Ho steso queste brevi note (sintetiche e schematiche) come
contributo al dibattito che il Convegno di Milano del 7-8 novembre 2009
(organizzato dalla Commissione nazionale lavoro della FAI) ha auspicato
e, senza ulteriori preamboli, entro nel merito di alcune questioni in
quell'occasione evidenziate.
Che il sindacato debba dedicare spazio e strumenti alla formazione dei
militanti e dei lavoratori direi che è cosa ovvia, proprio per
la sua natura di organizzazione di difesa economica dei lavoratori
stessi.
Il problema è che cosa debba riguardare la formazione e in che modo venga messa a profitto e chi la debba fornire.
Direi che con formazione si debba intendere la diffusione delle
conoscenze e le modalità di utilizzo dei saperi necessari a
"fare sindacato".
Categorizzerei quindi la formazione necessaria al militante sindacale
nel seguente modo: formazione "politica" e formazione "tecnica".
Sulla prima avrei poco da dire se non che può derivare solo
dalle esperienze di lotta. Troverei surreale organizzare seminari ad
esempio sulle tecniche di gestione di assemblee, sulla stesura di
piattaforme rivendicative specifiche, sulla conduzione di trattative
con la controparte o addirittura sulle tecniche di reclutamento di
nuovi iscritti (che invece è sicuramente fondamentale per i
venditori di aspirapolvere Folletto). Tutto ciò si impara cammin
facendo, sbagliando e riprovando. Non ci sono escamotage didattitici,
né pareri di esperti che servano.
Sulla seconda invece mi pare che ci sia molto da dire non fosse altro
che per desacralizzare l'argomento e sottrarlo al monopolio degli
specialisti.
Distinguerei una formazione di base da una avanzata e professionale.
Alla formazione di base attengono le conoscenze fondamentali che
riguardano le condizioni di lavoro nello specifico della propria
azienda e della categoria. E' fin superfluo dire che la conoscenza del
contratto collettivo di lavoro e degli accordi integrativi è
indispensabile. Come indispensabile è conoscere i diritti
sindacali di base, sanciti dalla legge 300. Ugualmente necessario
conoscere le norme di sicurezza sul lavoro e tutto quello che riguarda
la nocività delle lavorazioni. Sono questi elementi base che non
producono sindacalisti, ma solo lavoratori coscienti delle implicazioni
di un rapporto di lavoro accettato spesso senza la necessaria
attenzione ai diritti di cui sono titolari. Lo stesso vale, e a maggior
ragione, per i lavoratori precari, la cui situazione lavorativa varia
spesso e il cui status è a volte incerto, ma dove conoscenza
delle principali forme di contratto atipico (sia quelle "storiche" che
quelle introdotte dalla famigerata legge Biagi) è ancora
più importante.
Mi pare che una discreta formazione di base su questi argomenti possa
essere ottenuta anche semplicemente facendo ricorso a ricerche mirate
su Internet, dove, insieme ai testi dei contratti, degli accordi e
delle leggi, è presente una consistente saggistica di commento e
di interpretazione. Ovvero, se c'è un problema è
piuttosto nella sovrabbondanza dell'informazione piuttosto che in una
sua carenza. Compito del "formatore" semmai selezionare il materiale.
La sua socializzazione, oggi, è resa più facile e veloce
con gli stessi strumenti informatici.
Si potrebbe ragionevolmente obiettare che ci sono problematiche
tecnico-sindacali che richiedono un maggior livello di
specializzazione. Posso solo portare l'esperienza che abbiamo fatto
come Usi-Liguria editando due opuscoli, uno sui conteggi della busta
paga e uno sulla questione mobbing, che possono essere usati come
vademecum per addentrarsi su questioni ritenute specialistiche. Sono
stati curati da un compagno che non è uno specialista e che ci
ha messo buona volontà e tempo libero. Non c'è motivo
perché questa soluzione non possa essere adottata anche per
altre problematiche ritenute troppo astruse: cito solo il calcolo della
liquidazione e quello del rendimento pensionistico.
Ovviamente ci sono situazioni nelle quali l'opera di uno "specialista"
è indispensabile: tutte quelle che comportano l'intervento della
magistratura del lavoro e dunque di un avvocato, ma qui siamo fuori
dall'ambito strettamente sindacale.
Rimangono i "servizi" che usualmente tutti i sindacati forniscono. Qui
si aprono un discorso particolare (vedi CAF) e uno generale. La
compilazione del 730 è a portata di chiunque e col modello
precompilato il lavoratore può recarsi presso i centri abilitati
alla ricezione (a volte sono anche nelle aziende) senza spendere un
euro. Fattibile quindi socializzare anche questo tipo di sapere, a meno
che non si consideri il proprio CAF come una fonte di finanziamento
dell'attività sindacale….
E questo ci porta alle questioni a carattere generale:
- la complessità crescente delle relazioni capitale/lavoro e le
loro codificazioni in leggi, norme e regolamenti, sembrano costringere
l'organizzazione economica dei lavoratori in un ruolo prevalentemente
notarile e specialistico. In realtà, come si è cercato di
dimostrare, non è una via obbligata, si possono socializzare e
diffondere i saperi presso i lavoratori in prima persona;
- per far questo, ovviamente, non è sufficiente la trasmissione
pura e semplice delle conoscenze, ma è necessario rendere ben
chiaro ai lavoratori che si avvicinano al sindacato che questi non
è sostitutivo della loro azione in prima persona, che la
conduzione delle lotte e la gestione della vertenzialità non
possono essere delegate a specialisti di sorta, che – detto brutalmente
- se cercano solo servizi possono andare da un'altra parte;
- anche sui diritti bisognerebbe fare chiarezza. Sappiamo tutti che i
diritti sindacali, come quelli sociali, sono codificazione di vecchi
rapporti di forza e che, banalmente, questi rapporti di forza non ci
sono più. Però spesso sembra che ce ne scordiamo e si
agita la parola d'ordine della loro difesa ad oltranza perché
sono "scritti", dunque "sacri e intangibili". Certo, bisogna difendere
come e dove si può ciò che è stato acquisito e
poi, si sa, la difesa "democraticista" è sempre un simpatico
escamotage tattico, una bella bandierina da sventolare per acchiappare
i tiepidi e gli opportunisti. Tuttavia ciò non basta, bisogna
dire ben chiaro ai lavoratori che è prioritario ricostruire una
consapevolezza di sé come appartenenti ad una classe, che
bisogna ricostruire rapporti di forza favorevoli e rilanciare lotte non
ingabbiate. I "diritti" vengono dopo e di conseguenza.
Chiudo qui per porre (e pormi) alcune domande:
- sono i compiti minimi che ho enunciato sufficienti a garantire un livello decente di difesa sindacale?
- quale struttura sindacale e quali livelli organizzativi sono strettamente necessari per adempiervi?
- è necessario essere belve della rivoluzione, commandos di
anarcosindacalisti duri e puri o idealisti anarchici, per riconoscere
che un modo diverso di fare sindacato è plausibile e fattibile,
assommando l'efficacia "tecnica" ad una struttura federalista,
autogestionaria e libertaria esente da derive specialistiche e/o
burocratiche?
- e infine, ci interessa tutto questo?
Guido Barroero