Umanità Nova, n.3 del 31 gennaio 2010, anno 90

I ribelli del No Tav


Cominciamo dalla fine.1 Nella notte tra il 23 e il 24 gennaio un incendio devasta il presidio di Borgone, uno dei primi a nascere nella tarda primavera del 2005. È la risposta dei Si Tav alla settimana di lotta culminata con l'immenso corteo No Tav che nel pomeriggio aveva sfilato a Susa.
Una reazione scomposta, chiaro indice dell'affanno che attraversa il fronte bipartisan dei Si Tav. Affidano i lavori sporchi a chi li sa fare: compagni di merende di ogni buon affare, dove i soldi pubblici vanno a finanziare la lobby del cemento e del tondino, gente senza la puzza al naso, che ha sponsor al governo e all'opposizione e buoni amici dove conta. Poco importa che siano rispettabili imprenditori della truffa legalizzata o meno presentabili esponenti del sottobosco illegale che prolifera all'ombra di ogni appalto pubblico che si rispetti.
Ai Si Tav non basta la stampa amica, non bastano gli appoggi a destra e a sinistra, non bastano le dichiarazioni ridicole di Chiamparino e Matteoli, sindaco PD di Torino l'uno, ministro (post)fascista l'altro, che pretendono che i 40.000 che hanno sfilato a Susa per dire No al Tav siano solo una ridicola minoranza, adesso ricorrono anche agli attentati notturni pur di fiaccare la resistenza No Tav. Una resistenza che nell'ultima settimana che messo in seria difficoltà i sondaggi avviati il 12 gennaio e costantemente contrastati.
Ma facciamo un passo indietro.

Martedì 19 gennaio, Susa.
Nella notte, intorno alle 3, una lunga colonna di automezzi parte da Torino. Centinaia e centinaia di carabinieri, poliziotti e finanzieri accompagnano una trivella in Val Susa. Siamo nel piazzale della Sitaf, sull'autostrada Torino Bardonecchia, la A32. Qui, nella grigia palazzina che domina l'area, si dividono gli spazi gli uffici della società che gestisce l'autostrada e quelli della Polstrada. Un fortilizio inaccessibile.
Il tam tam degli sms parte subito. Molti raggiungono il presidio piazzato all'autoporto sin dalle prime ore dell'alba, altri arrivano dopo, altri ancora nel pomeriggio. La tensione è altissima, in alcuni prevale lo sconforto, perché le truppe sono riuscite a passare. Ma dura poco. Intorno alle 10 del mattino rombano i tamburi di guerra dei "galli" del presidio, che battono con rami e sassi il guardrail. È il frastuono infernale che annuncia la marcia dei NO Tav sull'autostrada, verso la zona dove è stata piazzata la trivella. Il traffico autostradale viene bloccato per oltre due ore.
Nel pomeriggio l'assemblea al presidio dura pochissimo. Le poche centinaia del mattino si sono più che triplicati. La partecipazione è vasta e calda: tutti si pronunciano per l'azione diretta. Parte un nuovo blocco dell'autostrada: si marcia sino alla trivella, sorvegliata da un imponente apparato di uomini in armi. La battitura è un fragore che fa salire la temperatura anche se siamo parecchio sotto zero.
Ancora una volta, per piazzare una trivella che sta su un camion di cinque metri sono arrivati di notte, accompagnati da un esercito, mentre i No Tav paralizzavano per ben due volte l'autostrada.
Buon per chi vuol far credere che la resistenza, all'ombra del Rocciamelone, si sia sopita.
Dopo due giorni e due buchi, la trivella se ne va. I lavori che dovevano durare settimane finiscono nel giro 48 ore. Siamo nella valle dei miracoli.

Martedì 19 gennaio, Torino.
I No Tav di Torino, alla notizia della trivella piazzata a Susa, sin dalla notte decidono un presidio davanti alla RAI, che nel suo telegiornale regionale, da sempre sponsorizza i Si Tav.
Un centinaio di persone rispondono all'appello e manifestano in strada. Gianfranco Bianco, giornalista noto per la sua sfacciata difesa degli interessi legati al Tav, è obbligato ad uscire scortato dalla polizia tra le grida "pagliaccio" e "sarà dura!".
Un intraprendente No Tav riesce a issare al pennone della RAI una bandiera con il treno crociato.

