Umanità Nova, n.2 del 24 gennaio 2010, anno 90

Autodidatti contro burocrati


Ho steso queste brevi note (sintetiche e schematiche) come contributo al dibattito che il Convegno di Milano del 7-8 novembre 2009 (organizzato dalla Commissione nazionale lavoro della FAI) ha auspicato e, senza ulteriori preamboli, entro nel merito di alcune questioni in quell'occasione evidenziate.
Che il sindacato debba dedicare spazio e strumenti alla formazione dei militanti e dei lavoratori direi che è cosa ovvia, proprio per la sua natura di organizzazione di difesa economica dei lavoratori stessi.
Il problema è che cosa debba riguardare la formazione e in che modo venga messa a profitto e chi la debba fornire.
Direi che con formazione si debba intendere la diffusione delle conoscenze e le modalità di utilizzo dei saperi necessari a "fare sindacato".
Categorizzerei quindi la formazione necessaria al militante sindacale nel seguente modo: formazione "politica" e formazione "tecnica".
Sulla prima avrei poco da dire se non che può derivare solo dalle esperienze di lotta. Troverei surreale organizzare seminari ad esempio sulle tecniche di gestione di assemblee, sulla stesura di piattaforme rivendicative specifiche, sulla conduzione di trattative con la controparte o addirittura sulle tecniche di reclutamento di nuovi iscritti (che invece è sicuramente fondamentale per i venditori di aspirapolvere Folletto). Tutto ciò si impara cammin facendo, sbagliando e riprovando. Non ci sono escamotage didattitici, né pareri di esperti che servano.
Sulla seconda invece mi pare che ci sia molto da dire non fosse altro che per desacralizzare l'argomento e sottrarlo al monopolio degli specialisti.
Distinguerei una formazione di base da una avanzata e professionale.
Alla formazione di base attengono le conoscenze fondamentali che riguardano le condizioni di lavoro nello specifico della propria azienda e della categoria. E' fin superfluo dire che la conoscenza del contratto collettivo di lavoro e degli accordi integrativi è indispensabile. Come indispensabile è conoscere i diritti sindacali di base, sanciti dalla legge 300. Ugualmente necessario conoscere le norme di sicurezza sul lavoro e tutto quello che riguarda la nocività delle lavorazioni. Sono questi elementi base che non producono sindacalisti, ma solo lavoratori coscienti delle implicazioni di un rapporto di lavoro accettato spesso senza la necessaria attenzione ai diritti di cui sono titolari. Lo stesso vale, e a maggior ragione, per i lavoratori precari, la cui situazione lavorativa varia spesso e il cui status è a volte incerto, ma dove conoscenza delle principali forme di contratto atipico (sia quelle "storiche" che quelle introdotte dalla famigerata legge Biagi) è ancora più importante.
Mi pare che una discreta formazione di base su questi argomenti possa essere ottenuta anche semplicemente facendo ricorso a ricerche mirate su Internet, dove, insieme ai testi dei contratti, degli accordi e delle leggi, è presente una consistente saggistica di commento e di interpretazione. Ovvero, se c'è un problema è piuttosto nella sovrabbondanza dell'informazione piuttosto che in una sua carenza. Compito del "formatore" semmai selezionare il materiale. La sua socializzazione, oggi, è resa più facile e veloce con gli stessi strumenti informatici.
Si potrebbe ragionevolmente obiettare che ci sono problematiche tecnico-sindacali che richiedono un maggior livello di specializzazione. Posso solo portare l'esperienza che abbiamo fatto come Usi-Liguria editando due opuscoli, uno sui conteggi della busta paga e uno sulla questione mobbing, che possono essere usati come vademecum per addentrarsi su questioni ritenute specialistiche. Sono stati curati da un compagno che non è uno specialista e che ci ha messo buona volontà e tempo libero. Non c'è motivo perché questa soluzione non possa essere adottata anche per altre problematiche ritenute troppo astruse: cito solo il calcolo della liquidazione e quello del rendimento pensionistico.
Ovviamente ci sono situazioni nelle quali l'opera di uno "specialista" è indispensabile: tutte quelle che comportano l'intervento della magistratura del lavoro e dunque di un avvocato, ma qui siamo fuori dall'ambito strettamente sindacale.
Rimangono i "servizi" che usualmente tutti i sindacati forniscono. Qui si aprono un discorso particolare (vedi CAF) e uno generale. La compilazione del 730 è a portata di chiunque e col modello precompilato il lavoratore può recarsi presso i centri abilitati alla ricezione (a volte sono anche nelle aziende) senza spendere un euro. Fattibile quindi socializzare anche questo tipo di sapere, a meno che non si consideri il proprio CAF come una fonte di finanziamento dell'attività sindacale….
E questo ci porta alle questioni a carattere generale:
- la complessità crescente delle relazioni capitale/lavoro e le loro codificazioni in leggi, norme e regolamenti, sembrano costringere l'organizzazione economica dei lavoratori in un ruolo prevalentemente notarile e specialistico. In realtà, come si è cercato di dimostrare, non è una via obbligata, si possono socializzare e diffondere i saperi presso i lavoratori in prima persona;
- per far questo, ovviamente, non è sufficiente la trasmissione pura e semplice delle conoscenze, ma è necessario rendere ben chiaro ai lavoratori che si avvicinano al sindacato che questi non è sostitutivo della loro azione in prima persona, che la conduzione delle lotte e la gestione della vertenzialità non possono essere delegate a specialisti di sorta, che – detto brutalmente - se cercano solo servizi possono andare da un'altra parte;
- anche sui diritti bisognerebbe fare chiarezza. Sappiamo tutti che i diritti sindacali, come quelli sociali, sono codificazione di vecchi rapporti di forza e che, banalmente, questi rapporti di forza non ci sono più. Però spesso sembra che ce ne scordiamo e si agita la parola d'ordine della loro difesa ad oltranza perché sono "scritti", dunque "sacri e intangibili". Certo, bisogna difendere come e dove si può ciò che è stato acquisito e poi, si sa, la difesa "democraticista" è sempre un simpatico escamotage tattico, una bella bandierina da sventolare per acchiappare i tiepidi e gli opportunisti. Tuttavia ciò non basta, bisogna dire ben chiaro ai lavoratori che è prioritario ricostruire una consapevolezza di sé come appartenenti ad una classe, che bisogna ricostruire rapporti di forza favorevoli e rilanciare lotte non ingabbiate. I "diritti" vengono dopo e di conseguenza.

Chiudo qui per porre (e pormi) alcune domande:
- sono i compiti minimi che ho enunciato sufficienti a garantire un livello decente di difesa sindacale?
- quale struttura sindacale e quali livelli organizzativi sono strettamente necessari per adempiervi?
- è necessario essere belve della rivoluzione, commandos di anarcosindacalisti duri e puri o idealisti anarchici, per riconoscere che un modo diverso di fare sindacato è plausibile e fattibile, assommando l'efficacia "tecnica" ad una struttura federalista, autogestionaria e libertaria esente da derive specialistiche e/o burocratiche?
- e infine, ci interessa tutto questo?

Guido Barroero

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