"L'agricoltura contadina ha una dimensione sociale basata sull'occupazione,
la solidarietà tra contadini, tra regioni, tra contadini del mondo,
altrimenti le regioni più ricche e gli agricoltori più forti lederanno il
diritto alla vita degli altri, e questo non sarebbe testimonianza di
equilibrio e di umanità.". Carta dell'Agricoltura Contadina della
Confédération Paysanne - Francia

CONTADINI !

Coalizione nazionale per la difesa del lavoro contadino




Premessa.


Questo testo è animato dall'intento di far emergere posizioni talvolta
giudicate marginali; mettere in comune esperienze di agricoltura contadina e
riflessioni maturate dai suoi protagonisti o da chi la sostiene; favorirne
lo scambio; costituire un luogo di solidarietà, ricerca, approfondimento e
dibattito; preparare il terreno per un confronto fra le diverse componenti
della società sul ruolo del mondo rurale.

Attraverso il confronto tra protagonisti, siano essi contadini in attività,
contadini deportati in altri luoghi economici, territoriali o sociali, o
semplici sostenitori del lavoro del contadino si vuole, in sostanza, mettere
in evidenza la dimensione umana, sociale ed economica delle realtà contadine
tuttora fortemente presenti nel nostro paese.

Come lavoratori e come parte integrante di quei processi naturali che danno
vita alla produzione agricola, vogliamo agire in prima persona per uscire
dalla subalternità che ci trasciniamo dietro ancora più presente ora nel
tempo della globalizzazione e dell'assimilazione tra sviluppo, modernità e
civiltà.

Noi consideriamo l'agricoltura contadina non come una tecnica da seguire o
da creare, ma come un percorso globale che non ricorre a risposte
parcellizzate e che investe l'insieme della vita del mondo rurale. L'
ambizione è di oltrepassare il solo atto produttivo dimostrando di
costituire sia un percorso di riconquista - al fine di riappropriarsi di una
dignità logorata nel corso degli ultimi decenni - che una strada di apertura
e di relazioni con l'ambiente circostante, nell'accezione di società e
territorio. In questo doppio movimento di resistenza all'industrializzazione
della produzione e della trasformazione degli alimenti - e del cosiddetto
pensiero unico - e di confronto con la società e con le esigenze che questa
esprime, dobbiamo batterci perché le nostre iniziative siano attuali e
proiettino le loro conseguenze sulle generazioni futuro.

Noi ora ci siamo con la nostra specificità e vogliamo esserci anche in
futuro con il nostro progetto di società

Occorre ridimensionare l'uomo - nelle vesti di 'padrone del mondo' -
affinché torni a rispettare i ritmi della natura attraverso i suoi cicli di
semina & raccolta, assegnandole una propria endogena saggezza.

Riteniamo fondamentale che l'agricoltura contadina con la sua autonomia
sociale, culturale ed economica non ceda a chi aspira al monopolio del
concetto stesso di agricoltura, né che abbia un atteggiamento diffidente nei
confronti del mondo questo al fine di riacquistare una dimensione
propositiva ed incalzante rispetto ai fenomeni che investono gli agricoltori
di piccola scala e per non continuare a subire i paradigmi imposti da altre
logiche.

La creazione di una piattaforma di discussione fra le varie organizzazioni,
gruppi e organizzazioni non governative ( ONG ) a livello nazionale sembra
essere la migliore strada nel tentativo di aggregare forze e politiche che
hanno l'obiettivo di modificare direttamente il quadro esistente.

Come la stessa Coordination Paysanne Europenne ribadisce, il suo
consolidamento come network regionale di organizzazioni contadine europee è
possibile solo attraverso il consolidamento e l'unificazione dei movimenti
contadini, purché questi siano rappresentativi della cultura e delle
aspirazioni espresse dagli agricoltori dei differenti paesi.

Tale consolidamento è fondamentale al fine di dimostrare la legittimità
delle forme di rappresentanza presso le sedi istituzionali e di incanalare
ed offrire supporto alle singole organizzazioni di base, anche se di ridotte
dimensioni.


Questa nostra coalizione aspira a costituire un riferimento forte ed
indipendente, a garantire un'autorità morale ed una credibilità sociale, ad
essere un chiaro referente ideologico per il mondo rurale, ad aprire nuovi
spazi sociali e politici in collaborazione e solidarietà con altri movimenti
chiedendo al resto della società di recepire stimoli e necessità prodotte
dal mondo agricolo.

Noi crediamo che (Ehne-Ugav: sindacato contadino basco, 1998) "bisogna aver
chiari gli obiettivi, forti di una grande idealità che sia capace di
confrontarsi, con realismo, con l'esistente. Siamo coscienti che nel
contesto entro cui ci muoviamo ci sono forze ostili al nostro modello di
agricoltura. Da qui il nostro sforzo di adattamento ai problemi, da qui il
tentativo di coniugare gli obiettivi con la strategia sindacale affinché la
nostra proposta di aprire spazi mantenga i piedi per terra"



Intendiamoci

"L'agricoltura contadina è l'agricoltura dell'avvenire, di questo non
abbiamo dubbio, in quanto reinventa sulla base della tradizione, nel senso
positivo del termine, e della tecnica una nuova maniera di produrre
rispettosa dell'ambiente, un nuovo rapporto con l'economia che punti sull'
ottimizzazione del valore aggiunto per assicurare il reddito e la
remunerazione dei fattori di produzione, un nuovo legame con i consumatori
ai quali si propongono prodotti di qualità. Attraverso questa evoluzione
dell'agricoltura è possibile riabilitare il mestiere del contadino e
ricostruire una rete di solidarietà diffusa"
(Confédération Paysanne Francaise).

