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l'esperienza del sozialistischest
patienten kollektiv (spk)
L'ESPERIENZA DEL SPK.
GLI AVVENIMENTI.
PER LA TEORIA DEL COLLETTIVO SOCIALISTA DI PAZIENTI
SOGGETTO-OGGETTO
MALATTIA E CAPITALE
SINTOMI
AGITAZIONE ED AZIONE
L'ESPERIENZA DEL SPK. GLI AVVENIMENTI.
Nella primavera del 1970, nella cittadina universitaria di Heidelberg si
costituì la prima autoorganizzazione di pazienti della Repubblica
federale tedesca. Il Collettivo socialista di pazienti (Sozialistisches
Patienten kollektiv = SPK) nacque dal conflitto tra la direzione della
clinica universitaria di neurologia e psichiatria e l'assistente medico
dr. Wolfgang Huber che, lavorando al policlinico dal 1964 e giunto alla
convinzione che al policlinico non si lavorasse per i pazienti ma per la
ricerca tradizionale, aveva rifiutato di partecipare ancora alle riunioni
e conferenze istituzionalizzate per dedicare tutto il suo tempo al lavoro
coi pazienti, specialmente alle terapie di gruppo che egli riteneva necessarie
per conferire ai malati una possibilità di rendersi conto del loro
status. La direzione della clinica, interpretando l'atteggiamento di Huber
come offesa alla struttura gerarchica dell'istituzione, ottenne il suo
licenziamento nonostante che i pazienti avessero chiesto il prolungamento
del contratto di Huber durante la prima riunione completa dei pazienti
della clinica tenutasi in occasione della richiesta del licenziamento.
Quando anche i pazienti che solidarizzavano con Huber (60-80 circa) vennero
esclusi dal policlinico, il collettivo formatosi in quell'occasione occupò
l'ufficio del direttore amministrativo e indisse lo sciopero della fame
per riavere Huber alla clinica. Lo sciopero finì con un compromesso:
il rettore promise al collettivo di rendere possibile il suo lavoro con
Huber fuori clinica in locali appartenenti all'università. Verso
la fine di aprile il rettorato rifiutò ulteriori mezzi finanziari,
senza aver dato quelli promessi per medici, segreteria, ufficio e telefono.
Vennero sospese anche le ricette per i medicinali gratuiti (che sono un
privilegio delle cliniche universitarie non dipendenti dalle restrizioni
mutualistiche). Il luglio il Collettivo, in reazione a questa minaccia
decisiva alla sua esistenza, occupò il rettorato e formulò
le seguenti richieste: a) controllo da parte dei pazienti delle cure impartite
ai malati. Soppressione del controllo esterno del sistema sanitario (p.
es. da parte dell'industria e dell'esercito); b) controllo da parte dei
pazienti del regolamento interno delle cliniche. transitoriamente i diritti
in materia vengono delegati al rettore dell'università; c) i fondi
della clinica saranno gestiti dall'organizzazione dei pazienti. Saranno
versati transitoriamente alla cassa generale dell'università. Come
prima misura da prendere l'SPK chiese la messa a disposizione gratuita
e immediata di locali per la sua attività terapeutica e per l'alloggio
di pazienti gravi, uno stipendio regolare per due persone che avrebbero
potuto svolgere funzioni di medico e mezzi per la segreteria e le attività
sociali. Dichiarò di rimanere nei locali della Rohrbachstrasse fino
a che non si fossero sistemati.
Il 9 luglio 1970 il Consiglio amministrativo della università si
dimostrò disposto alla realizzazione del progetto "Collettivo
di pazienti", decisione che suscitò la reazione feroce di tutte
le gerarchie psichiatriche del Baden-Württemberg. Il rettore liberale
(il professore di teologia protestante dr. Rendtorff) incaricò tre
periti (l'ex-direttore del policlinico psichiatrico di Heidelberg Spazier,
lo psicanalista H.E. Richter e il direttore dell'istituto di psicologia
di Hannover P. Brückner) perché giudicassero la prassi scientifica
del collettivo e si esprimessero sulla istituzionalizzazione del collettivo
all'università. Contemporaneamente la facoltà di medicina
incaricò tre psichiatri di fare una controperizia. Tutti e tre i
periti incaricati dal rettore si espressero a favore del collettivo, le
perizie degli psichiatri, che non avevano avuto occasione di assistere
alla pratica dell'SPK, erano tutte negative, negarono al collettivo ogni
fondamento scientifico e sottolinearono la pericolosità di un gruppo
paranoico di fanatici politici in rapida espansione. Difatti il collettivo
contava nell'agosto 1970 circa 200 persone, nel giugno 1971, prima
della sua liquidazione, 500. Intervenne il ministero della cultura
del Baden-Württemberg che decise contro la decisione favorevole all'SPK
presa dal consiglio amministrativo dell'università. Il ministro
Hahn definì il collettivo "una proliferazione sregolata da
sopprimere" e intimò al rettore di non fornire ulteriori aiuti
all'SPK e di non realizzare il progetto di istituzionalizzazione presso
l'università. Seguì il 4 novembre 1970 la diffida di sfratto
dai locali nella Rohrbachstrasse. Il dr. Huber, come persona giuridica,
lasciò i locali dell'SPK, ma ci tornò in seguito alla decisione
del collettivo. Il 9 novembre il collettivo fece causa al tribunale amministrativo
per violazione dell'autonomia dell'università da parte del ministro.
