Umanità Nova, Speciale 8 dicembre (supplemento al n.40 del 10 dicembre 2006)

La retorica del progresso
Riti e sacerdoti della crescita-profitto-velocità


Siamo abituati a pensare l'idea e la pratica di progresso come una caratteristica peculiare dell'era moderna. Da secoli ci hanno raccontato una storia lineare, in cui le innovazioni (tecnologiche, scientifiche, ecc.) superano costantemente in qualità e precisione quelle delle generazioni precedenti, cumulando prestazioni sempre più sofisticate e immagazzinando dati sempre più poderosi in spazi sempre più ridotti e miniaturizzati.
A pensarci bene, però, questa narrazione ipermoderna e tutta tecnica rinnova in realtà il mito arcaico di Cronos che divora i propri figli finché non interviene Zeus a interrompere il gioco assassinandolo. In effetti, ogni progresso della scienza e della tecnologia ci viene venduto come una evoluzione indolore, mentre in realtà non solo si divora la tecnologia precedente, lasciandoci macerie ingestibili e non rottamabili, ma divora inoltre le nostre stesse esistenze, lasciandoci un ambiente sconvolto, non più in grado di autorigenerarsi.
Il mito del progresso, infatti, prende in considerazione il proprio prodotto applicato in diverse sfere della nostra vita quotidiana, senza tuttavia preoccuparsi di integrarli in un contesto ambientale più ampio in cui tali sfere parziali di vita insistono sino a raggiungere la dimensione di una forma-di-vita epocale. E non sempre è facile attuare una transizione indolore tra forme-di-vita diverse.
Se guardiamo al paesaggio della nostra Italia con lo sguardo rivolto alla generazione passata, le differenze introdotto nella esistenza quotidiana a partire dalle innovazioni del progresso risultano notevoli, sino a modificare i contorni dei nostri orizzonti visivi e percettivi. Le categorie che usavamo trent'anni fa non sono più spendibili nel contesto odierno, esattamente come i problemi e le soluzioni di allora sono insussistenti oggi, mentre ci troviamo di fronte a questioni inedite a loro volta figlie dei disastri di quel che abbiamo definito progresso.
Il mito, come sempre, ci blinda la vista: pensiamo in termini autoreferenti, riflettiamo sui benefici del progresso in termini chiusi e gretti sul nostro piccolo io quotidiano, misurando il giudizio di valore sulla bontà del progresso limitatamente ai vantaggi che ne conseguiamo. Veniamo oscurati dalla vista di ciò che non funziona nella direzione di benefici collettivi, poiché l'ideologia individualistica del liberalismo ritiene, altrettanto miticamente, che l'utilità del singolo vale automaticamente l'utilità collettiva. Purtroppo per tale ideologia, proprio la questione ecologica ed ambientale, nata sull'onda di una acritica esaltazione di ogni forma di progresso tout court, si è incaricata di dimostrare, con drammatici dati alla mano, quanto siamo costretti a far pagare alle generazioni seguenti l'irresponsabilità del concorso folle verso il mito del progresso.
Tutti noi, eredi del futurismo italiano, siamo convinti che la velocità fa bene alle nostre vite, quando tale superstizione ci rende ciechi di fronte al godimento della vita come idonea percezione dei ritmi differenti con cui gustiamo il sapore della nostra esistenza al mondo. La velocità accorcia il tragitto temporale della nostra vita, scagliandoci verso una realtà ipermobile dalla quale non solo non traiamo alcun beneficio, se non raramente, ma anzi ricaviamo solo danni e lutti, registrati con criminale lucidità dai tg serali del venerdì e del sabato: una carneficina del progresso che fa più morti di una guerra. Ma in effetti abbiamo dichiarato guerra alle nostre esistenze affidandoci totalmente e ciecamente al mito del progresso.
Certo, la critica del progresso, spesso evoluto in direzione di una successione tutto sommato insignificante di nuovi modelli, di nuove merci, di nuovi stili di vita che nulla aggiungono in felicità quelli che releghiamo alle spalle, non significa voler retrocedere all'era della pietra, già per il solo fatto che tale ipotesi, per alcuni provocazione affascinante, è assolutamente impercorribile: la storia non fa salti indietro, e quando li fa li compie sotto il forzato effetto di una catastrofe (per lo più militare, bellica, nucleare, ambientale).
