Umanità Nova, n.3 del 31 gennaio 2010, anno 90

Per lo sciopero del lavoro migrante


È ormai di dominio pubblico la mobilitazione in atto del "mondo migrante"; un impulso significativo è avvenuto dai famigerati fatti di Rosarno. Anche chi aveva nascosto la testa sotto la sabbia non ha potuto più fare finta di niente e si è dovuto confrontare con la questione migrante.
Ma erano mesi che le associazioni, i coordinamenti, i gruppi dei migranti autorganizzati avevano lanciato la parola d'ordine dello sciopero.
Già alla scorsa manifestazione di Roma del 17 ottobre 2009 la piattaforma per uno sciopero generale del lavoro migrante è circolata; già nel mayday del 2008; già alla manifestazione di Milano dello scorso 23 giugno 2009.
Per altro la proposta di chi lavora sulla data del 1° marzo 2010 è una proposta di classe prima ancora che antirazzista; è la proposta dello sciopero generale.
La data del 1° marzo, inoltre, segna una dimensione come minimo transnazionale; su quella data stanno riconvergendo le associazioni, i coordinamenti e i gruppi francesi che avevano già sperimentato la giornata di lotta lo scorso anno.
Ma, per chi segue la vicenda, appare chiaro come si palesino difficoltà e distinguo, attendismi e tatticismi che mal celano una difficoltà ad assumere la questione migrante come una questione centrale per il movimento operaio italiano. Così la CGIL sembra propendere per una "grande mobilitazione" escludendo categoricamente lo sciopero generale; molte associazioni antirazziste seguono la parola d'ordine della mobilitazione che significa, concretamente boicottare lo sciopero.
È evidente che lo sciopero del lavoro migrante non si proclama ma lo si organizza, giorno per giorno. È altrettanto evidente che senza un obiettivo preciso, però, allo sciopero non si giungerà mai. Così come il terreno dell'organizzazione dello sciopero non può essere solo quello antirazzista perché tale sciopero avrà incidenza e possibilità di realizzarsi solo se sarà uno sciopero generale di tutti i lavoratori e le lavoratrici indipendentemente dalla nazionalità e dallo status giuridico.
Su questo terreno le organizzazioni del sindacalismo di base sono chiamate ad una precisa responsabilità.
Pubblichiamo alcuni punti prodotti dal Coordinamento Migranti di Bologna e provincia per la giornata del 31 gennaio che sarà uno dei vari momenti territoriali nei quali si costruirà lo sciopero del 1° marzo.