Tutti gli ulteriori tentativi di istituzionalizzazione all'università
(p. es. sotto forma di consultorio per studenti) fallirono, anche un progetto
di finanziamento sotto forma di borsa di studio per ricerca che avrebbe
dovuto essere concesso dalla fondazione H. Heine. In aprile, per evitare
lo sfratto, si restituirono le chiavi dei locali della Rohrbachstrasse
al rettore che rifiutò di accettarle. In giugno vennero sfrattati
dalla polizia armata. Quando nello stesso mese nei pressi di Heidelberg
(vicino alla casa di un membro del collettivo) due ignoti spararono su
un poliziotto, la polizia arrestò cinque membri del collettivo sotto
l'accusa di avere rapporti con la "banda Baader-Meinhof" (frazione
armata rossa). Seguirono perquisizioni nelle abitazioni dei membri del
collettivo, venne trovato qualche oggetto rubato nei grandi magazzini,
passaporti falsi, una parrucca, barbe finte, armi. Il dr. Huber e parecchie
altre persone, incriminati secondo l'articolo 129 della legge (associazione
per delinquere), furono processati. Rifiutarono categoricamente di fare
deposizioni e sono tuttora in prigione.
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Malattia é la denominazione della sofferenza
che ogni individuo in questa società deve sopportare, non importa
se si tratta di mal di testa o di schizofrenia. Ogni trattamento che si
conforma ai bisogni dell'uomo non deve dunque cercare di adattare l'uomo
alle circostanze distruttive, ma deve contribuire all'adattamento delle
circostanze ai bisogni dell'uomo . Visto storicamente il Collettivo socialista
di pazienti si é; sviluppato nell'istituzione ospedaliera dal modello
della comunità terapeutica di tipo anglosassone che viene considerato
come spunto iniziale che non trascende ancora la cooperazione borghese
tra dominati e dominatori. L'SPK parte dall'esigenza che nel senso di una
teoria e di una prassi socialiste, il paziente abbandonerà il suo
atteggiamento consumistico coatto, così come esso si riproduce anche
nel suo comportamento nei confronti del terapeuta. Egli deve rendersi conto
che la passività condizionata dalla società si traduce solo
attraverso una presa di coscienza in riconoscimento delle sue cause e si
trasforma in seguito in consapevolezza della necessità di agire.
Ciò significa che ogni paziente deve essere il proprio terapeuta
e anche quello degli altri pazienti .
Il teorema fondamentale della teoria dell'SPK che é risultato dalla
sua analisi della psichiatria e più generalmente del sistema sanitario
nel capitalismo, si basa su un'identificazione universalizzante di ogni
momento con la totalità: malattia é capitalismo e capitalismo
é malattia. Da questa identità (capitalismo = malattia e
capitalismo come malattia) consegue che la malattia stessa é produttiva
ed é quindi soggetta come produttrice di plus-valore a uno sfruttamento
secondario nel sistema sanitario.
Il ruolo imposto al paziente dalle strutture del sistema sanitario va messo
in parallelo col ruolo d'oggetto imposto all'uomo nel lavoro nell'insieme
del sistema di sfruttamento capitalistico. Il lavoratore come paziente
non é consumatore dei servizi clinici, ma é, al contrario,
consumato in una serie di trattamenti clinici. Questo consumo si
opera secondo una divisione del lavoro che sola garantisce il profitto
proveniente dalla ricostituzione provvisoria della sua forza di lavoro
sfruttata nel processo capitalistico di sfruttamento e di produzione e
garantisce il "progresso della scienza", cioé la sua autonomia
crescente nel suo insieme e nelle diverse discipline. Questa autonomia
che é ancorata alla gerarchia che si situa ciecamente al servizio
del capitale ha provocato l'immancabile ostilità della medicina
istituzionalizzata nei confronti dei pazienti. Il consumo dei pazienti
da parte della medicina istituzionalizzata é analogo al consumo
della forza lavoro da parte del sistema sociale di sfruttamento, fonte
di malattia, che fornisce le istituzioni mediche. Spezzare questo circolo
vizioso presuppone una presa di coscienza, un'intesa globale che non si
può raggiungere attraverso la pratica terapeutica se non
nella sua relazione al contesto socio-politico.