"L'agricoltura nel lungo periodo è stata gradualmente assimilata al
meccanismo di sviluppo generale, ha perso molti dei suoi caratteri
tradizionali, si è adeguata al modo di produzione prevalente, si è collegata
organicamente e con reciprocità di relazioni al mercato dei prodotti e a
quello dei fattori oltre che a tutto il settore dei servizi. Le modalità dei
processi e i tempi non sono stati ovunque identici. A condizionare la
collocazione del settore primario nelle configurazioni complesse dei settori
economici e sociali contemporanei hanno concorso tradizioni, fattori
istituzionali, elementi ambientali, storie sociali e tutto un insieme di
determinazioni territoriali" (Fabiani, 1995).

La stessa pluriattività dell'unità produttiva nel suo complesso (famiglia e
conduttore di azienda) non permette più di definire in maniera univoca la
natura sociale del conduttore d'azienda che spesso viene caratterizzata da
attività svolte al di fuori dell'azienda stessa. La ricerca di precisi
connotati di classe di questa condizione resta da reinventare, introducendo
elementi capaci di interpretare il crescente conflitto tra modello di
sviluppo industrialista e uso delle risorse naturali, in particolare terra,
acqua e biodiversità


Su scala mondiale, l'attuale popolazione sotto la soglia della povertà è
oggi stimata al di sopra del miliardo di esseri umani: di questi più di 900
milioni vivono nelle aree rurali.

Si fa fatica ad accettare, leggendo questo dato, la considerazione che il
mondo rurale rappresenti un 'caso di fallimento del mercato', come i fautori
dell'industrializzazione spinta della produzione agricola sono propensi a
sostenere: il problema dello sviluppo è stato spesso visto come una semplice
questione legata alla trasformazione delle società tradizionali - di cui l'
agricoltura ha sempre costituito il cardine - in società 'moderne'
pretendendo di considerarle come un gruppo omogeneo che si poteva far uscire
dal circolo vizioso del sottosviluppo semplicemente grazie ad una vigorosa
spinta garantita dal capitale e dalla tecnologia, senza prendere in dovuta
considerazione la diversità dei vari contesti rurali.

Per la maggior parte degli analisti dell'economia capitalista, la piccola
produzione contadina si percepisce come un settore arcaico che può rendere
difficile e condizionare lo sviluppo economico della società. Sviluppo
agricolo e crescita economica vengono generalmente intesi in termini
incompatibili con il mantenimento dell'agricoltura contadina la cui
sparizione si traduce in sinonimo di progresso e modernità. Tali concezioni
trovano la loro espressione sul terreno sociale, in una visione del
contadino come soggetto economico irrazionale, carente di spirito innovatore
e nell'idea, oggi meno presente in virtù dell'evoluzione del pensiero
politico, che in una società bipolare, composta da una borghesia ed un
proletariato, il contadino risulti essere un soggetto sociale senza identità
propria, a metà strada fra un salariato ed un imprenditore.

Il dibattito sul rapporto fra mercato, intervento pubblico e diritti è di un
certo rilievo in materia di agricoltura: nel corso del recente Forum del
non-governativo sulla Sicurezza Alimentare tenutosi a Roma nel novembre
1996, si è riaffermato con forza che il cibo rappresenta un bene strategico
tale da richiedere un attenzione particolare e diversa dagli altri tipi di
prodotti, laddove il mercato, alla luce del più recente Uruguay Round, lo
considera, al contrario, un bene scambiabile allo stesso titolo degli altri.

Il cibo sta perdendo la sua immagine agricola e sta acquisendo sempre più la
dimensione di una materia prima soggetta a trasformazione industriale; una
tale industrializzazione ed omogeneizzazione sta crescendo su scala mondiale
a causa della pressione esercitata:

- dall'agribusiness agevolato dal massiccio uso di energia non rinnovabile a
basso costo che favorisce le produzioni intensive,
- dai sempre più sofisticati modelli di trasformazione industriale degli
alimenti,
- dal continuo sviluppo dei trasporti su lunga distanza.

  Tutti fattori, questi, che minano sia le produzioni locali che i modelli
di consumo e che producono un livellamento verso il basso degli standard di
qualità dell'alimentazione, talvolta camuffati da banalizzazioni
folcloristiche del contadino custode del gusto e dei sapori.

Le varietà ad alto rendimento (o alta risposta agli inputs produttivi)
introdotte grazie alla Rivoluzione Verde sono state il principale strumento
che in trent'anni ha destrutturato l'apparato produttivo contadino e
tradizionale nei paesi in via di sviluppo, impedendogli di fatto di
continuare ad essere il fornitore diretto dei prodotti alimentari.
Analogamente, oggi le manipolazioni biotecnologiche del vivente (elemento
cruciale del controllo industriale delle produzioni agricole) tentano di
dare alla più vasta gamma possibile di prodotti agricoli quei caratteri
indistinti (destagionalità, despecificità climatica ed ambientale,
trasportabilità nel tempo e nello spazio, etc.) necessari ad una qualsiasi
loro utilizzazione (alimentare, energetica, intermedia) come materie prime
finalizzate alla produzione di merci ad alto e crescente valore aggiunto.

Trent'anni di agricoltura produttivista e industrialista sulle spalle pesano
come retaggio per chi la vuole identificare come protagonista della
modernità ed il produttivismo può, in quest'ottica, essere visto come
"deterritorializzazione", ossia come una strategia di ottenimento di materie
prime, di fatto, hors-sol (ossia scollegata dai cicli naturali) affidata all
'impiego massiccio di inputs ed alla standardizzazione delle tecniche e dei
prodotti.

Non si può proporre ai contadini di diventare dei semplici "giardinieri
della natura", non si può pensare di avere una politica aggressiva da un
lato tentando di mettere in atto delle misure di riparazione sull'altro. Non
si può, inoltre, pensare che ci sia una quota di aziende che realizza un
prodotto di massa per il mercato internazionale, mentre la restante ha
esclusivamente il ruolo di sentinella della natura, nonché di fornitrice di
quei servizi ricreativi, che la società sempre più pressantemente richiede.

