Osservando gli sviluppi riguardo all' ultima finanziaria del governo dovrebbe essere ormai chiaro a tutti come le politiche economiche vengano affrontate solo dal punto di vista del neoliberismo, il che equivale a dire ulteriore compressione della spesa pubblica nei capitoli riguardanti il sociale per raggiungere i parametri di Maasthricht, ovvero tradotto nella pratica ulteriore compressione dei costi di lavoro per finanziare l' egoismo individuale rappresentato dai profitti per le imprese.
Tutto questo dovrebbe farci capire che oramai siamo giunti ad un punto di non ritorno, un cambio di paradigma del modo di produzione che in questi ultimi quindici vent' anni si è andato modificando trasformando irreversibilmente tutto il tessuto sociale e culturale ad esso intimamente legato.
Non è da oggi che andiamo predicando i rischi che comporta il fatto di affrontare un terreno di analisi ed intervento sostanzialmente nuovo con i vecchi strumenti sepolti nel nostro passato fordista. Di fronte a questa cosciente o meno incapacità di adeguamento e proposta, destra e sinistra diventano concetti assolutamente privi di significato, senso, progetto e rappresentanza. Destra e sinistra nei fatti finiscono per confondersi ed in un prossimo futuro con ogni probabilità combaciare in una nuova ipotesi di governo.
Qua nel nordest questo spazio pubblico lasciato scoperto da adito ai tromboni secessionisti e razzisti della Lega innanzitutto solo perché e' l' unico partito che fa della protesta antistatalista il suo cavallo di battaglia.
Tralasciando tutto il discorso intorno alla Lega che qui non è proprio il caso di affrontare, e comunque è già stato fatto nelle sedi più adeguate (vedi il meeting di Venezia di metà settembre), bisogna cominciare ad affrontare in termini reali, tremendamente pratici, i concetti che in questi anni abbiamo largamente approfondito; dare cioè forma concreta a concetti come riduzione dell' orario di lavoro a parità di salario e specialmente di reddito garantito di cittadinanza che sono quelli che fondamentalmente possono toglierci dall' attuale impasse per rilanciare un discorso sociale globale dal basso contro ogni interpretazione neoliberista della società e contro ogni politica dei sacrifici per poter entrare nella cosiddetta Comunità Europa (noi diremo Europa delle imprese piuttosto).
Discutendo attorno al concetto di reddito garantito di cittadinanza crediamo questo possa essere inteso non solo come un assegno mensile per tutti, lavoratori o meno o varianti del genere, ma sopra tutto come una serie di diritti nuovi da conquistare assieme alla difesa di quelli ottenuti da generazioni di lavoratori nella nostra storia recente.
Partendo dal punto fermo che a noi personalmente non cambia assolutamente nulla se paghiamo le tasse al governo di Roma o all' eventuale governo padano di Venezia, si possono fare alcune considerazioni riguardo non tanto al welfare in se stesso ma a come conquistare nuovi diritti e poi difenderli.
Primo. La storia ci insegna che se non esiste un controllo dal basso delle conquiste sociali queste, una volta lasciate nelle mani dei padroni di turno sono destinate ad essere sacrificate all' occorrenza per il bene dello stato (ovvero sia degli interessi capitalistici dettati dalla globalizzazione dei mercati).
Secondo. Non si può vivere sugli allori celebrando glorie passate e conquiste legate ad altre epoche quando la velocità di modificazione dei paradigmi economico-sociali diventa tale da rendere impossibile paradossalmente qualsiasi paradigma di interpretazione della realtà; questo detto in altre parole significa che oggi continuamente nascono nuovi interessi o si evidenziano nuovi bisogni di cui è necessario tener conto, dal basso salgono senza sosta nuove istanze di rinnovamento che rendono sempre più complessa la realtà facendosi potenza costituente di nuovi percorsi reali che pero' non trovando sbocco ed espressione in un panorama politico dominato da pensatori di vecchio stampo rischiano di rivolgersi in ideologie ancora più vecchie e negative (risorgere di fascismi, razzismi, integralismi di ogni stampo) quando effettivamente non c' è più la necessità reale di qualsiasi ideologia.
Per questo proprio ora bisogna affrontare un passo che magari ci sembra molto più lungo della nostra gamba, ma bisogna affrontarlo. Molti compagni che non hanno capito in pieno questo discorso si arroccano su posizioni certamente più antagoniste dal loro punto di vista, ma e' importante capire che non c' e' altra strada. Nella nostra pratica quotidiana dobbiamo essere noi a dare l' input a tutti gli altri soggetti collettivi ed individuali che sono portatori di nuove istanze che vengono continuamente represse; per questo riteniamo che la possibilità concreta di cominciare a modificare realmente questo stato di cose sia la costruzione di consulte locali per esprimere tali esigenze a chi ci governa nei nostri territori, sia l' aprire continuamente delle vertenze per conquistare in maniera conflittuale, aperta, pubblica, nuovi diritti di cittadinanza, nuove quote di capitale sociale che ci appartiene di diritto perché siamo noi a produrlo e che ci viene sistematicamente negato. L' apertura con la lotta di una nuova sfera pubblica slegata finalmente da ogni coercizione di mercato, di per se antistatalista. In pratica si tratta con il mezzo delle consulte territoriali di riappropriarsi dei nessi gestionali del potere pubblico in maniera costituente, perpetua senza lasciare mai che la gestione ritorni nelle mani di singoli, indifferentemente chi sia.
Si può e si deve discutere le forme organizzative che tali consulte devono avere; da anni andiamo dicendo che ogni ipotesi di coordinamento verticale alla fine stronca molte di quelle energie e di quelle ricchezze che la diversità insita in ciascuno di noi può dare; per questo abbiamo introdotto il concetto di Rete, una nuova forma di organizzazione dove non esiste linea comune, non esiste comando di alcun tipo. Esiste solamente una miriade di esigenze e rivendicazioni soggettive e collettive che, ognuna con la propria pratica e con il proprio modo di analizzare il reale, può dare adito a nodi focali della rete relativamente a singole vertenze per rendere la dinamica di lotta e di conquista di diritti esplosiva in un dato momento. Questa ci sembra sia stata anche la dinamica che si è innescata nell' organizzazione del meeting di Venezia, questa è la dinamica che vogliamo continuare ad adottare per i nostri percorsi politici. Sta a noi in conseguenza avere la giusta sensibilità non per imporre agli altri un metodo di lotta ma per coinvolgere più gente possibile in vertenze gestite dal basso e che abbiano il più largo ventaglio di forme e modi d' attuazione con il massimo impatto conflittuale che tale ricomposizione a rete può mettere in campo.
Poi, si è detto, il locale ed il globale sono le due facce complementari di una stessa medaglia che oggi si chiama economia-mondo e bisognerà ritrovarsi in un ambito più generale di discussione come può essere una consulta allargata ad un ambito almeno nazionale, anche se il teatro a cui dobbiamo fare riferimento risulta essere quanto meno quello europeo (come Amsterdam e Venezia); questo perché al di la dell' enorme importanza che può e che deve assumere la conflittualità diffusa localmente sul territorio è fondamentale iniziare anche percorsi ricompositivi più generali per delle specifiche vertenze in un campo più ampio come potrebbe essere per esempio la riduzione generalizzata dell' orario di lavoro a parità di salario.
Una consulta allargata in ambito del nordest da questo punto di vista si rende quanto mai necessaria!
Discutiamone. Noi ci saremo e ne supportiamo l' idea fin da adesso.
Realtà dell' autorganizzazione del monfalconese, Gorizia e bassa friulana.
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