Sul Futurismo legato al Centenario, in quest'anno si è molto
parlato, compreso da parte del sottoscritto, ma per chiudere le
celebrazioni, volevo soffermarmi su un testo che da il senso di quanto
sia necessario approfondire la questione, almeno sul piano
dell'approccio. Spesso l'analisi storica è un pretesto per
giustificare un assunto, una presa di posizione preconcetta e non, come
deve essere, un percorso che può portare a risultati anche
lontani rispetto a quanto immaginato. In questa categoria vi sono
differenti atteggiamenti, da chi sommariamente giunge ad un risultato
"voluto", magari omettendo fonti, o non incrociandole col proprio
percorso; a chi invece, nonostante la messe di dati, mantiene saldo il
timone e non si fa toccare da dubbi. Angelo D'Orsi, ne Il Futurismo tra
cultura e politica. Reazione o rivoluzione? (Salerno Ed., Roma 2009)
non sfiora mai la "rivoluzione" e si contenta di approvare quanto
già pensava. D'Orsi è docente di storia del pensiero
politico all'Università di Torino e fra le sue opere, recente
è la Bibliografia Gramsciana Ragionata. Non solo, ha collaborato
al Dizionario del Futurismo (E. Godoli, a cura di, Vallecchi, Firenze
2001); avendo quindi a disposizione una grande quantità di dati.
Allora perché tanta cocciutaggine nel liquidare il Futurismo al
ruolo che fu attribuito da Croce solo come anticamera del fascismo,
solo nazionalista, solo guerrafondaio, ecc.?
Come Movimento è stato molto di più e molto di altro, e
non lesina negli apparati e nelle fonti, così come nella
cronologia, elementi che lo avrebbero portato ad avere almeno un
atteggiamento più complesso e sfumato. Il volume è
doppio, nel senso che 160 pagine costituiscono il saggio, mentre le 176
residue, più della metà, sono apparati. Libro ricco
quindi, che però analizza solo alcune fonti, spesso meno
significative, ovvero più "orientate", e che non sempre si
trovano nella bibliografia, così come elementi di grande
contraddizione rispetto all'impianto voluto dall'autore, non "sono
significativi" per il saggio. Grande fatica e sfoggio, in impianti
ridondanti, per confermare quanto previsto. Parla di arditismo, ma
Marco Rossi non c'è, per cui si può fare un tutt'uno col
fascismo, parla e tratta dei fondatori, ma si guarda bene dal dare
dignità ai firmatari dei Manifesti. Esiste solo Marinetti, tutti
gli altri comprimari.
E quando tratteggia il capitolo "A sinistra", cita Lucini come "forse
l'unica, vera, anche solo ipotetica alternativa di sinistra",
Remondino, "però, si badi: prima dell'attentato di Sarajevo",
Palazzeschi, inserito "nella scarna galleria dei futuristi di
sinistra", e lo stesso Fillia, torinese e molto apprezzato da Gramsci,
meno male che muore giovane, altrimenti avrebbe subito una "amarissima
resa dei conti". Insomma, avviandomi a concludere, per il Nostro, a
parte "qualche occhieggiamento in direzione anarchica", Marinetti, e
per D'Orsi, il futurismo tutto "resta tetragono a qualsivoglia
coinvolgimento nell'area dell'autentico sovversivismo di sinistra",
confermando, per cancellare ogni dubbio che "sono anche esistite figure
marginali di anarco-futuristi, quale Renzo Novatore" che fa morire in
uno scontro a fuoco con i fascisti e non con i carabinieri, "ma si
tratta davvero di casi estremi e numericamente poco rilevanti". Allora
perché tanta fatica caro D'Orsi? Tutto ciò c'era
già prima di questo sforzo editoriale.
Alberto Ciampi