Le logiche e le politiche attuate devono ampliare i loro confini,
riconsiderare i parametri fondati ora solo sulla valenza economica dell'
attività agricola e rivolgersi alla dimensione sociale, culturale,
ambientale e territoriale che il mondo rurale nella sua complessità e
diversità ancora sa e riesce ad esprimere.

L'agricoltura contadina può realizzare una produzione congiunta di beni
alimentari e di paesaggio, contemplando nella remunerazione degli
agricoltori il ruolo da questi svolto per il benessere della collettività.

Per le organizzazioni interessate alla promozione dell'agricoltura contadina
è, infatti, importante ottenere il riconoscimento sociale
? del ruolo indispensabile dell'agricoltore (uomo e donna) nella produzione
di cibo
? del lavoro agricolo sostenuto da un'adeguata remunerazione del ruolo
fondamentale dell'agricoltore nel mantenimento di comunità rurali attive,
attrattive  e diversificate,
? del valore culturale dell'attività agricola e della sua capacità di
prevenire la desertificazione sociale e l'esodo verso le aree urbane.

In questo senso la funzione dell'agricoltura contadina nella direzione di
contribuire alla gestione dello spazio rurale, può affermarsi come realtà
solo a tre condizioni:
1. che sussista una condizione di credibilità: è necessario considerare che
ci sono degli altri candidati alla preservazione del territorio e dunque l'
agricoltura non sarà accettata in questo ruolo se non dimostra un
comportamento 'esemplare';
2. che si affianchi ad una dimensione economica: lo spazio rurale deve
essere gestito dall'agricoltura garantendo l'adempimento della principale
funzione di produzione di alimenti;
3. che si realizzi in una dimensione collettiva: l'adozione di pratiche
corrette da parte di singoli agricoltori non potrà risolvere i problemi di
gestione del territorio e dell'inquinamento

Dobbiamo fare uno sforzo congiunto per far emergere con chiarezza il
potenziale che, nel nostro Paese rappresentano ancora le aziende agricole
piccole e medie: non un inutile peso ma un sistema di produzione specifico,
articolato, complesso dotato di un potenziale - in particolare nelle
produzioni di qualità - in gran parte mortificato non solo dal mercato ma
anche dai meccanismi di finanziamento pubblici, compresi quelli regionali.



Quale agricoltura.

Queste le nostre linee guida:


1. Noi assumiamo come centrale la questione della salvaguardia dei livelli
di occupazione, sia in termini di lavoro che di terre occupate da attività
agricole e come riferimento quello che articola le funzioni plurime dell'
agricoltura, senza nessuna scissione tra produzione e salvaguardia
ambientale.
2. Il territorio e la sua complessità è lo spazio in cui si devono muovere
le linee di politica agraria, lo sviluppo rurale è l'obiettivo strategico
generale. Non possiamo ragionare solo in termini di filiera e di sistema
agroalimentare attraverso gli strumenti della competitività, l'aumento delle
dimensioni di scala e la separazione degli interventi mantenendo una pratica
assistenziale per le aziende "accessorie". Il nostro obiettivo di lungo
periodo è quello di consolidare dei territori rurali durevoli, in cui l'atto
produttivo sia ripartito in modo socialmente giusto e capace di mantenere il
numero più alto possibile di addetti in campagna sia in agricoltura che
negli altri settori.
3. Un economia diversificata accompagnata da un'agricoltura diversificata,
nell'azienda e nel territorio e tra i territori regionali, secondo le
specificità storico, economiche ed ecologiche, capace di trasformare in
valore aggiunto le differenze e le specificità delle aziende, dei territori,
delle tradizioni culturali, dei paesaggi, degli agroecosistemi
4. Un'economia articolata, a partire dal locale, in rete coordinata di cicli
corti (nel tempo e nello spazio) capaci di potenziare la qualità dei
prodotti e dei sistemi di produzione e sfruttare la meglio il potenziale
rappresentato dai mercati locali e nazionali.
5. Una funzione politica innovativa capace di ristabilire un contatto ed un
dialogo diretto con i consumatori - sempre più lontani dai processi di
produzione degli alimenti - sui prezzi, sulla qualità, sui vincoli della
produzione, per inventare nuovi ed attuali legami tra città e campagna, tra
produttori e consumatori.
6. Un sistema di normative nazionali e regionali che - articolate o
negoziate a livello europeo - sostenga finanziariamente quegli agricoltori
che accettano e rispettano disciplinari di produzione finalizzati a favorire
l'occupazione e l'uso durevole delle risorse naturali
7. Noi chiediamo un sistema di incentivi e sostegni capaci di eliminare le
ineguaglianze e gli squilibri che prevalgono, fra città e campagna, fra
provincia e provincia, fra aziende "competitive" e " aziende accessorie".


L'obiettivo politico che ci prefiggiamo con questa nostra iniziativa è
quello di aprire uno spazio attraverso il quale i contadini possano
rivendicare l'esistenza di un'agricoltura più rispettosa e più solidale ma
anche uno spazio politico che ne legittimi il ruolo, attraverso un patto
sociale che questi vogliono stipulare con il resto della società.


Da dove

E' difficile per ciascuno immaginare quanto degrado abbia prodotto, a
livello nazionale, la mancanza da venti anni di una strategia di politica
agraria unita ad una pervicace volontà di improvvisare - di volta in volta -
iniziative per rispondere ad emergenze, vere o false che fossero.

Basta scorrere la mole di leggi e leggine o verificare nel profondo l'
impianto dei vecchi programmi "5/b" per rendersi conto che la mancanza di
progettazione complessiva - meglio - di un progetto per lo sviluppo dell'
agricoltura e dei territori rurali si è via via trasformato in un danno
verso quanti, con le loro energie, tentavano di restare attivi in
agricoltura.

