Sul finire dell'anno appena trascorso, a quarant'anni dal fatidico
1969, un'intervista ad Oreste Scalzone ha fatto scaturire ricordi e
polemiche su quegli anni movimentati e ciclicamente evocati. In
realtà però non vi sono molte ricerche documentate a
disposizione di chi vorrebbe conoscere gli antefatti del Sessantotto in
Italia; tra queste una davvero meritevole d'interesse è quella
curata da Franco Schirone, La Gioventù Anarchica (Zero in
Condotta), che senza apologie né pentitismi ricostruisce quel
clima mettendo a fuoco novità, limiti e potenzialità di
quella che Marcuse ebbe a definire come "una ribellione allo stesso
tempo morale, politica, sessuale. Una ribellione totale".
A metà anni Sessanta, nel periodo poi miticamente definito come
quello del "boom economico", anche in Italia fanno irruzione giovani
con inedite soggettività. Si definiscono variamente come Provos,
Beat, Beatnicks, Pleiners, Nozems, Cavalieri del Nulla… mentre sui
giornali benpensanti (compreso "L'Unità") vengono genericamente
etichettati come "capelloni" piuttosto che come "contestatori".
È una presenza nomade che attraversa i confini nazionali, ma
soprattutto quelli mentali del conformismo dominante. Per questo
inquieta ed irrita i cittadini "normali" che si sentono derisi per la
loro sudditanza ai miti del consumismo e dell'ordine costituito.
Cartelli come "Borghese, non ridere di me, ma guardati e piangi", "La
vostra vita è una continua morte", "Meglio un Beat oggi che un
soldato domani", "Non schedate le vostre coscienze" mettono infatti il
dito nelle numerose piaghe del presente: la guerra in Vietnam, i ghetti
razziali negli Usa, la dittatura franchista in Spagna, l'alienazione
prodotta sia dal lavoro che da un vivere scontato, nonché un
soffocante moralismo bigotto che ha orrore di ogni libertà, a
partire da quelle sessuali.
Ad essere messa in discussione è l'intera struttura sociale:
dallo spettacolo della politica alla "psicopatologia del non vissuto
quotidiano" in "città dove c'è tutto e dove non
c'è nulla, dove proprio perché c'è tutto ad un
certo punto ci si accorge che si vive in mezzo agli oggetti".
Per questo, puntualmente, accorrono i poliziotti, i giornalisti, i
giudici, i prelati… con arresti, fogli di via, denunce e scomuniche,
nel tentativo di disinnescare questo dissenso esistenziale prima che
divenga rivolta sociale. Cosa che invece avviene quando questi
sommovimenti giovanili s'incontrano e s'intrecciano con le lotte
operaie autorganizzate e con la critica radicale delle minoranze
politiche, sia di vecchia data che di recente nascita, ma comunque
esterne al sistema dei partiti: dagli anarchici ai situazionisti, dai
consiliaristi ai nonviolenti, dai comunisti internazionalisti al
partito radicale, dai neo-luddisti ai gruppi del dissenso cattolico.
L'incontro più facile ed immediato è però quello
col movimento anarchico e, in particolare con la piccola ma
intraprendente FAGI (Federazione Anarchica Giovanile Italiana) che
sostenendo e difendendo la crescente avversione al "sistema" cerca di
trasformarla in consapevolezza rivoluzionaria antistatale e
anticapitalista.
Tale reciproca attrazione, tra anarchismo storico e nuovi ribelli,
conosce quindi significativi momenti di intesa, confronto ed anche di
stimolanti divergenze su mezzi, fini, interlocutori e prospettive di
liberazione.
Alcune critiche che vengono mosse, non solo da anarchici e marxisti,
verso i giovani "protestatari" è quella inerente la
sottovalutazione della lotta di classe. Interessante e ancora attuale,
a tal proposito, rileggere quanto scritto da alcuni situazionisti nei
confronti delle tesi dei Provos: "Hanno inventato la ridicola ideologia
del provotariato: ideologia destinata, secondo loro, a contrapporsi
alla pretesa passività e all'imborghesimento del proletariato,
luogo comune di tutti i cretini del secolo. Disperando di trasformare
la totalità, disperano delle sole forze che sono portatrici
della speranza di un superamento. Il proletariato è il motore
della società capitalistica e quindi il suo pericolo mortale:
tutto è fatto per reprimerlo (partiti, sindacati, burocrati,
polizia), poiché la sola forza realmente minacciosa".
Talune delle questioni allora più dibattute sono infatti le stesse che ancora oggi ricorrono all'interno dei movimenti.
Anche le diverse visioni rispetto alla violenza anticipano un dibattito
mai esaurito. Da un lato ci sono i pacifisti ad oltranza che rifiutano
ogni ricorso a metodi violenti, mentre gli aderenti alla FAGI tendono a
valorizzare i mezzi "dinamici e incruenti, anche illegali" della
"guerriglia anarchica di liberazione" pur senza rinunciare a quelli
storicamente necessari per difendere la dignità umana e
conquistare la libertà egualitaria. Posizione questa condivisa
pure dagli "anziani" della FAI che, senza rinnegare la violenza
rivoluzionaria, mettono in guardia dalla sua mitizzazione che, nel
passato come nel presente, comporta il rischio di derive autoritarie.
Si discute anche se sia preferibile sviluppare strutture organizzate
con una definita impostazione ideologica, o se sia più efficace
una partecipazione sommersa all'interno delle esperienze di base che
nascono dai contesti di lotta o da particolari rivendicazioni.
Gli stessi militanti della FAGI non giungono a una sintesi, in parte
entusiasti per l'autonomo sorgere dei CUB (Comitati Unitari di Base)
tra i lavoratori e in parte favorevoli al rilancio
dell'anarcosindacalismo.
La storia di un quarantennio di lotte non ha ancora sciolto
quell'interrogativo e, semmai, ha attenuato proprio tale antitesi; ma
all'epoca fu motivo anche di forti contrapposizioni tattiche e
metodologiche.
Va comunque osservato che la persistenza di un anarchismo militante ha
garantito il guado dei successivi periodi devastati dal disimpegno,
dalla pacificazione e dalla repressione; mentre lo "spontaneismo"
veniva assorbito con poche carote o debellato con numerose bastonate.
D'altro canto, la capacità di cogliere le profonde
contraddizioni insite nel modello di vita e di relazione sociale
dettato dal sistema di produzione ancora oggi offre la
possibilità di aprire, fuori e dentro ogni individuo, un fronte
sensibile e dirompente per la società autoritaria nonché
mortalmente uniforme.
emmerre