In serata un gruppo di No Tav appende uno striscione davanti al cancello della CGIL in via Pedrotti. Sullo striscione è scritto "Pibiri calunniatore. Amico dei padroni. No tav No trivelle".
Vi abbiamo già parlato di Gianni Pibiri. È il segretario della Fillea Cgil, il sindacato degli edili, da sempre schierato con i Si Tav. In un comunicato diffuso la settimana precedente aveva accusato i No Tav del presidio di Collegno di violenze contro gli operai. Menzogne che ribadisce, rincarando la dose, in un'intervista rilasciata a Massimo Numa e uscita sul quotidiano "La Stampa". Pibiri definisce i No Tav "estremisti che hanno tutto questo tempo libero da dedicare ai presidi e alle violenze", "figli di papà" che non si "devono guadagnare il pane".
Il giorno successivo la Cgil esce con un comunicato di solidarietà a Pibiri, oggetto di "intimidazioni" da parte di "violenti". A poco valgono le prese di distanza della minoranza Cgil, che in assemblee e incontri ai presidi si limita a suggerire ai propri iscritti in valle di sostenerla al congresso. Nessuno di loro ha il coraggio di prendere carta e penna e schierarsi in modo inequivoco, segno della costante ambiguità di non pochi burocrati, che, quando non corrono rischi, si danno una patina di sinistra.

Mercoledì 20 gennaio, Condove/Chiusa S. Michele.
Arrivano di notte anche alla stazione di Condove. Il solito piccolo esercito a difesa della trivella della ditta Geomont di Bussoleno. Ma il comitato di accoglienza si forma subito. La stazione di Condove, che serve anche il comune di Chiusa, è tra la statale 25 e la statale 24.
La polizia blocca il collegamento tra le due statali, impedendo il passaggio. I No Tav si piazzano dai due lati circondando la polizia. Si formano due presidi. Giovani e anziani parlano, discutono, decidono insieme senza deleghe. Ancora una volta la Valsusa diventa un gigantesco laboratorio di partecipazione popolare, di assemblee in cui gli attivisti di sempre sono affiancati da gente comune che assapora il gusto della partecipazione, dell'azione diretta, del blocco, della barricata.
Nel primo mattino la polizia mena qualche colpo verso alcuni No Tav che cercano di andare a "prendere il treno". Nella tarda mattinata i No Tav si danno appuntamento alla stazione di S. Antonino. Le bandiere allungate verso i binari convincono il TGV a fermarsi. Il sindaco di S. Antonino, l'ex No Tav Antonio Ferrentino, ha finalmente la stazione internazionale che sogna per il paese. Un sms lo avvisa subito dell'evento. Quelli del presidio permanente che si è formato lì sin dalla settimana precedente preparano un cartello azzurro con la scritta "Stazione internazionale 'La Trippa'. Vota Antonio". Appena il tempo di tagliare il nastro per l'inaugurazione e subito si riparte. Tutti di corsa sul regionale che è stato fatto passare davanti al TGV. Il cavallo di Troia arriva alla stazione di Condove e i No Tav corrono verso la trivella. I carabinieri si affannano a chiudere il varco, vola qualche manganellata. Un anarchico di Collegno ne esce con braccio rotto. Ma non è finita. In serata dal presidio parte un corteo che, passando per i viottoli, blocca la stazione, mentre barricate incendiate di tronchi chiudono la strada ai mezzi di polizia. Un'intera colonna è obbligata a fare dietrofront. Nella notte la trivella viene portata via. Ha battuto tutti i precedenti record: è durata meno di 18 ore.

Mercoledì 20 gennaio, Torino.
La sala di corso Ferrucci è strapiena per l'assemblea organizzata da No Tav Autogestione, Osservatorio Ecologico e (ex) presidio di Collegno. Si fa il punto della situazione e si discute lungamente della necessità di rendere più incisiva la resistenza anche a Torino e cintura, contrastando i sondaggi e facendo informazione. Si decide inoltre di partecipare al corteo del sabato successivo con lo striscione "Torino e cintura: sarà dura. No Tav No Trivelle". Nella zona di via Eritrea, si organizza per il mercoledì successivo, un presidio informativo per la gente della zona, che sarebbe pesantemente investita dal treno degli affari.

