Mentre in Italia si sta completando il progetto della rapina delle
risorse idriche, in Israele in autunno si è conclusa la 5°
edizione del Watec, la fiera internazionale delle risorse idriche e del
controllo ambientale, cui i rappresentanti delle cosche governative ed
affaristiche italiane non potevano mancare. Le iniziative della fiera
riguardano mirabolanti tecnologie su irrigazione avanzata,
dissalazione, gestione dell'acqua e controllo dei flussi,
qualità dell'acqua ecc.
In realtà, l'unica, vera tecnologia che il governo israeliano
potrebbe esportare è quella della rapina a mano armata delle
risorse idriche: nel 1967 si accaparra le risorse di Gaza, della
Cisgiordania e del Golan. Nel 1978 invade il Libano meridionale per
controllare il fiume Litani, anche se nel 2000 deve rinunciare a causa
della resistenza di Hezbollah. Il controllo delle alture del Golan –
chiamato il castello d'acqua – e delle sue risorse idriche permette di
espellere la popolazione araba della zona (quasi centomila persone).
Anche se solo il 3% del bacino del fiume Giordano si trova in
territorio israeliano, Israele capta e controlla il 75% delle sue
acque. Dunque la rapina dell'acqua avviene anche attraverso il
controllo statale: nel 1967 sono state promulgate due leggi, la prima
vieta di costruire qualsiasi nuova infrastruttura idraulica,
perforazione e pozzi senza autorizzazione, la seconda confisca le
risorse di acqua che sono considerate proprietà dello "Stato di
Israele". Per applicare la legge sull'acqua, Israele usa i decreti
militari.
Anche il controllo sull'estrazione dell'acqua è rigoroso: il
limite imposto per l'estrazione tramite perforazione è di 90
milioni di metri cubi all'anno per 400 villaggi palestinesi, mentre in
pochi anni la quantità destinata alle colonie è aumentata
del 100%. D'altro canto i pozzi palestinesi non possono superare la
profondità di 140 metri mentre quelli israeliani possono
arrivare fino a 800 metri. Il consumo d'acqua medio di un israeliano
è di 357 metri cubi all'anno, mentre quello di un palestinese
è di 84,6. Le due società Mekorot e Tahal che gestiscono
le risorse idriche a esclusivo vantaggio dei coloni ebrei,
distribuiscono poi l'acqua a prezzo maggiorato a quegli stessi
palestinesi cui l'hanno rubata.
In realtà, in Italia la privatizzazione arriva solo a completare
la manovra a tenaglia sulle risorse idriche. Pur avendo grandi
quantità di risorse naturali, l'Italia ha un consumo pro capite
di acqua in bottiglia vicino a quello degli Emirati Arabi. Attraverso
campagne mediatiche martellanti, gli italiani sono stati convinti e
costretti ad acquistare l'acqua in bottiglia col risultato di offrire
su di un piatto d'argento un affare miliardario alle solite
multinazionali. In Italia sono presenti 321 marchi di acqua in
bottiglia, quasi esclusivamente bottiglie di plastica, con una presenza
massiccia dei giganti del settore Nestlé (Svizzera) e Danone
(Francia), che riescono a far pagare l'acqua in bottiglia 100 o 200
volte in più di quella del rubinetto.
Ma visto che c'è ancora qualcuno che si ostina a bere l'acqua
pubblica, ecco arrivare la privatizzazione che finalmente sanerà
questo scandalo.
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