1. In questo paese, come in tutta Europa, i migranti non costituiscono solo una parte sempre più importante, numericamente e dal punto di vista produttivo, della forza lavoro. I migranti hanno preso parte insieme a tutti i lavoratori e a tutte le lavoratrici alle lotte e agli scioperi per la difesa dei diritti del lavoro. Oggi nessuna lotta del lavoro può più prescindere dalla centralità del lavoro migrante.
2. La legislazione sull'immigrazione è parte della legislazione sul lavoro. Preparata dalla Turco Napolitano, la legge Bossi-Fini con il "contratto di soggiorno" per lavoro ha creato - accanto alle molte figure della precarietà contrattuale - lavoratori e lavoratrici altamente ricattabili perché precari anche dal punto di vista del diritto di restare: chi perde il lavoro perde anche il permesso di soggiorno. La legge Bossi-Fini, così, ha indebolito tutto il lavoro.
3. Il cosiddetto "Pacchetto sicurezza", non diversamente dalla Bossi-Fini, è una delle risposte del governo per far pagare la crisi ai lavoratori. Il razzismo istituzionale che esso si esprime e la clandestinità che esso contribuisce a creare rendono i migranti ancora più ricattabili.
4. La crisi è generale e non fa differenze per il colore della pelle. Tutti ne pagano il prezzo, migranti e italiani. Ma i migranti, oltre a essere esclusi dalla maggior parte degli ammortizzatori sociali, possono essere espulsi, e il razzismo istituzionale serve a dividere i lavoratori, facendo credere ad alcuni di essere "protetti" perché altri sono buttati fuori dal lavoro e dal paese (mentre i padroni portano al di là dei confini i loro capitali per sfruttare il lavoro migrante "in casa"). Il razzismo istituzionale indica dei nemici verso il basso per chiudere ogni rivendicazione verso l'alto.
5. I Centri di Identificazione ed Espulsione (ex CPT) sono una valvola di sfogo per il mercato del lavoro: quando la domanda si abbassa, la forza lavoro migrante in eccesso viene resa clandestina (perdere il lavoro significa perdere il permesso di soggiorno) ed espulsa. L'aumento dei tempi di detenzione si spiega con la crisi: i migranti vengono "espulsi" anche per sei mesi all'interno del paese, prima di essere eventualmente rimandati oltre confine.
6. La clandestinità non viene combattuta ma prodotta. Chi perde il lavoro perde anche il permesso di soggiorno e sempre più spesso anche chi ne ha diritto, a causa dei lunghissimi tempi di attesa per il rinnovo, è in una condizione indefinita tra regolarità e irregolarità.
Così si moltiplicano figure di lavoro informale svincolate da ogni tutela contrattuale e giuridica. Il lavoro informale dei migranti è il modello di una progressiva informalizzazione di tutto il lavoro che risponde sempre più solo alla norma dei rapporti di forza tra padroni e lavoratori. Per questo la maggior parte delle espulsioni non viene eseguita, ma produce solo uomini e donne ancora più ricattabili.
7. Il lavoro domestico e di cura delle donne migranti è il momento più evidente di questo processo. Esso mostra, e la sanatoria-truffa destinata alle sole badanti lo conferma, che il sistema di produzione e riproduzione sociale non può prescindere dal lavoro migrante; che la divisione sessuale del lavoro che demanda alle donne il lavoro domestico e di cura è istituzionalizzata e salarizzata; che la difesa della contrattazione non è più sufficiente. È necessario individuare forme di lotta all'altezza del processo di informalizzazione del lavoro.
8. L'irrigidimento dei criteri per l'ottenimento del ricongiungimento famigliare e della cittadinanza e anche semplicemente i vincoli per l'idoneità alloggiativa hanno come effetto quello di autorizzare alla residenza in Italia solo lavoratori o lavoratrici isolate, obbligati a una permanenza temporanea. Chi resta deve sapere che il futuro è segnato: i figli devono accettare limiti razzisti per l'ingresso nella scuola che impediscono di uscire dalla condizione operaia, i lavoratori non avranno la pensione. Di fronte alla crisi, la strategia del governo è quella di ridurre al minimo i costi sociali del lavoro. Una strategia che spiega perché, in caso di espulsione o se scelgono di lasciare l'Italia, i migranti non possono ritirare i contributi versati. I migranti anticipano un attacco complessivo agli ultimi residui di welfare che riguarda tutti i lavoratori.
9. Di fronte a tutto questo, è necessario non solo opporsi ai licenziamenti e ai contratti separati, ma anche includere nelle prossime mobilitazioni del lavoro la parola d'ordine della sospensione della
Bossi-Fini e la regolarizzazione di tutti i migranti. Le lotte dei migranti devono entrare nei luoghi di lavoro, devono essere parte di un'unica lotta di tutti i lavoratori.
10. La crisi prepara una ristrutturazione complessiva dei rapporti di lavoro. Il suo prezzo non è solo quello che i lavoratori pagano oggi con licenziamenti e cassa integrazione, ma quello di un ulteriore attacco alla loro capacità di organizzazione e del loro potere. Gran parte di questa partita si gioca, oggi, sulla pelle dei migranti. Per questo è necessaria una risposta forte, contro il razzismo e la legge Bossi-Fini: uno sciopero del lavoro migrante come sciopero di tutti i lavoratori, italiani e migranti.

RedB

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