La cristallizzazione di interessi particolari, che hanno spesso trovato un
forte ascolto interessato, ha creato squilibri nell'insieme dei dispositivi
amministrativi da cui, comunque, oggi siamo obbligati a partire.

Verso dove

Noi vogliamo immaginare, senza preconcetti ideologici, una visione dell'
agricoltura e del mondo rurale originale ed innovativa. Perché è un
preconcetto ideologico pensare che solo la logica e la cultura d'impresa
debbano guidare le scelte di politica agricola, così come è un preconcetto
ideologico ritenere che competitività e modernizzazione siano parole chiave
per qualunque situazione e qualunque intervento. Spesso si usano come
antidoto all'assistenzialismo. In verità ne sono state e sono spesso la
giustificazione.


Noi cerchiamo di consolidare un approccio basato sullo sviluppo ed il
rafforzamento dei legami fra i produttori agricoli, usando il consenso e la
negoziazione come strumenti fondamentali attraverso cui i soggetti attivi
nei territori rurali, primi fra questi i contadini, possano trasformare il
paesaggio agrario .


Dobbiamo tornare ad occuparci dello specifico dell'agricoltura familiare
perché questa raccoglie le manifestazioni di un mondo composito, ricco di
articolazioni territoriali, sociali, culturali e produttive non
amalgamabili. Questa aiuta a meglio interpretare i termini del confronto in
atto fra i modelli agricoli oggi esistenti ed ad evidenziarne la differente
matrice culturale ed il diverso impatto economico, sociale ed ambientale.

Evidentemente il nostro sforzo progettuale non solo deve tener conto degli
scenari internazionali, in particolare europei, ma deve esser in grado di
anticiparli per evitare inutili e demagogiche reazioni quando, finita la
fase negoziale, si abbattono sulla nostra realtà agricola e rurale.

Le modifiche degli scenari internazionali (WTO) mettono chiaramente a
repentaglio l'esistenza e la capacità di sopravvivenza delle realtà agricole
e rurali più "fragili e marginali". Tali realtà infatti difficilmente
riuscirebbero, senza adeguate misure di sostegno o di sviluppo appropriato,
a reggere al contraccolpo di trovarsi in balia del mercato 'globale'.

Il mercato internazionale riguarda una quota estremamente ridotta della
produzione agricola del nostro Paese e per il prossimo periodo nessuno
ragionevolmente può pensare che questa quota possa moltiplicarsi tante volte
da diventare la destinazione fondamentale della nostra produzione agricola .
Per questo dobbiamo attivarci per travasare le logiche dell'agricoltura
contadina dentro la prossima legge d'orientamento per l'agricoltura
nazionale.

Così come, per una effettiva politica agricola comunitaria centrata sulla
difesa dell'occupazione nel settore, occorrono indirizzi che:

? mantengano le organizzazioni comuni di mercato
? siano capaci effettivamente ed efficacemente di regolare l'offerta
? riconoscano e rispettino il diritto alla sovranità alimentare di ogni
Stato o gruppo di Stati
? sostengano efficacemente i modi di produzione agricola e agroalimentare
socialmente ed ecologicamente durevoli e responsabili
? condizionino il supporto comunitario a paramenti basati sul lavoro, la
qualità della produzione ed il mantenimento di tetti massimi

La PAC è in gran parte responsabile del paradigma che si è affermato in
agricoltura e che tuttora si dimostra imperante: quello che ha
progressivamente sostituito il lavoro con il capitale, con il fine di
ottenere volumi di produzione sempre maggiori e comunque a prezzi
decrescenti.

Al contrario, risulta determinante l'individuazione di una soluzione al
problema del lavoro - prioritario anche in ambito rurale - riducendo di
conseguenza l'esclusione sociale e la desertificazione rurale: la dimensione
che da più parti si dice di dover mantenere e potenziare è rappresentata
dall'azienda familiare, nella sua forma tradizionale o associata. Questa
tipologia è l'asse portante di quella che viene definita come 'agricoltura
contadina', la quale si contraddistingue proprio dal sostanziale prevalere
del lavoro sul capitale investito, e costituisce, quindi, il modello capace
di garantire "un'agricoltura con agricoltori" e di opporsi alla costante
diminuzione di impiego nel settore primario.

Contrari all'aggressiva politica europea di apertura al mercato mondiale
contenuta nella politica agricola di Agenda 2000, auspichiamo il ritorno ad
un'agricoltura europea centrata sulla sua primaria vocazione di nutrire gli
europei in condizioni di qualità e sicurezza alimentare migliori di quelle
odierne, su territori socialmente attivi e regionalmente equilibrati,
rinunciando alla tendenza all'esportazione verso la quale non sentiamo
nessuna vocazione specifica dell'agricoltura italiana.

Come la CPE, riteniamo che i prezzi agricoli siano il motore dell'economia
agricola e la misura essenziale del valore della produzione, come già
ricordato in precedenza. Si respinge quindi la posizione su questo tema
rinunciataria dell'UE e si denuncia la sua sottomissione agli interessi dell
'agroindustria e della grande distribuzione.

   Gli agricoltori risulteranno costantemente perdenti nella corsa al
ribasso dei prezzi/ribasso dei costi di produzione, all'interno di una
economia priva di regole, e saranno condannati quindi alla sparizione: la
questione dei prezzi, in sostanza, deve restare nel cuore della PAC. Anche
quegli agricoltori che, in numero crescente, hanno saputo sviluppare dei
rapporti più diretti verso il consumatore sono dipendenti dal livello
generale dei prezzi agricoli. Il proporre una maggiore competitività da
parte della Commissione manca di una effettiva visione strategica poiché in
questa strategia non sono contabilizzati i costi sociali ed ambientali all'
interno dei costi economici.

Consideriamo, però, che la composizione del costo di produzione nei campi
debba essere in massima parte costituto dal lavoro e solo in minima parte
debba subire il peso delle immobilizzazioni e di altri fattori industriali.

