A cura della Commissione Lavoro della Federazione Anarchica Milanese
bel-lavoro@federazioneanarchica.org
50 dipendenti della Multimedia Planet di Trapani (Gruppo Phonemedia)
da giorni occupano la sede dell'azienda, situata al primo piano di
palazzo Venuti, per protestare contro il mancato pagamento degli
stipendi.
Una situazione che si protrae ormai da ben 4 mesi e che coinvolge 10
dipendenti assunti a tempo indeterminato e circa 200 tra co.co.pro.,
tempo determinato ecc. A Trapani lavorano nel settore dei callcenter
ben 600 addetti: alcuni sono dipendenti della Multimedia Planet, altri
della società B2B, con commesse che giungono dalle maggiori
società italiane di Telecomunicazione e dei sondaggi.
Queste due realtà sono entrate da tempo nell'orbita della
Società Phonemedia (Gruppo Omega Spa), nomi già molto
noti alle cronache per le centinaia di lavoratori che in tutta Italia
da mesi attendono invano i propri stipendi e che hanno dato vita a
proteste particolarmente forti.
Attualmente, all'esterno del Palazzo Venuti, è stato appeso un
grande cartello con la scritta "occupazione permanente" - mentre gli
occupanti si alternano a turno nei locali dell'azienda per mantenere
una presenza consistente - "... l'occupazione continuerà fino a
quando non avremo risposte concrete e dalla prossima settimana siamo
pronti anche a iniziare lo sciopero della fame".
Se l'attuale tendenza nelle aziende italiane è quella di
stringere i cordoni della borsa mediante tagli, ristrutturazioni,
esternalizzazioni e quant'altro, poteva la principale azienda del
gruppo Berlusconi esimersi dall'applicare la medesima "ricetta" ai
propri dipendenti? Ovviamente no! Ed ecco che il 10 e 11 gennaio scorso
si è svolto uno sciopero con presidio dinanzi ai cancelli della
Videotime di Cologno M.se e Roma per protestare contro la
esternalizzazione di 56 addette al settore trucco acconciature e
sartoria, che verrebbe ceduto dal 1 febbraio prossimo alla Pragma
Service Srl con sede a Pioltello (MI). Le scioperanti hanno raccolto
solidarietà tra i loro colleghi, tanto che i giornalisti del Tg5
hanno ritirato le firme nell'edizione delle 20 del giorno 10
poiché l'azienda aveva impedito la lettura di un comunicato
sindacale in solidarietà con le lavoratrici in sciopero. Lo
sciopero ha di fatto messo in crisi la macchina dello spettacolo made
in biscione, causando la sospensione di alcuni programmi di
successo. Apparire senza "trucchi" non è nella strategia
imprenditoriale del "capo"… soprattutto in quella della sua politica.
La lotta contro il lavoro precario, qualche volta, è fatta
anche di ricorsi alla legge e di tentativi di contrastare i padroni sul
terreno legislativo. Qualche volta finisce bene. È quello
che sta accadendo, ad esempio, all'aeroporto milanese di Malpensa, dove
sono centinaia i lavoratori, dipendenti delle diverse società
presenti, che hanno intrapreso la battaglia per ottenere contratti di
assunzione a tempo indeterminato. Nella prima settimana dell'anno,
dodici lavoratori della Aviapartner hanno visto riconosciute le loro
ragioni e ottenuto l'immediato reintegro. Di questi dodici, ben dieci
sono stranieri. Nelle prossime settimane, altre decine di lavoratori,
di questa e di altre società, avvieranno altre cause. Sembra
ormai evidente, infatti, che quasi tutte le società presenti in
aeroporto utilizzano le norme per assumere personale in maniera
totalmente scorretta e non conforme alle leggi e ai contratti. "Questi
risultati ci confortano – dicono alla Cub Trasporti, che ha seguito le
vertenze – la nostra battaglia contro il precariato continua".
Forti di questi importanti risultati, si estende la lotta, per un
lavoro sicuro e giustamente remunerato.