Giovedì 21 gennaio, Torino.
L'ineffabile commissario straordinario per la Torino Lyon annuncia una tregua, ma mente. Arrivano sempre più presto. Intorno a mezzanotte e mezza, quando un gruppetto di No Tav giunge per dare un'occhiata alla zona, la trivella per il sondaggio 61, quella di via Fermi, è già piazzata. Un faro potentissimo illumina questa strada nell'estrema periferia torinese, a Basse di Stura, tra le fabbriche e il nulla dell'area limitrofa alla discarica. Polizia e carabinieri sorvegliano l'area. Nella via non c'è nessuno. Il gruppetto di No Tav decide sui due piedi di tirare fuori le bandiere e improvvisare una protesta. Gli uomini a difesa della trivella e degli interessi milionari che rappresenta vanno in fibrillazione: subito arrivano camionette su camionette, i carabinieri si schierano con il casco calato, i digos si moltiplicano. La scena è surreale. Fari e centinaia di uomini in armi circondano sei No Tav armati di bandiere. La neve che comincia a cadere da il tocco finale.
Il presidio si ingrossa un po': nell'ora successiva si arriva ad una ventina di manifestanti.
Dopo due ore si tiene una breve assemblea e si decide di lasciare da soli i birilli che sorvegliano la trivella per il super treno.
Nella notte un'altra trivella compare in strada dell'aeroporto, in una zona degradata ed inaccessibile, il posto giusto per trivellare lontano dalle proteste.
Il giorno successivo, siamo a venerdì 22, si torna in forze in via Fermi, dando vita ad un presidio con fuochi, cibo, vino e la voglia di mettersi in mezzo. Alcuni camion diretti alla trivella devono deviare, stessa sorte tocca anche ad un grosso mezzo diretto ad un cava il cui autista esibiva, nel bianco del tricolore, il faccione di Mussolini.

Sabato 23 gennaio, Susa.
Il corteo è un serpente infinito. Ci sono i comitati, la gente comune, gli attivisti di sempre e i giovani che nel 2005 erano ancora bambini. Decine di migliaia. La questura dice ventimila, per noi il doppio. Una risposta anticipata al sindaco di Torino che, il giorno successivo, si troverà al Lingotto per l'incontro Si Tav da lui promosso con 800 persone, in gran parte politici, imprenditori, e sindacalisti come Gianni Pibiri (e già, proprio lui!). Chiamparino voleva fare la marcia dei 40.000 ma ha fatto un buco nell'acqua. I 40.000 c'erano, ma a Susa. I No Tav che hanno bloccato i treni e le autostrade sono l'anima di un movimento vivo e deciso a resistere, che cresce anche all'area metropolitana di Torino. Ben visibili davanti allo striscione dei No Tav torinesi le bandiere rosse e nere dello spezzone anarchico. Il giorno dopo "La Stampa" in un insospettabile impeto di sincerità scriverà a proposito della partecipazione di studenti dell'onda, autonomi e anarchici "che sono ben integrati nell'esperienza di democrazia partecipativa della Val Susa", ben diversamente dai politici di PRC, Sinistra Critica, Verdi e IDV, venuti in valle "a caccia di consenso" ma, come dice un manifestante al termine del corteo in piazza del Sole, "non hanno capito che non li votiamo". La gente ha imparato la lezione: li ha visti all'opera nel governo Prodi e sa che fanno un gioco sporco.

Domenica 24 gennaio, Borgone.
Di fronte alle macerie fumanti del presidio incendiato nella notte i No Tav non si perdono d'animo e cominciano subito a ricostruire. In serata a Borgone si mangia e si beve alla faccia di chi lavora di notte con la benzina, sperando inutilmente di fare paura. Qui la gente è "bugianen", non schioda ma si radica di più quando viene attaccata.

Domenica 24 gennaio, Torino.
Adesso arrivano anche la domenica, sperando che la stanchezza prevalga, che le energie siano tutte assorbite dall'attentato a Borgone. Ma gli va male. Di fronte alla trivella messa in strada antica di Grugliasco e a quella piazzata in corso Allamano si raduna un gruppetto di No Tav che lancia per il pomeriggio un nuovo presidio. Fuochi, cibo, volantini e striscioni segnalano che anche a Torino e cintura "Sarà dura".

Maria Matteo

1 Ancora una volta la cronaca densissima assorbe tutto lo spazio. Rimandiamo quindi ancora un necessario approfondimento.

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