Il prezzo pagato ai produttori deve necessariamente essere modulato secondo
criteri di qualità dei prodotti stessi, anche quando questi sono utilizzati
come materie prime.



Le tecnologie genetiche


Abbiamo detto che l'agricoltura dell'avvenire è quella capace di
reinventare, partendo dalle condizioni locali, una nuova maniera di produrre
rispettosa dell'ambiente, un nuovo rapporto con l'economia che punti sull'
ottimizzazione del valore aggiunto per assicurare il reddito e la
remunerazione dei fattori di produzione - primo fra tutti il lavoro -
creando un nuovo legame con i consumatori ai quali si devono proporre
prodotti di qualità certa.

Attraverso questa evoluzione dell'agricoltura è possibile riabilitare il
lavoro dell'agricoltore e ricostruire una rete di solidarietà diffusa nei
territori rurali.

Per andare verso questa direzione il controllo delle risorse genetiche deve
restare strettamente nelle mani della collettività. Per questo rifiutiamo
ogni tentativo di imporre diritti di proprietà monopolistici sulle
"invenzioni" che utilizzano materiale biologico.

Siamo convinti che il valore della vita è fondante delle nostre civiltà e
quindi la trasformazione in merce della vita e degli elementi stessi che ne
sono alla base debba essere rifiutata.

La scoperta di medicinali o di qualsiasi ritrovato atto a risolvere o
alleviare la fame o la sofferenza umana deve essere patrimonio di tutti gli
abitanti del pianeta e a tutti accessibile.

La promozione indiscriminata dello sviluppo e della commercializzazione di
Organismi Geneticamente Modificati, attraverso una legislazione che ne
garantisca l'uso monopolistico ai detentori dei brevetti, altera
arbitrariamente e incontrollatamente la vita stessa del e sul Pianeta. Per
questo consideriamo la privatizzazione delle risorse genetiche una pretesa
inaccettabile di poche industrie monopolistiche.

Noi chiediamo:

1. Di sospendere definitivamente la conversione in legge nazionale della
"Direttiva sulla protezione legale delle invenzioni
biotecnologiche".(Direttiva 44/98)
2. Che venga decisa dal Consiglio dell'UE una moratoria totale ad ogni
riconoscimento di diritti di brevetto sulle forme di vita, valevole per
tutto il territorio dell'Unione.
3. Che venga deciso nella medesima sede il blocco immediato di qualsiasi
procedura tesa alla immissione in commercio di OGM con un possibile impatto
sull'agricoltura e sull'alimentazione umana.


Agricoltura e qualità

Le aziende agricole, piccole e medie aziende che, malgrado tutto, hanno
saputo resistere hanno fatto scelte produttive originali proprio intorno ad
un diverso concetto di qualità, come il biologico, hanno usufruito in modo
proporzionalmente insignificante dei denari pubblici dovendo comunque
contrastare la concorrenza sleale di quanti, pochi, si sono avvantaggiati
effettivamente dei fondi pubblici. Basta vedere quale concorrenza devono
vincere i pastori per affittare un ettaro d'erba per le loro pecore dai
proprietari che ricevono i soldi per i girasoli.

Evidentemente i prodotti locali e di qualità propri della nostra tradizione
hanno necessità di una politica di sviluppo capace di dar loro una durevole
tenuta economica. Noi non li consideriamo né residui culturali, né
subalterni prodotti di nicchia per un consumo d'elite che, anche se può
strappare prezzi molto elevati, comunque non assorbe una possibile crescente
produzione.

Noi rifiutiamo l'idea che prodotti cosiddetti tradizionali, debitamente
impacchettati da un marketing lussuoso, debbano avere un limitato mercato a
prezzi elevati.

Al contrario, riteniamo che il futuro della produzione agricola debba
necessariamente essere caratterizzato da produzioni di qualità e consumi di
qualità che in modo progressivo e dinamico, anche attraverso un radicale
cambiamento delle abitudini alimentari, riconquistano spazi crescenti nei
consumi di massa.

In concreto significa che abbiamo bisogno di un ancoraggio certo della
nostra definizione di qualità nella accezione che prende nel prodotto
"tipico" o "tradizionale".

Noi riteniamo che almeno tre siano gli elementi che debbono necessariamente
caratterizzare un prodotto locale che pretende di essere difeso per il suo
valore di "qualità tradizionale"
a. specificità di tutta la materia prima che lo compone
b. specificità dei disciplinari e dei processi di produzione
c. specificità del territorio che lo ha originato

Per fregiarsi di una denominazione un prodotto deve essere originato da
materia prima coltivata o allevata secondo un disciplinare specifico,
prodotte da una pianta o un animale con caratteristiche genetiche
appropriate ( ad esempio una varietà o una razza propria di quel
territorio), tutta la materia prima deve essere originata da quel territorio
specifico e lavorato secondo modalità predefinite.

Ciascun prodotto "tradizionale" ha delle caratteristiche proprie, ma i
criteri della specificità possono ritrovarsi anche oltre i prodotti tipici.
Non intendiamo abbandonare la possibilità di questa inclusione, evitando
però la banalizzazione: le industrie possono e debbono sviluppare una
filiera di alta qualità ad esempio nel settore lattiero caseario o in quello
del vino, ma occorrerà difendere la diversità tra un prodotto "contadino" ed
un prodotto industriale.

  Noi riteniamo che chi ha le condizioni per produrre alimenti sicuri da un
punto di vista qualitativo, risultato di lavoro e conoscenza della vita
stessa che è nei prodotti della terra - come il formaggio a base di latte
crudo trattato come una materia vivente che può dare prodotti sani e dalle
grandi qualità organolettiche molto diversificate - deve trovare uno spazio
d'autonomia e d'identità che lo distingua dai produttori industriali di
merce standardizzata e banalizzata. Contadini, appunto.

