È ormai di dominio pubblico la mobilitazione in atto del
"mondo migrante"; un impulso significativo è avvenuto dai
famigerati fatti di Rosarno. Anche chi aveva nascosto la testa sotto la
sabbia non ha potuto più fare finta di niente e si è
dovuto confrontare con la questione migrante.
Ma erano mesi che le associazioni, i coordinamenti, i gruppi dei
migranti autorganizzati avevano lanciato la parola d'ordine dello
sciopero.
Già alla scorsa manifestazione di Roma del 17 ottobre 2009 la
piattaforma per uno sciopero generale del lavoro migrante è
circolata; già nel mayday del 2008; già alla
manifestazione di Milano dello scorso 23 giugno 2009.
Per altro la proposta di chi lavora sulla data del 1° marzo 2010
è una proposta di classe prima ancora che antirazzista; è
la proposta dello sciopero generale.
La data del 1° marzo, inoltre, segna una dimensione come minimo
transnazionale; su quella data stanno riconvergendo le associazioni, i
coordinamenti e i gruppi francesi che avevano già sperimentato
la giornata di lotta lo scorso anno.
Ma, per chi segue la vicenda, appare chiaro come si palesino
difficoltà e distinguo, attendismi e tatticismi che mal celano
una difficoltà ad assumere la questione migrante come una
questione centrale per il movimento operaio italiano. Così la
CGIL sembra propendere per una "grande mobilitazione" escludendo
categoricamente lo sciopero generale; molte associazioni antirazziste
seguono la parola d'ordine della mobilitazione che significa,
concretamente boicottare lo sciopero.
È evidente che lo sciopero del lavoro migrante non si proclama
ma lo si organizza, giorno per giorno. È altrettanto evidente
che senza un obiettivo preciso, però, allo sciopero non si
giungerà mai. Così come il terreno dell'organizzazione
dello sciopero non può essere solo quello antirazzista
perché tale sciopero avrà incidenza e possibilità
di realizzarsi solo se sarà uno sciopero generale di tutti i
lavoratori e le lavoratrici indipendentemente dalla nazionalità
e dallo status giuridico.
Su questo terreno le organizzazioni del sindacalismo di base sono chiamate ad una precisa responsabilità.
Pubblichiamo alcuni punti prodotti dal Coordinamento Migranti di
Bologna e provincia per la giornata del 31 gennaio che sarà uno
dei vari momenti territoriali nei quali si costruirà lo sciopero
del 1° marzo.
1. In questo paese, come in tutta Europa, i migranti non costituiscono
solo una parte sempre più importante, numericamente e dal punto
di vista produttivo, della forza lavoro. I migranti hanno preso parte
insieme a tutti i lavoratori e a tutte le lavoratrici alle lotte e agli
scioperi per la difesa dei diritti del lavoro. Oggi nessuna lotta del
lavoro può più prescindere dalla centralità del
lavoro migrante.
2. La legislazione sull'immigrazione è parte della legislazione
sul lavoro. Preparata dalla Turco Napolitano, la legge Bossi-Fini con
il "contratto di soggiorno" per lavoro ha creato - accanto alle molte
figure della precarietà contrattuale - lavoratori e lavoratrici
altamente ricattabili perché precari anche dal punto di vista
del diritto di restare: chi perde il lavoro perde anche il permesso di
soggiorno. La legge Bossi-Fini, così, ha indebolito tutto il
lavoro.
3. Il cosiddetto "Pacchetto sicurezza", non diversamente dalla
Bossi-Fini, è una delle risposte del governo per far pagare la
crisi ai lavoratori. Il razzismo istituzionale che esso si esprime e la
clandestinità che esso contribuisce a creare rendono i migranti
ancora più ricattabili.
