande, ma anche al caffè con cui facciamo colazione, al bicchiere di vino per rallegrare la serata, ma anche alla cocaina per sostenere una serie di concerti. Alcuni di questi interventi volontari sulla propria mente sono considerati crimini o comportamenti comunque moralmente inaccettabili. Nessuna obiezione invece sembra nascere quando interventi della medesima natura vengono imposti su individui non consenzienti.

La terapia psichiatrica fa appunto questo: dichiara illegale qualsiasi altro intervento sulla mente che non sia espressamente prescritto e realizzato da psichiatri. Se ci si autoprescrive un ipnotico si è drogati, se ce lo prescrive un medico malati. L'ipnotico può essere così al contempo una droga (se decidiamo autonomamente di assumerla), una medicina (se ce la prescrive uno psichiatra). Non c'è niente di più chiaro, in questo caso, della lingua inglese per descrivere questa confusione: in inglese tanto le droghe illegali che gli psicofarmaci si chiamano drug.

La logica psichiatrica tende a privare le persone di quelle sostanze che ritengono necessario assumere, per imporre le stesse sostanze ad altre persone che non ritengono necessario farlo.

Gran parte della vita di un paziente psichiatrico è spesa a cercare strategie o rifugio per sfuggire a questa invasione chimica della sua mente. Il rifiuto degli psicofarmaci è in gran parte rifiuto di condividere i fini e gli scopi che essi si prefiggono. Nessuno rifiuterebbe di assumere qualcosa che lo può aiutare a tranquillizzarsi o a non avere più paura, ma, allo stesso tempo, nessuno accetta di farlo se questo significa implicitamente affermare che non ha alcuna ragione per essere arrabbiato o terrorizzato. Quando ci autoprescriviamo una sostanza, generalmente non neghiamo la verità di ciò che stiamo provando o vedendo, cerchiamo di attutirne soltanto gli effetti sulla nostra vita. Quando quella stessa sostanza ci è prescritta da uno psichiatra, al contrario, accettarla significa accettare il fatto che i nostri sentimenti e i nostri pensieri sono solo fantasie.

E' per questo che Arturo preferisce vagare una notte intera senza meta, quando sua madre lo esaspera al punto che non riesce più a controllare le sue reazioni, piuttosto che assumere la terapia che lei gli porge. Arturo non vuole farle del male, ma non vuole neanche calmarsi. Vuole che la sua rabbia sia riconosciuta come tale, che siano riconosciute le sue ragioni.

Se fosse solo un problema di biochimica, come dicono gli psichiatri, allora

Ho esperienza pratica e quotidiana di ciò, come ne abbiamo tutti. Se applicassimo solo un po del buon senso che nasce dalla nostra esperienza di relazione, capiremmo che è impossibile accettare di stare calmi e sereni mentre altri stanno decidendo di cambiarti la vita e distruggendo ogni possibilità di scelta. E' impossibile stare calmi quando nessuno ti dà credito, nessuno ti ascolta, nessuno ti aiuta in ciò che vuoi fare. Impossibile mantenersi sereni quando nessuno condivide con te la verità di quello che senti, che vedi o che pensi.

Ho esperienza pratica del fatto che non c'è niente di meglio di un'altra persona per aiutarci a vincere la paura di ciò che ci sta accadendo e darci la forza di affrontarlo. Niente di più efficace del semplice riconoscimento della verità di quanto ci accade e dell'essere presi sul serio. (cfr G.Bucalo 1993, Dietro ogni scemo c'è un villaggio. Itinerari per fare a meno della psichiatria).

Non parlo di psicoterapia, parlo di una relazione quotidiana fra esseri umani che cercano insieme un equilibrio e un confronto fra modi diversi di vivere, sentire o soffrire. La psicoterapia fa delle relazioni fra le persone, quello che la psichiatria ha fatto dell'uso delle sostanze per alterare la propria coscienza: ha trasformato una esigenza umana in una competenza professionale. In buona sostanza se la psichiatria tende a sostituire la volontà dell'individuo, la psicoterapia cerca di appropriarsi del suo ragionamento, della sua visione del mondo, dei suoi sentimenti. L'una è complementare all'altra.

"Questa è la terapia" è importante quanto l'assunzione della terapia stessa. Tanto importante che Sandro è punito per il solo rifiuto di accettarlo. La cura non è lo psicofarmaco ma il definirlo tale. Così ciò che ci rende malati non è la malattia, ma semplicemente il fatto di essere definiti tali.