Le attuali politiche agricole compensano la rendita fondiaria caricandone
sulla società i costi. Occorre quindi capovolgere il paradigma della
produzione: l'agricoltore deve imporre il sistema di produzione, con i
propri standard, ed il prezzo dovrà essere adeguato, anche se bisognerà
vedere su chi graverà. Questo favorirà un'industria di qualità di dimensione
più piccola, dislocata sul territorio. La grande industria, infatti, non può
fare qualità, perché seguire quegli stessi standard è troppo costoso per
lei. E' l'esempio del formaggio di alta qualità fatto con il latte crudo,
solo le piccole aziende possono farlo. Le grandi devono seguire altri
standard sanitari.


La vera opposizione è tra produzione e trasformazione e non solo sui prezzi,
ma anche nei metodi di produzione perché questi determinano l'organizzazione
del lavoro e la sostenibilità. Oggi, evidentemente il sistema di produzione
imposto dalla grande industria è in rotta di collisione con la sostenibilità
dell'agricoltura contadina



ACCESSO ALLA TERRA


"Fin tanto che una famiglia lavora la terra che possiede, questa è uno
strumento. Quando smette di lavorarle allora la terra diventa patrimonio."
(Paul Le Saux - Pour une politique fonciere nouvelle - AFIP, 1981 Paris)

"Le terre non si potranno vendere per sempre, perché la terra è mia e voi
siete presso di me come forestieri e inquilini" (Lv 25,23)


Identificare nel latifondo il problema dell'accesso alla terra limita le
possibilità d'intervento e nasconde la questione cruciale della
privatizzazione della risorsa terra e della sua gestione monopolistica.

  La concentrazione della terra, al di là di essere un modo ingiusto di
accaparramento delle risorse naturali, è il modo migliore per organizzare l'
agricoltura secondo i criteri e le esigenze della produzione industriale.
Questa sceglie il livello tecnologico più appropriato per garantire il
maggior profitto possibile.

La lotta al latifondo non può svilupparsi con successo - e questo è uno dei
motivi del fallimento di molte delle Riforme agrarie realizzate sul
pianeta - se questo non viene visto nell'esatta funzione che svolge in ogni
specifica società.

Spezzare il processo di concentrazione della proprietà privata della terra è
la battaglia da condurre per modificare l'ingiusta distribuzione della terra
ma richiede una forte iniziativa politica per immaginare ruoli, compiti e
funzioni dell'agricoltura strettamente collegati al modo di produrre ed al
modo di possedere la terra e le risorse naturali che questa ospita.

Nessuno di noi immagina delle economie dei territori rurali basate sull'
autarchia della azienda familiare ma il semplice accesso alla terra, ed
ancor meno l'accesso alla proprietà privata e individuale della terra di per
sé non sono garanzia di liberazione, è il paradigma che ordina le scelte
produttive e l'utilizzazione del suolo, delle risorse genetiche, delle acque
e del sole che condiziona la sicurezza del lavoro del contadino e della sua
famiglia.

Nel 1996, in Italia, sono state osservate (fonte ISTAT, indagine
campionaria) 2.467.000 aziende per un totale di SAU di 14, 753 milioni di
ettari.. Rispetto al censimento del 1990 si è verificata una riduzione del
7,4% del numero delle aziende (si sono perse 198.000 unità) mentre si sono
persi solo il 4,8% della superficie (circa un milione in meno)

L'evidenza è "l'aspetto tipicamente familiare che caratterizza la struttura
dell'agricoltura italiana": ben 2.380.000 aziende, cioè il 96,5% risultano a
conduzione diretta del coltivatore (per 15,5 milioni di ettari di superficie
pari al 75,8% della superficie totale). Ancor più marcato è il peso delle
aziende che si avvalgono della sola manodopera familiare: l'81,7% contro un
modesto 3,9% (con però quasi 5 milioni di ettari pari al 30% della
superficie totale) delle aziende che si avvalgono prevalentemente di
manodopera extrafamiliare. Insomma possiamo dire che almeno l'80'%
dell'aziende ha un carattere contadino. Queste aziende però sono diminuite:
tra il 1995 ed il 1996 sono calate del 1,6% in numero e del 3,2% in ettari
di terra. Al contrario rispetto al 1990, dove erano solo il 75,2% sono
comunque aumentate di oltre il 6% in numero.

Per una idea della ripartizione fondiaria si ricorda che il 39,4% delle
aziende gestisce meno di un ettaro e che le aziende oltre i 50 ha pur
essendo un modesto 1,7 del totale delle aziende, controllano il 34,1% della
SAU!


Anche se negli ultimi 10 anni la moria delle aziende contadine si è
rallentata, un nuovo difficile passaggio si produrrà nei prossimi 5 con una
forte possibilità della loro ulteriore marginalizzazione.

"Pas de pays sans paysans" è uno slogan famoso in Europa che ben riassume
questa forte preoccupazione nel più importante blocco agricolo del Pianeta
che è l'Europa, appunto. Quale agricoltura ed al servizio di chi è il punto
perché "Fin tanto che una famiglia lavora la terra che possiede questa è uno
strumento. Quando smette di lavorarla allora questa diventa un patrimonio"
(Paul Le Saux - pour une politique fonciere nouvelle - AFIP, 1981 Paris).
Diventa, cioè, una merce come tutte le altre.

La proprietà privata della terra.

Inutile negare che intorno a questo punto si scatena un conflitto che di
norma viene giudicato ideologico.

"Le terre non si potranno vendere per sempre, perché la terra è mia e voi
siete presso di me come forestieri e inquilini" (Lv 25,23)

Oggi in effetti "L'heure a sonnè de mettre en cause, fondamentalment, la
proprietè fonciere. Non parce qu'elle est odieuse en son principe mais,
perce qu'elle ne rèpond plus aux besoin des hommes, de la communautè des
hommes..Elle provoque désormais des desordres qui menacent notre
civilisation, nostre societé, l'harmonie de notre terroir de nos villes, de
nos villages" (Edgar Pisani, Commissario Europeo all'Agricoltura - "Utopie
Fonciere", pag 95) e quindi non c'è niente di naturale nel diritto all'
appropriazione individuale esclusiva dei beni costituiti dalle risorse
naturali.