4. La crisi è generale e non fa differenze per il colore della
pelle. Tutti ne pagano il prezzo, migranti e italiani. Ma i migranti,
oltre a essere esclusi dalla maggior parte degli ammortizzatori
sociali, possono essere espulsi, e il razzismo istituzionale serve a
dividere i lavoratori, facendo credere ad alcuni di essere "protetti"
perché altri sono buttati fuori dal lavoro e dal paese (mentre i
padroni portano al di là dei confini i loro capitali per
sfruttare il lavoro migrante "in casa"). Il razzismo istituzionale
indica dei nemici verso il basso per chiudere ogni rivendicazione verso
l'alto.
5. I Centri di Identificazione ed Espulsione (ex CPT) sono una valvola
di sfogo per il mercato del lavoro: quando la domanda si abbassa, la
forza lavoro migrante in eccesso viene resa clandestina (perdere il
lavoro significa perdere il permesso di soggiorno) ed espulsa.
L'aumento dei tempi di detenzione si spiega con la crisi: i migranti
vengono "espulsi" anche per sei mesi all'interno del paese, prima di
essere eventualmente rimandati oltre confine.
6. La clandestinità non viene combattuta ma prodotta. Chi perde
il lavoro perde anche il permesso di soggiorno e sempre più
spesso anche chi ne ha diritto, a causa dei lunghissimi tempi di attesa
per il rinnovo, è in una condizione indefinita tra
regolarità e irregolarità.
Così si moltiplicano figure di lavoro informale svincolate da
ogni tutela contrattuale e giuridica. Il lavoro informale dei migranti
è il modello di una progressiva informalizzazione di tutto il
lavoro che risponde sempre più solo alla norma dei rapporti di
forza tra padroni e lavoratori. Per questo la maggior parte delle
espulsioni non viene eseguita, ma produce solo uomini e donne ancora
più ricattabili.
7. Il lavoro domestico e di cura delle donne migranti è il
momento più evidente di questo processo. Esso mostra, e la
sanatoria-truffa destinata alle sole badanti lo conferma, che il
sistema di produzione e riproduzione sociale non può prescindere
dal lavoro migrante; che la divisione sessuale del lavoro che demanda
alle donne il lavoro domestico e di cura è istituzionalizzata e
salarizzata; che la difesa della contrattazione non è più
sufficiente. È necessario individuare forme di lotta all'altezza
del processo di informalizzazione del lavoro.
8. L'irrigidimento dei criteri per l'ottenimento del ricongiungimento
famigliare e della cittadinanza e anche semplicemente i vincoli per
l'idoneità alloggiativa hanno come effetto quello di autorizzare
alla residenza in Italia solo lavoratori o lavoratrici isolate,
obbligati a una permanenza temporanea. Chi resta deve sapere che il
futuro è segnato: i figli devono accettare limiti razzisti per
l'ingresso nella scuola che impediscono di uscire dalla condizione
operaia, i lavoratori non avranno la pensione. Di fronte alla crisi, la
strategia del governo è quella di ridurre al minimo i costi
sociali del lavoro. Una strategia che spiega perché, in caso di
espulsione o se scelgono di lasciare l'Italia, i migranti non possono
ritirare i contributi versati. I migranti anticipano un attacco
complessivo agli ultimi residui di welfare che riguarda tutti i
lavoratori.
9. Di fronte a tutto questo, è necessario non solo opporsi ai
licenziamenti e ai contratti separati, ma anche includere nelle
prossime mobilitazioni del lavoro la parola d'ordine della sospensione
della
Bossi-Fini e la regolarizzazione di tutti i migranti. Le lotte dei
migranti devono entrare nei luoghi di lavoro, devono essere parte di
un'unica lotta di tutti i lavoratori.
10. La crisi prepara una ristrutturazione complessiva dei rapporti di
lavoro. Il suo prezzo non è solo quello che i lavoratori pagano
oggi con licenziamenti e cassa integrazione, ma quello di un ulteriore
attacco alla loro capacità di organizzazione e del loro potere.
Gran parte di questa partita si gioca, oggi, sulla pelle dei migranti.
Per questo è necessaria una risposta forte, contro il razzismo e
la legge Bossi-Fini: uno sciopero del lavoro migrante come sciopero di
tutti i lavoratori, italiani e migranti.
RedB