Rosario M. lavorava, precario, da diversi anni come magazziniere,
per una grande impresa di abbigliamento a Novara. In seguito a continui
furti che avvenivano in azienda, gli chiesero d'indagare, ma quando
indicò gli autori, tutti interni alla ditta, lo licenziarono.
Tornato a Gela nel 2007 inizia un vero e proprio calvario per lui e la
sua famiglia, composta dalla moglie e tre figlie, rispettivamente di 5,
2 e un anno. Nell'ultimo periodo svolge una attività di
guardiano in cantiere edile, con uno stipendio di 700 euro mensili, in
nero. Quando chiede alla ditta il pagamento degli arretrati e un
aumento dello stipendio, per tutta risposta, il padrone lo licenzia.
Dopo un mese, rimasto senza lavoro, preso dalla disperazione per non
poter dare da mangiare alla famiglia, nella giornata del 30 dicembre
del 2009, tenta di buttarsi dal ponte del fiume di Gela, ma viene
fermato in tempo dall'interessamento di alcuni passanti. Solo a questo
punto intervengono i servizi sociali del comune, fornendo alla
famiglia, che vive in un alloggio popolare occupato nella periferia, i
generi alimentari indispensabili alla sopravvivenza.
Prosegue la vicenda dei lavoratori edili coinvolti nel crollo
dell'edilizia a Dubai. Il 23 Dicembre scorso 900 lavoratori edili e 70
impiegati, dipendenti della Robust Contracting Company, hanno
abbandonato i cantieri e sono scesi in sciopero per ottenere il
pagamento di ben 3 mensilità di stipendio che la società
non ha ancora provveduto a versare, dichiarando che non sarebbero
rientrati nei cantieri finché non avessero ricevuto quanto loro
dovuto. Quella mattina si erano recati sul posto di lavoro fidandosi
della promessa fatta dalla Robust, secondo la quale avrebbero trovato
l'ufficio paghe aperto per provvedere ai pagamenti (un salario mensile
medio si aggira sui 150 dollari). Ancora una volta, la promessa non
è stata mantenuta. "Non abbiamo denaro, non abbiamo cibo, non
possiamo pensare di lavorare in queste condizioni e non ci fidiamo
più delle tante promesse che ci sono state fatte" - hanno
dichiarato alla stampa locale. Lo sciopero è poi proseguito nei
giorni successivi, fino a quando la Robust si è dovuta
formalmente impegnare con le autorità locali a pagare gli
stipendi entro 5 giorni.
Che la situazione alla Alcoa fosse rimasta sul filo del rasoio lo
sapevano gli stessi lavoratori che a dicembre avevano invaso in
manifestazione le strade di Roma e che, a seguito delle rassicurazioni
del governo, erano tornati a casa senza farsi soverchie illusioni, per
poi effettuare uno dei "sequestri di manager". Uno sport che sta
prendendo piede in Italia anche se poi autorità locali, polizia,
governo, stampa e sindacati negano risolutamente che si tratti di
sequestri.
A distanza di un mese i nodi sono tornati al pettine e l'azienda, di
fronte a un governo che non è stato finora in grado di dare
risposte certe, ha annunciato l'11 gennaio l'avvio delle
procedure per il ricorso alla cassa integrazione, facendo ripartire
alla grande le proteste.
I lavoratori, infatti, hanno ripreso le azioni di lotta, iniziando il
13 gennaio con l'occupazione per 3 ore dei binari della linea
Cagliari-Decimomannu alla periferia di Cagliari e provocando il tal
modo il caos sulla rete ferroviaria dell'isola intera.
Venerdì 15, inoltre, la protesta si sposta ancora una volta a
Roma, di fronte alla ambasciata americana, dove già a dicembre
gli operai avevano dato una chiara dimostrazione della loro
determinazione e intenzione di difendere con i denti il posto di
lavoro. Con loro manifestano anche i colleghi dello Stabilimento Alcoa
di Fusina (Ve) che il giorno 11 hanno scioperato, bloccando per un'ora
il traffico sul cavalcavia di San Giuliano, tra Venezia e Mestre.