La privatizzazione della terra in Europa come negli altri Continenti è il
risultato dell'esercizio della forza, spesso della violenza fino al
genocidio. Anche in termini teorici " i diritti collettivi odierni residuano
certo da consimili figure anteriori, ma non diversamente di quel che accade
per i fondamentali istituti del diritto, la famiglia, la proprietà
individuale, la successione, lo stesso diritto contrattuale.E vanno adattati
alla realtà economica di oggi.perché trattandosi di diritti
imprescrittibili, e spesso originari, occorre.inquadrarli negli.effetti che
diede loro l'ordinamento in cui furono formati" (G. Cervati, "Ancora dei
diritti delle popolazioni, usi e terre civiche e competenze regionali" -
Fiuggi, 1985).

I diritti collettivi sulle terre che sono arrivati fino ad oggi non sono
quindi retaggi inutili del passato propri solo ai popoli indigeni ma "..
(sono) un altro modo di possedere, un'altra legislazione, un altro ordine
sociale che, inosservato, discese da remotissimi secoli sino a noi" ( C.
Cattaneo, Su la bonificazione del Piano di Magadino).

Così mentre è necessario che alle comunità ed agli individui sia garantito l
'accesso ed il controllo della terra e delle risorse naturali, in
particolari quelle che danno vita alla diversità biologica irrinunciabile
per la produzione agricola; la proprietà privata della terra e delle risorse
genetiche non fa che favorire l'ingiusta distribuzione delle risorse e delle
ricchezze, condannando i poveri ad un'irreversibile condizione di
insicurezza.

Comunità locali di contadini, comunità di villaggio, Popoli Nativi hanno
strutturato nel corso dei secoli, anche resistendo al processo di
distruzione operato dalla progressiva conquista del Pianeta da parte del
modello occidentale di sviluppo, una complessa articolazione di diritti
collettivi per poter gestire in modo non distruttivo l'uso delle risorse
naturali.

Questa dottrina giuridica, unita all'accumulazione di una conoscenza
scientifica diversa dalla scienza occidentale ma altrettanto efficace e
capace di indicare soluzioni tecniche ai problemi della produzione agraria,
è la base per definire, nel quadro di una nuova Riforma Agraria, le modalità
di accesso alla terra e di organizzazione della produzione.

Occorre costruire gli strumenti giuridici per garantire l'accesso alla terra
per i pastori, i braccianti, contadini con poca terra, per aziende familiari
limitate nello spazio di gestione delle rotazioni e dei piani di
riconversione ecologica. Occorre inoltre garantire il mantenimento del
controllo di questa da parte dell'agricoltura familiare rompendo l'attuale
distribuzione della terra stessa.

Esistono già alternative al monopolio individuale della terra e della
biodiversità, basate su un contratto sociale forte a garanzia della certezza
del possesso per l'individuo e la sua famiglia. Queste forme però sono
possibili se a livello Regionale i governi stabiliscono dei nuovi
contratti-quadro per consentire l'accesso alla terra sulla base di affitti,
concessioni, o altra contrattualistica capace di garantire per i contadini
ed i pastori l'accesso alle risorse delle terra (pascoli, fieno, acqua,
rotazioni, impianti di frutticoltura etc.)

L'autonomia di un proprio, diverso, approccio all'economia e al rapporto
dell'uomo con la natura diventa così un diritto irrinunciabile e
strettamente connesso all'accesso alla terra, la base di una efficace
riforma della politica agricola.

Ripercorrere le vie della Piccola Proprietà Contadina creando nuovi
mini-imprese che, fragilissime e totalmente dipendenti dal settore
industriale e bancario, finiranno per avere una vita breve costringendo però
milioni di famiglie contadine all'autosfruttamento estremo, oggi significa
solo favorire i processi di allargamento della sfera d'azione e di interesse
delle multinazionali agroalimentari e chimiche.

Un accesso alla terra aggiuntivo che risultasse dalla vendita delle terre
appartenenti agli Enti pubblici - oltre a tagliare fuori quanti tra i
contadini non avessero una autonoma capacità di autofinanziamento dell'
acquisto - oggi nel nostro Paese si inquadrerebbe dentro un rigido sistema
di imprese agricole che trasformerebbe una parte del compenso al lavoro del
contadino e della sua famiglia in liquidità necessaria all'acquisto oltre
che della terra anche di sementi, macchine agricole, concimi e pesticidi: un
gigantesco nuovo inesplorato mercato per le multinazionali.

Riteniamo che porre di nuovo la questione fondiaria in Italia, il diritto d'
accesso alla terra ed una necessaria approfondita discussione sul mercato
che si sta facendo del "diritto a produrre" sia una necessità non
rinviabile. Un nuovo patto fra proprietari terrieri e contadini basato su la
logica del country anglosassone non ci piace così come non ci piace la
trasformazione in attrazione turistico-culinaria delle radici profonde dell'
agricoltura contadina, radici che sono ficcate in profondità nello
sfruttamento che questi hanno subito ed, in fondo ed in modo diverso,
continuano a subire.

Comunque oggi c'è un bisogno di terra agricola. Noi, con il nostro piccolo
orgoglio, non possiamo far altro che ricordare che "Colui che si trova in
estrema necessità, ha diritto di procurarsi il necessario dalle ricchezze
altrui" (Conc. Ecum. Vaticano II, Gaudium et spes ) e portargli tutta la
nostra solidarietà.




"CONTADINI!"

