Cominciamo dalla fine.1 Nella notte tra il 23 e il 24 gennaio un
incendio devasta il presidio di Borgone, uno dei primi a nascere nella
tarda primavera del 2005. È la risposta dei Si Tav alla
settimana di lotta culminata con l'immenso corteo No Tav che nel
pomeriggio aveva sfilato a Susa.
Una reazione scomposta, chiaro indice dell'affanno che attraversa il
fronte bipartisan dei Si Tav. Affidano i lavori sporchi a chi li sa
fare: compagni di merende di ogni buon affare, dove i soldi pubblici
vanno a finanziare la lobby del cemento e del tondino, gente senza la
puzza al naso, che ha sponsor al governo e all'opposizione e buoni
amici dove conta. Poco importa che siano rispettabili imprenditori
della truffa legalizzata o meno presentabili esponenti del sottobosco
illegale che prolifera all'ombra di ogni appalto pubblico che si
rispetti.
Ai Si Tav non basta la stampa amica, non bastano gli appoggi a destra e
a sinistra, non bastano le dichiarazioni ridicole di Chiamparino e
Matteoli, sindaco PD di Torino l'uno, ministro (post)fascista l'altro,
che pretendono che i 40.000 che hanno sfilato a Susa per dire No al Tav
siano solo una ridicola minoranza, adesso ricorrono anche agli
attentati notturni pur di fiaccare la resistenza No Tav. Una resistenza
che nell'ultima settimana che messo in seria difficoltà i
sondaggi avviati il 12 gennaio e costantemente contrastati.
Ma facciamo un passo indietro.
Martedì 19 gennaio, Susa.
Nella notte, intorno alle 3, una lunga colonna di automezzi parte da
Torino. Centinaia e centinaia di carabinieri, poliziotti e finanzieri
accompagnano una trivella in Val Susa. Siamo nel piazzale della Sitaf,
sull'autostrada Torino Bardonecchia, la A32. Qui, nella grigia
palazzina che domina l'area, si dividono gli spazi gli uffici della
società che gestisce l'autostrada e quelli della Polstrada. Un
fortilizio inaccessibile.
Il tam tam degli sms parte subito. Molti raggiungono il presidio
piazzato all'autoporto sin dalle prime ore dell'alba, altri arrivano
dopo, altri ancora nel pomeriggio. La tensione è altissima, in
alcuni prevale lo sconforto, perché le truppe sono riuscite a
passare. Ma dura poco. Intorno alle 10 del mattino rombano i tamburi di
guerra dei "galli" del presidio, che battono con rami e sassi il
guardrail. È il frastuono infernale che annuncia la marcia dei
NO Tav sull'autostrada, verso la zona dove è stata piazzata la
trivella. Il traffico autostradale viene bloccato per oltre due ore.
Nel pomeriggio l'assemblea al presidio dura pochissimo. Le poche
centinaia del mattino si sono più che triplicati. La
partecipazione è vasta e calda: tutti si pronunciano per
l'azione diretta. Parte un nuovo blocco dell'autostrada: si marcia sino
alla trivella, sorvegliata da un imponente apparato di uomini in armi.
La battitura è un fragore che fa salire la temperatura anche se
siamo parecchio sotto zero.
Ancora una volta, per piazzare una trivella che sta su un camion di
cinque metri sono arrivati di notte, accompagnati da un esercito,
mentre i No Tav paralizzavano per ben due volte l'autostrada.
Buon per chi vuol far credere che la resistenza, all'ombra del Rocciamelone, si sia sopita.
Dopo due giorni e due buchi, la trivella se ne va. I lavori che
dovevano durare settimane finiscono nel giro 48 ore. Siamo nella valle
dei miracoli.
Martedì 19 gennaio, Torino.
I No Tav di Torino, alla notizia della trivella piazzata a Susa, sin
dalla notte decidono un presidio davanti alla RAI, che nel suo
telegiornale regionale, da sempre sponsorizza i Si Tav.
Un centinaio di persone rispondono all'appello e manifestano in strada.
Gianfranco Bianco, giornalista noto per la sua sfacciata difesa degli
interessi legati al Tav, è obbligato ad uscire scortato dalla
polizia tra le grida "pagliaccio" e "sarà dura!".
Un intraprendente No Tav riesce a issare al pennone della RAI una bandiera con il treno crociato.