Gli ospedali sono luoghi di produzione come le fabbriche. Il paziente deve
lasciarci tutto quello che ha prodotto: sali, sangue, urina, calcoli renali,
vescicali, biliari, parti del suo corpo, emicranie, allucinazioni, ipertonie,
nervosità, ecc. Questi prodotti vengono trasformati in fatture mediche
e di laboratorio, spese amministrative, ecc. La malattia riempie così
le casse dello Stato e si inserisce nel modo più vantaggioso nel
sistema economico. Oggetto alienato, il malato, esteriore a questo circuito
di profitto che si organizza sulle sue spalle, é nella situazione
analoga a quella del lavoratore di fabbrica che riceve come salario soltanto
il necessario per mantenere la sua forza lavoro. Si sottrae quindi al paziente
la malattia che ha prodotto, per trasformarla in denaro, e il denaro diventa
capitale. Il paziente, a casa, non porta la salute, ma lo stesso logorio
che aveva portato in clinica con in più dei nuovi guasti provocati
dai procedimenti terapeutici capitalistici: effetti secondari delle medicine
e dell'ospedalismo, sindrome di adattamento patologico alla realtà
esistente .
Se il malato non si adatta ed esce da questo ciclo viene relegato come
scarto in fondo a qualche clinica.
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Soggetto é ciò che si dispiega liberamente in differenze.
Oggetto é ciò che si costituisce nel processo di dispiegamento
del soggetto... Nella società borghese soltanto il capitale, che
poi determina ogni particolare, può dispiegarsi liberamente in differenze.
I singoli individui sono soltanto oggetti delle necessità del processo
di utilizzazione capitalistico, il soggetto, quest'ultimo, che determina
tutto. Le relazioni tra i singoli sono dunque relazioni da oggetto a oggetto,
non si può parlare di volontà libera, poiché la volontà
é solo il modo in cui le necessità del capitale si presentano
nel singolo. Ma i rapporti di produzione capitalistica sono essi stessi
il prodotto di questi singoli; comportandosi da oggetti essi mantengono
i rapporti di produzione. In quanto ai rapporti di produzione i singoli
sono dunque i produttori. La loro collaborazione senza coscienza della
connessione costituisce essa stessa la necessità alla quale i singoli
sottostanno. Essi stessi sono in questo modo passivo soggetto, ma nella
loro attività sono oggetti totali. Di conseguenza la dialettica
di soggetto e oggetto si rovescia quando i singoli oggetti si riconoscono
come soggetto collettivo e rendono oggetto loro prodotto, i rapporti sociali.
La necessità di questo rovesciamento sta oggettivamente e soggettivamente
nella malattia. L'identità politica delle coscienze, condizione
per rendere oggetto la società, può essere sviluppata solo
dalla malattia .
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Malattia é vita che contraddice se stessa; dunque vita che si autodistrugge
in quello stesso processo in cui si mantiene. Da Marx sappiamo che i rapporti
sociali sono caratterizzati dal fatto che la produzione é direttamente
identica alla distruzione delle forze produttive. Gli sfruttati sono infatti
costretti a vendere la loro forza-lavoro, cioé; il loro corpo e
la loro mente - la loro vita dunque -, per tirare avanti con una vita che
vita non é. I prodotti sono preziosi per il fatto che contengono
la vita spezzata, il logorio degli sfruttati, la loro forza-lavoro. Sono
quindi armi micidiali, preziose perché sporche di sangue. Lo scambio
dei prodotti quindi non é altro che lo scambio di vita assassinata
poco a poco e di malattia. Ma perché si possa produrre per il capitale
in queste condizioni micidiali, perché ci si possa lasciare andare
in questi rapporti di sfruttamento, la vita che contraddice se stessa =
la malattia é già necessaria come presupposto. La malattia
é dunque la forza che conserva i rapporti di produzione e nello
stesso tempo produce ogni singolo prodotto i prodotti stessi costituiscono
l'accumulazione materiale della malattia della masse. Malattia é
forza produttiva , é, come il capitale, in continuo processo,
in continua espansione; malattia é soggetto.
Questi rapporti sociali nei quali produzione é uguale a distruzione,
rapporti che contraddicono se stessi, sono malati. Il singolo, di fronte
alla prepotenza dei rapporti sociali non ha altra possibilità per
mantenere la sua vita che cederla al processo di produzione, vale a dire
distruggerla. In questo processo di produzione, chi produce diventa prodotto,
merce. la vita che il singolo vuole conservare, si identifica con i bisogni
in conformità dei quali la vita si riferisce ad oggetti; per vivere,
cioé per soddisfare i suoi bisogni, il singolo deve produrre ma
nella produzione capitalistica ciò significa cedere la sua vita
= bisogni. E nella produzione di plus-valore si producono contemporaneamente
merci di scarto e bisogni corrispondenti. Ma i bisogni costituiscono dal
canto loro di nuovo il punto di partenza di questo processo continuo, contraddicono
dunque se stessi, e non contengono nessuna possibilità di soddisfazione,
ma soltanto la necessità del capitale.