Affiancare le parole 'contadino' e 'agricoltore' spesso risulta una sfida.
Il dizionario ci dice che il primo è colui che vive in campagna e si occupa
del lavoro dei campi; il secondo è piuttosto descritto come la persona che
esercita un'attività economica.

 Il sospetto è che il termine agricoltore abbia una connotazione più
consona, più professionale, che evoca l'immagine di un capo d'impresa,
mentre quello di contadino venga percepito come spregiativo ed arcaico.
Tanto è vero, che si propone in più sedi un 'itinerario di sviluppo' tale da
implicare la trasformazione dei contadini in agricoltori e quindi in
imprenditori agricoli.

Non intendiamo adottare caratteri definitori che circoscrivano e delimitino
l'agricoltura contadina entro categorie definite, in quanto questa raccoglie
le manifestazioni di un mondo composito, ricco di articolazioni
territoriali, sociali, culturali e produttive non omologabili.

 Crediamo, tuttavia, necessario utilizzare questo "termine" in quanto aiuta
a meglio interpretare il confronto in atto fra i modelli - o come si usa
dire, i paradigmi - agricoli oggi esistenti ed ad evidenziarne la differente
matrice culturale ed il diverso impatto sociale ed ambientale.

Negli ultimi decenni si è visto che le piccole aziende hanno saputo
resistere alle politiche che favorivano la concentrazione produttiva con
conseguente fuoriuscita delle più deboli, anche per le risorse che le
piccole e medie aziende hanno dimostrato di potere e sapere mettere in
campo.

In Italia la presenza della manodopera familiare è consistente in tutte le
classi di dimensione economica, a dimostrazione che l'azienda rappresenta
ancora una modalità ricorrente di occupare i componenti della famiglia del
conduttore. Se questo avvenga in modo efficiente o per assenza di
un'alternativa di lavoro non ci è possibile stabilirlo, comunque questo
aspetto è interessante anche per incrinare quella interpretazione dualistica
del modo di produrre in agricoltura.

Lo spazio rurale è stato spesso associato a quanto di più arretrato può
essere presente in un paese, legato ai ritmi antichi di un'attività agricola
scandita dai tempi della semina e della raccolta delle produzioni.

Lo spazio rurale, nonostante gli approcci semplificativi spesso applicati,
non è rimasto nel tempo uguale a sé stesso ed è pertanto difficile
individuare un criterio univoco di distinzione tra urbanità e ruralità forse
proprio per le modalità in cui lo spazio rurale è andato via via
modificandosi. La molteplicità di dimensioni, aspetti e funzioni che ha
saputo assumere nel tempo richiede una politica dello sviluppo rurale basata
su una visione complessa che ne contempli gli aspetti sociologici,
economici, culturali e ambientali.

Le tendenze dell'ultimo decennio, sull'onda dei problemi di dissesto e
inquinamento ambientale, volte alla riscoperta del valore "territorio" hanno
riacceso l'attenzione verso un mondo rurale capace di assolvere alle
funzioni più diverse. Questa attenzione recentemente è stata strutturata
nella definizione della "Agricoltura multifunzionale"

Riteniamo che si apre una nuova stagione per l'agricoltura il cui ruolo è
centrale per le forti interrelazioni che essa instaura con il resto dell'
economia, ad esempio attraverso la pluriattività. Tale strategia può essere
una misura efficace nel contrastare l'abbandono delle campagne e dei paesi e
per proteggere un grande patrimonio di storia e di cultura, oltre che l'
assetto idrogeologico del territorio sempre più compromesso anche a causa
dell'assenza della tradizionale presenza umana. Ciò significa inoltre
riscoprire e valorizzare i legami con la terra, la gente, le tradizioni dei
luoghi dove si vive..

In un momento in cui si pone un limite alla produzione di beni agricoli alla
luce del raggiungimento dell'autosufficienza alimentare dei paesi europei,
ci si deve porre la domanda di come, con quantità non più crescenti, fare
vivere un numero ampio di agricoltori.

I benefici che l'agricoltura contadina garantisce alla società richiedono di
essere opportunamente riconosciuti e valorizzati per assicurare il
mantenimento di un tessuto sociale che altrimenti rischia di disgregarsi e
che attualmente continua ad avere come cardine la struttura familiare.

Gli strumenti vanno cercati ad esempio in una diversa gestione del credito,
del circuito commerciale, dei marchi, del sistema di garanzia della qualità
dei processi di produzione da certificare attraverso un controllo e
monitoraggio fatto da istanze pubbliche ed autonome.

Noi sappiamo che ci sono le basi e le idee per contrapporre alla matrice
agricola industrialista un'altra matrice, quella contadina centrata sul
lavoro, la specificità e la qualità sociale ed ambientale.

L'agricoltura massificata non si adatta alla tipologia produttiva e
ambientale dell'area mediterranea. Il rischio sociale e ambientale è quindi
enorme se si continua a voler assumere come riferimento per l'intero settore
primario un modello d'agricoltura industrialista e intensiva in capitale

Questa coalizione non vuole essere una nuova organizzazione professionale
agricola, ma intende mettere in contatto quelle associazioni e quei gruppi
che si battono per promuovere in Italia il sostegno al lavoro contadino ed a
quei sistemi produttivi che lo favoriscono.

In questo noi sottoscritti ci impegniamo, in solidarietà e coordinamento con
quanti, attraverso il Pianeta, conducono battaglie simili.


Verona, 8 aprile 2000





A.R.I - Associazione Rurale Italiana - Verona

Centro Internazionale Crocevia - Roma





"Non lasciano dietro di loro alcun segno d'identificazione, fuorché le
lapidi ed i figli: la meravigliosa superficie del paesaggio britannico,
l'opera dei loro aratri, vanghe e cesoie o gli animali che custodirono non
conservano infatti né  una firma né un'impronta simile a quelle lasciate dai
muratori sulle cattedrali..." ( da "Captain Swing", di E.J.Hobsawm -G. Rudè;
1968).

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