In serata un gruppo di No Tav appende uno striscione davanti al
cancello della CGIL in via Pedrotti. Sullo striscione è scritto
"Pibiri calunniatore. Amico dei padroni. No tav No trivelle".
Vi abbiamo già parlato di Gianni Pibiri. È il segretario
della Fillea Cgil, il sindacato degli edili, da sempre schierato con i
Si Tav. In un comunicato diffuso la settimana precedente aveva accusato
i No Tav del presidio di Collegno di violenze contro gli operai.
Menzogne che ribadisce, rincarando la dose, in un'intervista rilasciata
a Massimo Numa e uscita sul quotidiano "La Stampa". Pibiri definisce i
No Tav "estremisti che hanno tutto questo tempo libero da dedicare ai
presidi e alle violenze", "figli di papà" che non si "devono
guadagnare il pane".
Il giorno successivo la Cgil esce con un comunicato di
solidarietà a Pibiri, oggetto di "intimidazioni" da parte di
"violenti". A poco valgono le prese di distanza della minoranza Cgil,
che in assemblee e incontri ai presidi si limita a suggerire ai propri
iscritti in valle di sostenerla al congresso. Nessuno di loro ha il
coraggio di prendere carta e penna e schierarsi in modo inequivoco,
segno della costante ambiguità di non pochi burocrati, che,
quando non corrono rischi, si danno una patina di sinistra.
Mercoledì 20 gennaio, Condove/Chiusa S. Michele.
Arrivano di notte anche alla stazione di Condove. Il solito piccolo
esercito a difesa della trivella della ditta Geomont di Bussoleno. Ma
il comitato di accoglienza si forma subito. La stazione di Condove, che
serve anche il comune di Chiusa, è tra la statale 25 e la
statale 24.
La polizia blocca il collegamento tra le due statali, impedendo il
passaggio. I No Tav si piazzano dai due lati circondando la polizia. Si
formano due presidi. Giovani e anziani parlano, discutono, decidono
insieme senza deleghe. Ancora una volta la Valsusa diventa un
gigantesco laboratorio di partecipazione popolare, di assemblee in cui
gli attivisti di sempre sono affiancati da gente comune che assapora il
gusto della partecipazione, dell'azione diretta, del blocco, della
barricata.
Nel primo mattino la polizia mena qualche colpo verso alcuni No Tav che
cercano di andare a "prendere il treno". Nella tarda mattinata i No Tav
si danno appuntamento alla stazione di S. Antonino. Le bandiere
allungate verso i binari convincono il TGV a fermarsi. Il sindaco di S.
Antonino, l'ex No Tav Antonio Ferrentino, ha finalmente la stazione
internazionale che sogna per il paese. Un sms lo avvisa subito
dell'evento. Quelli del presidio permanente che si è formato
lì sin dalla settimana precedente preparano un cartello azzurro
con la scritta "Stazione internazionale 'La Trippa'. Vota Antonio".
Appena il tempo di tagliare il nastro per l'inaugurazione e subito si
riparte. Tutti di corsa sul regionale che è stato fatto passare
davanti al TGV. Il cavallo di Troia arriva alla stazione di Condove e i
No Tav corrono verso la trivella. I carabinieri si affannano a chiudere
il varco, vola qualche manganellata. Un anarchico di Collegno ne esce
con braccio rotto. Ma non è finita. In serata dal presidio parte
un corteo che, passando per i viottoli, blocca la stazione, mentre
barricate incendiate di tronchi chiudono la strada ai mezzi di polizia.
Un'intera colonna è obbligata a fare dietrofront. Nella notte la
trivella viene portata via. Ha battuto tutti i precedenti record:
è durata meno di 18 ore.
Mercoledì 20 gennaio, Torino.
La sala di corso Ferrucci è strapiena per l'assemblea
organizzata da No Tav Autogestione, Osservatorio Ecologico e (ex)
presidio di Collegno. Si fa il punto della situazione e si discute
lungamente della necessità di rendere più incisiva la
resistenza anche a Torino e cintura, contrastando i sondaggi e facendo
informazione. Si decide inoltre di partecipare al corteo del sabato
successivo con lo striscione "Torino e cintura: sarà dura. No
Tav No Trivelle". Nella zona di via Eritrea, si organizza per il
mercoledì successivo, un presidio informativo per la gente della
zona, che sarebbe pesantemente investita dal treno degli affari.
Giovedì 21 gennaio, Torino.