I miti si auto-legittimano da sé, spiazzando ogni considerazione di ordine razionale in quanto pretendono di averla già sottomessa ai propri imperativi irriflessi: occorre andare sempre avanti!... specie se qualcuno può superarci approfittando della nostra lentezza (decisionale, amministrativa, politica, economica, ecc.). Tuttavia tale mito nasconde dietro di sé le macerie che lascia, sia nello spazio del nostro habitat, sia nei territori da cui preleviamo cinicamente e ingiustamente, sovente con violenza, quelle materie prime con cui alimentiamo a dismisura l'orgoglio del nostro progredire sempre avanti. Il prelievo energetico ormai insostenibile che alimenta l'idea e la pratica del progresso onnivoro e devastante i territori, cosa che caratterizza appunto la nostra civiltà industriale (trasporti, servizi, circolazione delle merci, ecc.), sconta la propria insostenibilità a lungo termine razziando e depredando popoli e territori delle loro ricchezze piegate ad uso e consumo del nostro sviluppo, mentre quelli sono sempre in via di…
È ora di valutare se l'ipotesi di guadagnare venti minuti di tempo rispetto ad una accelerazione dei tempi di percorrenza, mettiamo, di un tratto ferroviario possa essere legittimato dallo sterminio di interi popoli nel sud del mondo che pagano il nostro progresso con la depredazione delle risorse naturali e umane che vengono asservite ai nostri fini. Il mito cela e vela questo nesso globale, confermando la divisione del pianeta tra ricchi-e-potenti e poveri-e-indifesi, con la beffa aggiuntiva di etichettare questo mondo ormai saturo di guerre e ingiustizie con il nome beneaugurante di destino globale!
È noto ormai come il progresso modifichi le categorie con cui instauriamo nessi di senso della nostra vita sulla terra, sino a prefigurare addirittura una trasformazione azzardata perfino dei nostri organismi, qualora geneticamente modificati. Sembra così che quel mito arcaico di Cronos, reiterato dal mito goethiano del Faust e da quello shelleiano di Frankenstein trovi oggi pieno compimento. La distruzione dissipatrice di tutto ciò che non va in direzione coerente con il progresso cancella pure le nostre facoltà di scelta e di critica. Il mito, come la solito, ci priva della facoltà critica con cui normalmente siamo soliti valutare la bontà di qualcosa che, così facendo, entra nel mirino di una attività interrogante senza pregiudizi in un senso o in un altro. Il mito è pregiudizio, per il quale occorre accettare ogni idea di progresso qualunque essa, qualunque cosa essa comporti, qualsiasi siano le macerie che lascia dietro di sé.
Questo dispositivo di sistema trova poi nei poteri forti la carica propulsiva che fa convergere nella ripetizione potente del mito stesso altre forze capaci di guidare, orientare e blindare il consenso, ossia i media asserviti politicamente. Guai a non assecondare le dotte argomentazioni con cui intellettuali e politici si asservono volontariamente al mito, abdicando alla funzione per cui vengono profumatamente pagati, ossia la voce critica che rappresenta il popolo sovrano. Per fortuna, quando sono in ballo vite concrete e prospettiva di esistenza libere da ogni carica micidiale di effetti nefasti, l'umanità riesce ancora a trovare in sé quella luce critica che la porta a respingere con forza le illusioni di un progresso ad ogni costo – tanto sono sempre altri a pagare! – federando libere volontà cementate in una unione salda e coerente contro ogni mito gratuito. Solo il conflitto e nel conflitto si apre la possibilità di discernere quanto di mitico si annida in un disegno che si camuffa dietro di esso per perseguire interessi di poteri forti, e quanto occorra realmente per una qualità della vita all'internodi un habitat da salvaguardare per sé e per le generazioni a venire.
Una lotta non delegata ai fautori del progresso, non tanto perché incitata da chissà chi, quanto perché coinvolgente ognuno e tutti nella propria dimensione singolare e collettiva, saprà rifiutare false alternative, adottando con la saggezza tipica di chi tutela solamente i benefici comuni quelle posizioni che sappiano spiazzare le seduzioni del progresso facile e a rutti i costi per rivolgersi invece a soluzioni compatibili e sostenibili con uno stile di vita aperto a ogni trasformazione che sia pilotata dalle libere volontà delle popolazioni coinvolte.

Massimo Tessitore

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