Un migliaio di persone, nella tarda mattinata di sabato 16 gennaio,
hanno partecipato al corteo contro gli omicidi di stato, che ha
attraversato il centro di Livorno.
Per la prima volta è stata portata in piazza in una
manifestazione nazionale la denuncia della violenza dello stato, la
rabbia per i tanti, troppi morti, nelle carceri, nei reparti
psichiatrici o comunque per mano di apparati statali. Una
manifestazione che è nata per iniziativa di Maria Ciuffi, madre
di Marcello Lonzi, ucciso nel Luglio 2003 nel carcere "Le Sughere" di
Livorno. La decisione di organizzare il corteo era sorta dalla
necessità di fare delle pressioni, perché la procura di
Livorno accelerasse i tempi per la riapertura del processo sulla morte
di Marcello. Presto però l'iniziativa ha coinvolto anche i
familiari e gli amici di altre vittime, che contattate, hanno ritenuto
importante essere in piazza. Erano presenti i familiari di Carlo
Giuliani, Manuel Eliantonio, Niki Gatti, Riccardo Rasman, Giulio
Comuzzi, Stefano Frapporti, Bukaj Bledar. Appena prima della partenza
è stata letta al microfono una lettera di Rita Cucchi, madre di
Stefano Cucchi, per Maria Ciuffi. Il corteo ha poi attraversato le vie
del centro, aperto dallo striscione dei familiari "Verità e
giustizia", con le foto delle vittime dello stato.
Nessuna bandiera, come richiesto per evitare strumentalizzazioni, ma
molti gli striscioni. Quelli di singole famiglie o dei comitati che si
battono perché sia fatta luce sulla morte di queste persone,
quelli delle realtà anticarcerarie ed antipsichiatriche, di
altri gruppi che hanno voluto portare il loro appoggio, quelli degli
anarchici, presenti in gran numero al corteo.
Nel corso del corteo si sono susseguiti interventi al microfono,
riuscendo a far breccia nel clima montato dalla Questura. La
città, infatti, sin dalla prima mattina era stata blindata e
militarizzata in un modo mai visto prima a Livorno, almeno 200 tra
carabinieri, guardia di finanza e polizia in assetto antisommossa hanno
cercato di isolare il corteo, sono stati fatti chiudere negozi ed
addirittura farmacie, sono state fatte rimuovere auto, cestini e
cassonetti. Ad un certo punto la provocazione si è fatta
esplicita, da parte della digos, ma si è riusciti a proseguire
il corteo senza problemi. Gli interventi hanno più volte
denunciato questa paradossale ambientazione del corteo, esprimendo
anche il dolore e l'insicurezza che dà una tale
militarizzazione, a chi per mano dello stato ha perso un figlio o un
amico. L'isolamento non è però riuscito, molte le persone
ferme, sui marciapiedi, ad ascoltare, a chiedere, molte quelle alle
finestre, tanti anche gli applausi agli interventi da parte dei
passanti e di chi era affacciato. Al termine del corteo, di fronte al
Municipio, altri interventi hanno chiuso la manifestazione.
Molti si sono poi spostati presso l'Officina Sociale Refugio dove era
stato allestito un ristoro per i manifestanti, e dove familiari ed
amici delle vittime che avevano partecipato alla manifestazione, si
sono riuniti per fare il punto della situazione dopo il corteo.
Da questo incontro è emersa la necessità di continuare a
coordinarsi, contro abusi ed insabbiamenti da parte delle istituzioni,
per fare in modo che sabato 16 gennaio sia stata solo la prima tappa e
che simili iniziative possano aver luogo anche in altre città.
Nello stesso giorno della manifestazione, arriva la notizia
dell'ennesimo morto di carcere, Mohamed El Aboubj, sarebbe stato
scarcerato dopo un mese, era stato condannato per la rivolta del CIE di
Via Corelli a Milano, lo scorso agosto. Di carcere si muore, e in
Italia questa malattia uccide una persona ogni 60 ore, 6 dall'inizio
del 2010.
dario antonelli