Umanità Nova, Speciale 8 dicembre (supplemento al n.40 del 10 dicembre 2006)

Il partito unico degli affari
Saccheggiatori e devastatori al governo


"Il denaro non ha odore", si dice; ma certo qualcuno questo odore lo sente molto bene, aggiungiamo noi. Qualcuno, comunque tiri il vento, sotto qualsiasi cielo, a qualsiasi latitudine, annusa l'aria alla ricerca di affari lucrosi. Non solo. Si annusa l'aria per sapere dove stanno proprio i soldi e per far sì che finiscano nelle mani giuste, cioè in quelle, sempre pronte e senza fondo, del "partito unico degli affari".
Si tramanda una battuta di Giovanni Agnelli: "La Fiat è sempre governativa". Non si voleva con ciò solo dire che la Fiat, cioè il capitale, sta sempre dalla parte di chi governa, di chi ha momentaneamente il potere, inteso come ordine costituito. Piuttosto, la battuta tradiva l'ammissione che il capitale ha sempre interesse a controllare ed essere comunque in buoni rapporti con chi ha il potere di spendere il denaro ed il patrimonio pubblico. Quanti aiuti statali alle imprese, quanti regali, quante volte enti pubblici, lo stato, hanno tolto e tolgono le castagne dal fuoco alle imprese. E quante volte lavori pubblici sono stati appaltati al solo scopo di ingrassare chi li realizzava, indipendentemente dall'utilità dell'opera, dell'interesse "dei cittadini", con totale disprezzo del territorio e dell'ambiente in cui queste opere giungevano a devastare equilibri magari secolari o una natura incontaminata "dal giorno della creazione". E spesso l'intreccio non era solo tra imprese e politica, ma tra imprese, politica e criminalità organizzata: questi tre poteri non necessariamente tendevano ad identificarsi, piuttosto si rapportavano secondo la forza momentanea dell'uno e dell'altro, utilizzandosi a vicenda, avendo impresa e criminalità organizzata i propri referenti tra i politici. Ad un certo livello, la criminalità diventava impresa, organizzando e gestendo direttamente gli appalti affidati dai suoi referenti politici e amministrativi.
Bisogna dire che, per la specificità del panorama politico italiano, bloccato dal veto alla partecipazione del PCI al governo dai primi passi della repubblica agli anni '90, il "governo" in cui confidava Agnelli o con cui la mafia faceva affari si identificava in gran parte nella DC e nei suoi satelliti.
Negli ultimi anni, soprattutto intorno alla realizzazione delle grandi opere (pensiamo al TAV, al Mose, al ponte sullo stretto di Messina, ma anche al cantiere eterno del valico Firenze-Bologna), si è potuto però notare come i due schieramenti che oggi si alternano al governo del paese abbiano una comune visione sulla necessità di queste grandi opere come volano dell'economia e dello "sviluppo", indipendentemente dall'evidente inutilità, dannosità e costosità di questi "mostri" devastatori del territorio e saccheggiatori di ricchezza comune.
Il primo motivo di tale per nulla sorprendente convergenza tra casa delle libertà e ulivo/unione è il riconoscimento dell'impresa come motore sociale unico: secondo la vulgata, solo l'impresa è capace di creare ricchezza per la società mentre la crea per se stessa, secondo una visione della vita sociale semplificata e brutalmente succube di slogan da liberismo "puro e duro".
Ma vi è di più. Non è detto che questa impresa sia privata e/o faccia capo ad un imprenditore, ad un padrone come ce lo immaginiamo normalmente. L'impresa può avere anche la forma all'apparenza meno preoccupante e più "amichevole" di una cooperativa, certo grande, con migliaia e migliaia di soci e fatturati che non hanno nulla da invidiare alle più note imprese costruttrici nazionali, ma pur sempre una coop, magari "rossa". Questa coop sarà inserita in un più ampio tessuto di aziende sorelle e cugine, comprendenti anche banche e assicurazioni; oggi fondi pensione. Tutte queste imprese avranno nei loro consigli di amministrazione, politici, sindacalisti, uomini di partito.
Uno dei motivi profondi di questo fenomeno è il costo fuori controllo della politica, dovuto anche alla mediatizzazione spinta della stessa e dalla necessità di investire sopratutto in pubblicità somme che i partiti di una volta non si sarebbero potuti assolutamente permettere.
Un'altro aspetto rilevante è la modifica avvenuta nella funzione dello stato che da apparato di controllo e repressivo, nel secolo XX si è sempre più caratterizzato anche come gestore di risorse, come investitore, l'altra faccia dello stato "sociale", che quindi non è tale solo per il suo aspetto solidaristico ed assistenziale, ma anche e sempre più in misura netta per la sua capacità di essere collettore di ricchezza, produttore ed investitore.
Le grandi opere trovano quindi tutti d'accordo a livello politico. Non parliamo a livello di imprese, qualunque sia la loro natura. In più lo stato/politica, pur con il nuovo volto sopra descritto, non ha certo smesso i suoi panni repressivi e di monopolista dell'uso della forza. Così, che sia l'interesse particolare di grandi imprese che devono essere lasciate libere di "scatenare i loro istinti animali" per il "bene della società nel suo complesso" (casa delle libertà) o che sia l'interesse di un blocco politico-sindacale-imprenditoriale (ulivo/unione) che teorizza e pratica la gestione diretta dell'economia finanziata dal denaro pubblico (si pensi da ultimo all'operazione "fondi pensione" o al vero e proprio "affare" della gestione del TFR da parte dell'INPS), il territorio e gli uomini e le donne che ci abitano, la loro vita e il loro futuro, sono solo beni da "mettere a valore" da "valorizzare", cioè da trasformare in ricchezza tout court privata (polo) vuoi "di partito" (unione). In realtà al "partito unico trasversale degli affari" non interessa nulla neppure delle grandi opere come tali: le grandi opere sono solo un grande affare che, se non fermato, impoverirà gli uni, cioè noi, e arricchirà gli altri, cioè loro.
E loro avranno sempre il volto dello stato, dei suoi poliziotti e dei suoi manganelli, ieri come oggi pronti a cercar di spianare la strada alle ruspe devastatrici di imprese i volti dei cui padroni ammiccano ancora dai manifesti elettorali delle ultime elezioni.

W.B.

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