Dal momento che i rapporti sociali si presentano al singolo come potere
naturale e invariabile, esso non é capace di vedere la malattia
come prodotto della società o la società come malattia. Si
appropria della malattia come di una sofferenza individuale, come di una
miseria personale della quale egli é responsabile e che va gestita
individualmente. Così il singolo assume definitivamente la propria
autodistruzione. Se non é data la possibilità di gestire
la malattia individualmente - e questa possibilità gli viene necessariamente
tolta poiché le condizioni create dal singolo malato per appropriarsi
della malattia dipendono totalmente dal potere del capitale le cui necessità
distruggono la parvenza che il singolo si dà - se, dunque, questa
possibilità non é data, avviene necessariamente che l'infelicità
inconsapevole si trasforma in coscienza infelice , la quale riconosce
l'identità di capitale e malattia. La sofferenza
come necessità soggettiva di cambiamento diventa politica,
il malato é paziente (dal lat. patire, soffrire). Da ciò
risulta che il malato rispecchia nella sua malattia, nelle sue interne
contraddizioni la realtà in modo adeguato. Questa coscienza degli
sfruttati adeguata alla realtà é dunque una cosa esterna
alla loro malattia .
Contro l'obiezione che non tutte le malattie sono causate socialmente,
che ci sono anche delle condizioni naturali per la malattia non risolvibili
socio-politicamente, l'SPK dice: il fatto che certe forme di vita vengano
considerate malate nella società attuale é motivato dalla
struttura economica in questa società, dipende dunque dalla utilizzabilità
del singolo. Non la natura, ma il capitale determina
l'esclusione dalla società.
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Sintomi sono le forme legate a sofferenza nelle quali la malattia della
società si manifesta nel singolo. Sebbene i sintomi siano prodotti
dalla società, ci se ne appropria e li si gestisce individualmente.
Ciò significa che il malato non é capace di porre se stesso
nel contesto sociale, i sintomi gli sono estranei. Ma visti nel contesto,
i sintomi sono protesta contro le strutture fondamentali della società;
dal momento che la connessione sociale produce i sintomi appunto come sconnessi,
isolati, individuali - la protesta é inibita. Dal tentativo della
soluzione individuale della sofferenza risulta soltanto un'infinità
cattiva, vale a dire che ad un sintomo se ne sostituisce un altro fino
a che la vita malata non é divorata definitivamente dal capitale.
Per evitare un malinteso: malato non si oppone a sano, ma a vita. Sano
é un concetto del discorso dominante che significa soltanto che
i sintomi sono impostati in maniera tale da non disturbare l'inserimento
del malato nel processo di alienazione, di espropriazione della malattia;
essere sani significa essere morti da vivi. Il significato dei sintomi
é di essere l'espressione individuale e inconsapevole delle contraddizioni
sociali. Sono dunque la forma inibita di una comunicazione adeguata alla
realtà, dunque riferimento ad altri e nello stesso tempo isolamento.
I sintomi del singolo sono analoghi ai sintomi della crisi dei rapporti
economici, e la cura di questi sintomi, il management delle crisi, si limita
alla superficie senza toccare le contraddizioni interne, allo stesso modo
della medicina. Un esempio lampante di vita che contraddice se stessa,
di produzione di sintomi, é la dialettica di sessualità e
angoscia (interpretate secondo W. Reich rispettivamente come espansione
di energie e contrazione).
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AGITAZIONE E AZIONE
Da ciò che é stato detto finora si deduce
necessariamente che la sofferenza può essere volta in azione.
Poichè i bisogni del singolo sono attualmente
accettati così come sono prodotti dal sitema capitalistico,e poichè
vengono misurati secondo un metro imposto dall'esterno; spetta invece al
lavoro collettivo svilupparne le contraddizioni immanenti. Solo in questo
modo si riescono a trascendere i bisogni e ad elaborare, per ogni singolo,
la necessità soggettiva del rovesciamento dei rapporti esistenti.
Tramite questa prassi collettiva si giunge a dimostrare che le relazioni
tra i singoli sono relazioni da oggetto a oggetto, che la mente e il corpo
sono programmati dal capitalismo, che la miseria individuale si identifica
con contraddizioni sociali e che il ribaltamento da oggetto a soggetto
del processo storico viene raggiunto solo collettivamente.
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