L'ineffabile commissario straordinario per la Torino Lyon annuncia una
tregua, ma mente. Arrivano sempre più presto. Intorno a
mezzanotte e mezza, quando un gruppetto di No Tav giunge per dare
un'occhiata alla zona, la trivella per il sondaggio 61, quella di via
Fermi, è già piazzata. Un faro potentissimo illumina
questa strada nell'estrema periferia torinese, a Basse di Stura, tra le
fabbriche e il nulla dell'area limitrofa alla discarica. Polizia e
carabinieri sorvegliano l'area. Nella via non c'è nessuno. Il
gruppetto di No Tav decide sui due piedi di tirare fuori le bandiere e
improvvisare una protesta. Gli uomini a difesa della trivella e degli
interessi milionari che rappresenta vanno in fibrillazione: subito
arrivano camionette su camionette, i carabinieri si schierano con il
casco calato, i digos si moltiplicano. La scena è surreale. Fari
e centinaia di uomini in armi circondano sei No Tav armati di bandiere.
La neve che comincia a cadere da il tocco finale.
Il presidio si ingrossa un po': nell'ora successiva si arriva ad una ventina di manifestanti.
Dopo due ore si tiene una breve assemblea e si decide di lasciare da
soli i birilli che sorvegliano la trivella per il super treno.
Nella notte un'altra trivella compare in strada dell'aeroporto, in una
zona degradata ed inaccessibile, il posto giusto per trivellare lontano
dalle proteste.
Il giorno successivo, siamo a venerdì 22, si torna in forze in
via Fermi, dando vita ad un presidio con fuochi, cibo, vino e la voglia
di mettersi in mezzo. Alcuni camion diretti alla trivella devono
deviare, stessa sorte tocca anche ad un grosso mezzo diretto ad un cava
il cui autista esibiva, nel bianco del tricolore, il faccione di
Mussolini.
Sabato 23 gennaio, Susa.
Il corteo è un serpente infinito. Ci sono i comitati, la gente
comune, gli attivisti di sempre e i giovani che nel 2005 erano ancora
bambini. Decine di migliaia. La questura dice ventimila, per noi il
doppio. Una risposta anticipata al sindaco di Torino che, il giorno
successivo, si troverà al Lingotto per l'incontro Si Tav da lui
promosso con 800 persone, in gran parte politici, imprenditori, e
sindacalisti come Gianni Pibiri (e già, proprio lui!).
Chiamparino voleva fare la marcia dei 40.000 ma ha fatto un buco
nell'acqua. I 40.000 c'erano, ma a Susa. I No Tav che hanno bloccato i
treni e le autostrade sono l'anima di un movimento vivo e deciso a
resistere, che cresce anche all'area metropolitana di Torino. Ben
visibili davanti allo striscione dei No Tav torinesi le bandiere rosse
e nere dello spezzone anarchico. Il giorno dopo "La Stampa" in un
insospettabile impeto di sincerità scriverà a proposito
della partecipazione di studenti dell'onda, autonomi e anarchici "che
sono ben integrati nell'esperienza di democrazia partecipativa della
Val Susa", ben diversamente dai politici di PRC, Sinistra Critica,
Verdi e IDV, venuti in valle "a caccia di consenso" ma, come dice un
manifestante al termine del corteo in piazza del Sole, "non hanno
capito che non li votiamo". La gente ha imparato la lezione: li ha
visti all'opera nel governo Prodi e sa che fanno un gioco sporco.
Domenica 24 gennaio, Borgone.
Di fronte alle macerie fumanti del presidio incendiato nella notte i No
Tav non si perdono d'animo e cominciano subito a ricostruire. In serata
a Borgone si mangia e si beve alla faccia di chi lavora di notte con la
benzina, sperando inutilmente di fare paura. Qui la gente è
"bugianen", non schioda ma si radica di più quando viene
attaccata.
Domenica 24 gennaio, Torino.
Adesso arrivano anche la domenica, sperando che la stanchezza prevalga,
che le energie siano tutte assorbite dall'attentato a Borgone. Ma gli
va male. Di fronte alla trivella messa in strada antica di Grugliasco e
a quella piazzata in corso Allamano si raduna un gruppetto di No Tav
che lancia per il pomeriggio un nuovo presidio. Fuochi, cibo, volantini
e striscioni segnalano che anche a Torino e cintura "Sarà dura".
Maria Matteo
1 Ancora una volta la cronaca densissima assorbe tutto lo spazio. Rimandiamo quindi ancora un necessario approfondimento.