Siamo abituati a pensare l'idea e la pratica di progresso come una
caratteristica peculiare dell'era moderna. Da secoli ci hanno
raccontato una storia lineare, in cui le innovazioni (tecnologiche,
scientifiche, ecc.) superano costantemente in qualità e
precisione quelle delle generazioni precedenti, cumulando prestazioni
sempre più sofisticate e immagazzinando dati sempre più
poderosi in spazi sempre più ridotti e miniaturizzati.
A pensarci bene, però, questa narrazione ipermoderna e tutta
tecnica rinnova in realtà il mito arcaico di Cronos che divora i
propri figli finché non interviene Zeus a interrompere il gioco
assassinandolo. In effetti, ogni progresso della scienza e della
tecnologia ci viene venduto come una evoluzione indolore, mentre in
realtà non solo si divora la tecnologia precedente, lasciandoci
macerie ingestibili e non rottamabili, ma divora inoltre le nostre
stesse esistenze, lasciandoci un ambiente sconvolto, non più in
grado di autorigenerarsi.
Il mito del progresso, infatti, prende in considerazione il proprio
prodotto applicato in diverse sfere della nostra vita quotidiana, senza
tuttavia preoccuparsi di integrarli in un contesto ambientale
più ampio in cui tali sfere parziali di vita insistono sino a
raggiungere la dimensione di una forma-di-vita epocale. E non sempre
è facile attuare una transizione indolore tra forme-di-vita
diverse.
Se guardiamo al paesaggio della nostra Italia con lo sguardo rivolto
alla generazione passata, le differenze introdotto nella esistenza
quotidiana a partire dalle innovazioni del progresso risultano
notevoli, sino a modificare i contorni dei nostri orizzonti visivi e
percettivi. Le categorie che usavamo trent'anni fa non sono più
spendibili nel contesto odierno, esattamente come i problemi e le
soluzioni di allora sono insussistenti oggi, mentre ci troviamo di
fronte a questioni inedite a loro volta figlie dei disastri di quel che
abbiamo definito progresso.
Il mito, come sempre, ci blinda la vista: pensiamo in termini
autoreferenti, riflettiamo sui benefici del progresso in termini chiusi
e gretti sul nostro piccolo io quotidiano, misurando il giudizio di
valore sulla bontà del progresso limitatamente ai vantaggi che
ne conseguiamo. Veniamo oscurati dalla vista di ciò che non
funziona nella direzione di benefici collettivi, poiché
l'ideologia individualistica del liberalismo ritiene, altrettanto
miticamente, che l'utilità del singolo vale automaticamente
l'utilità collettiva. Purtroppo per tale ideologia, proprio la
questione ecologica ed ambientale, nata sull'onda di una acritica
esaltazione di ogni forma di progresso tout court, si è
incaricata di dimostrare, con drammatici dati alla mano, quanto siamo
costretti a far pagare alle generazioni seguenti
l'irresponsabilità del concorso folle verso il mito del
progresso.
Tutti noi, eredi del futurismo italiano, siamo convinti che la
velocità fa bene alle nostre vite, quando tale superstizione ci
rende ciechi di fronte al godimento della vita come idonea percezione
dei ritmi differenti con cui gustiamo il sapore della nostra esistenza
al mondo. La velocità accorcia il tragitto temporale della
nostra vita, scagliandoci verso una realtà ipermobile dalla
quale non solo non traiamo alcun beneficio, se non raramente, ma anzi
ricaviamo solo danni e lutti, registrati con criminale lucidità
dai tg serali del venerdì e del sabato: una carneficina del
progresso che fa più morti di una guerra. Ma in effetti abbiamo
dichiarato guerra alle nostre esistenze affidandoci totalmente e
ciecamente al mito del progresso.
Certo, la critica del progresso, spesso evoluto in direzione di una
successione tutto sommato insignificante di nuovi modelli, di nuove
merci, di nuovi stili di vita che nulla aggiungono in felicità
quelli che releghiamo alle spalle, non significa voler retrocedere
all'era della pietra, già per il solo fatto che tale ipotesi,
per alcuni provocazione affascinante, è assolutamente
impercorribile: la storia non fa salti indietro, e quando li fa li
compie sotto il forzato effetto di una catastrofe (per lo più
militare, bellica, nucleare, ambientale).
I miti si auto-legittimano da sé, spiazzando ogni considerazione
di ordine razionale in quanto pretendono di averla già
sottomessa ai propri imperativi irriflessi: occorre andare sempre
avanti!... specie se qualcuno può superarci approfittando della
nostra lentezza (decisionale, amministrativa, politica, economica,
ecc.). Tuttavia tale mito nasconde dietro di sé le macerie che
lascia, sia nello spazio del nostro habitat, sia nei territori da cui
preleviamo cinicamente e ingiustamente, sovente con violenza, quelle
materie prime con cui alimentiamo a dismisura l'orgoglio del nostro
progredire sempre avanti. Il prelievo energetico ormai insostenibile
che alimenta l'idea e la pratica del progresso onnivoro e devastante i
territori, cosa che caratterizza appunto la nostra civiltà
industriale (trasporti, servizi, circolazione delle merci, ecc.),
sconta la propria insostenibilità a lungo termine razziando e
depredando popoli e territori delle loro ricchezze piegate ad uso e
consumo del nostro sviluppo, mentre quelli sono sempre in via di…
È ora di valutare se l'ipotesi di guadagnare venti minuti di
tempo rispetto ad una accelerazione dei tempi di percorrenza, mettiamo,
di un tratto ferroviario possa essere legittimato dallo sterminio di
interi popoli nel sud del mondo che pagano il nostro progresso con la
depredazione delle risorse naturali e umane che vengono asservite ai
nostri fini. Il mito cela e vela questo nesso globale, confermando la
divisione del pianeta tra ricchi-e-potenti e poveri-e-indifesi, con la
beffa aggiuntiva di etichettare questo mondo ormai saturo di guerre e
ingiustizie con il nome beneaugurante di destino globale!
È noto ormai come il progresso modifichi le categorie con cui
instauriamo nessi di senso della nostra vita sulla terra, sino a
prefigurare addirittura una trasformazione azzardata perfino dei nostri
organismi, qualora geneticamente modificati. Sembra così che
quel mito arcaico di Cronos, reiterato dal mito goethiano del Faust e
da quello shelleiano di Frankenstein trovi oggi pieno compimento. La
distruzione dissipatrice di tutto ciò che non va in direzione
coerente con il progresso cancella pure le nostre facoltà di
scelta e di critica. Il mito, come la solito, ci priva della
facoltà critica con cui normalmente siamo soliti valutare la
bontà di qualcosa che, così facendo, entra nel mirino di
una attività interrogante senza pregiudizi in un senso o in un
altro. Il mito è pregiudizio, per il quale occorre accettare
ogni idea di progresso qualunque essa, qualunque cosa essa comporti,
qualsiasi siano le macerie che lascia dietro di sé.
Questo dispositivo di sistema trova poi nei poteri forti la carica
propulsiva che fa convergere nella ripetizione potente del mito stesso
altre forze capaci di guidare, orientare e blindare il consenso, ossia
i media asserviti politicamente. Guai a non assecondare le dotte
argomentazioni con cui intellettuali e politici si asservono
volontariamente al mito, abdicando alla funzione per cui vengono
profumatamente pagati, ossia la voce critica che rappresenta il popolo
sovrano. Per fortuna, quando sono in ballo vite concrete e prospettiva
di esistenza libere da ogni carica micidiale di effetti nefasti,
l'umanità riesce ancora a trovare in sé quella luce
critica che la porta a respingere con forza le illusioni di un
progresso ad ogni costo – tanto sono sempre altri a pagare!
– federando libere volontà cementate in una unione salda e
coerente contro ogni mito gratuito. Solo il conflitto e nel conflitto
si apre la possibilità di discernere quanto di mitico si annida
in un disegno che si camuffa dietro di esso per perseguire interessi di
poteri forti, e quanto occorra realmente per una qualità della
vita all'internodi un habitat da salvaguardare per sé e per le
generazioni a venire.
Una lotta non delegata ai fautori del progresso, non tanto
perché incitata da chissà chi, quanto perché
coinvolgente ognuno e tutti nella propria dimensione singolare e
collettiva, saprà rifiutare false alternative, adottando con la
saggezza tipica di chi tutela solamente i benefici comuni quelle
posizioni che sappiano spiazzare le seduzioni del progresso facile e a
rutti i costi per rivolgersi invece a soluzioni compatibili e
sostenibili con uno stile di vita aperto a ogni trasformazione che sia
pilotata dalle libere volontà delle popolazioni coinvolte.
Massimo Tessitore