COOPERATIVA
SENZA FRONTIERE
DI TORINO

La cooperativa Senza Frontiere nasce da un'esperienza sul territorio all'interno del Csa Murazzi, dove abbiamo incominciato a lavorare sugli immigrati a partire dai loro bisogni, partendo dalla questione del lavoro e della casa e arrivando ad una occupazione di uno stabile di proprietà di un ente locale. Da questo abbiamo deciso di continuare a lavorare sui bisogni degli immigrati, soprattutto su quelli di cui nessuno si era ancora occupato: il diritto alla salute. Abbiamo così costituito un progetto che è stato accettato dalla USL 1 nel 1992.

Questo lavoro nella sanità partiva da un livello di informazione, informazione sulle possibilità di utilizzare le strutture pubbliche da parte degli immigrati, ma già a partire dal secondo giorno di lavoro ci è apparso chiaro che era inutile informare soggetti a cui era precluso l'accesso a servizi perché la maggior parte delle persone che si rivolgevano a noi non avevano un permesso di soggiorno e soprattutto erano sprovvisti di un certificato di residenza senza il quale non si può accedere ai servizi sanitari della USL. In base a questo abbiamo incominciato a costruire una rete formale e informale all'interno dell'ente pubblico per poter accedere ai servizi e questo a partire da una battaglia sul piano amministrativo per poter utilizzare appieno le possibilità fornite da alcune leggi poco conosciute che garantiscono alcune prestazioni alle persone "temporaneamente presenti", leggi magari emanate prima che l'Italia diventasse oggetto dell'ondata migratoria. In particolare la legge sui consultori, la legge 405 del 1975, parla della possibilità da parte dei temporaneamente presenti di accedere a quei servizi: e questo vuol dire tutela della gravidanza, della maternità, interruzione volontaria della gravidanza, vuole dire insomma la tutela della salute della donna al 70%, ma anche dei bambini da 0 a 3 anni e dai 3 ai 10.

In base a questo siamo riusciti a coordinare i consultori sul territorio torinese in modo da far diventare lo sportello sanitario gestito dalla cooperativa un punto di riferimento reale sia per gli immigrati che per le strutture pubbliche. Il nostro ruolo era quello di far comprendere le esigenze dell'immigrato, ma anche i bisogni, non quindi un'informazione unilaterale, io ti do questo servizio, ma fare in modo che il servizio si modificasse proprio a partire dai bisogni degli utenti, in questo caso gli immigrati. Il primo obiettivo è quello di far accedere gli immigrati ai servizi specialistici all'interno degli ospedali, e questo ha comportato una serie di battaglie perché una serie di ospedali non voleva gli immigrati perché comportavano dei costi, soprattutto in una condizione cioè che potessero accedere a quei servizi quasi gratuitamente. Queste battaglie sono state fatte con la dirigenza degli ospedali, come quella del S.Anna, che si occupa di nascite e di interruzioni di gravidanza, perché le donne immigrate non avevano i documenti in regola, alla fine si è arrivati ad un accordo in base al quale gli immigrati possono accedere a quei servizi pagando il ticket pur non avendo la tessera sanitaria.

Con l'ospedale Mauriziano si è fatto un accordo, prima del nuovo decreto Dini, in base al quale gli immigrati possono usufruire di ogni tipo di visita pagando il ticket e questa è una grossa vittoria. Così si è fatto capire che il servizio pubblico ha degli spazi in cui tutti possono accedervi contro una tendenza dell'amministrazione sanitaria che voleva fare in modo che gli immigrati sprovvisti di tessera sanitaria, perché irregolari o anche solo perché senza certificato di residenza (una situazione tipica per un'immigrazione spesso ad alta mobilità e per l'impossibilità di prendere la residenza per la difficoltà da parte degli immigrati di trovare una sistemazione abitativa stabile e adeguata) si rivolgessero alle strutture private e quindi a pagamento.

Oggi oltre seimila persone si rivolgono al nostro sportello sanitario che ha assunto una dimensione sovrazonale anche se di fatto dovrebbe coprire solo la zona del centro di Torino. Abbiamo presentato progetti per aprire nuovi servizi in altri quartieri della città. Il decreto Dini, che è un decreto contro gli immigrati e che quindi deve essere abolito, però nel decreto c'è un articolo, il 13, inserito per le pressioni delle associazioni cattoliche e laiche che si occupano di immigrazione, che afferma che i temporaneamente presenti sul territorio nazionale non accedono solo più ai servizi di pronto soccorso degli ospedali, ma anche a cure continuative e ambulatoriali. Cosa vuol dire? Che fino a ieri se un immigrato si rompeva un braccio al pronto soccorso gli mettevano un gesso, per legge non c'era più nessuno tenuto a toglierglielo e non aveva diritto alla fisioterapia. In base all'articolo 13 ora si è teoricamente acquisito il diritto a cure continuative, si comincia così a dire che gli immigrati malati vanno curati ed è un'innovazione, anche se nessuno l'ha ancora applicato con la scusa che non sono state emanate circolari che diano indicazioni precise in merito. Noi stiamo svolgendo una funzione di stimolo perché invece quest'articolo venga applicato, anzi, che ci sia un'interpretazione estensiva dell'articolo. Perché questo è il nostro ruolo, oltre ad essere una cooperativa di servizi vogliamo essere una struttura di pressione sulle istituzioni. Una volta verificato che ci sono delle richieste, dei bisogni, troviamo un varco nelle regole amministrative perché questo bisogno venga soddisfatto attraverso un ruolo di continua pressione sull'amministrazione sanitaria. Senza questo ruolo di pressione molte leggi rimangono inattuate e molte possibilità vanno così perse.

Oggi la Regione ha dovuto costituire un gruppo di lavoro apposito su questa questione che dia risposte in tempi, speriamo, ragionevoli. Svolgiamo quindi una funzione di difesa dei diritti dell'utente, di quei diritti di prima soglia che devono essere garantiti per tutti, italiani e immigrati. Ma la cooperativa ha anche un ruolo attivo in tutte le questioni che più in generale riguardano la questione immigrazione, basta ricordarsi del ruolo di Senza Frontiere nella preparazione della manifestazione nazionale contro il razzismo che si è svolta il 19 novembre 1995 a Torino.

Senza Frontiere è stata l'associazione che con determinazione ha posto il problema di voler organizzare un concentramento nel quartiere di San Salvario, proprio in quel quartiere che era diventato il simbolo dei problemi legati alla questione immigrazione (a partire dalle strumentalizzazioni di media e partiti politici), contro la volontà del sindacato che aveva organizzato una passeggiata nel centro cittadino stando ben alla larga dai punti caldi della città. E a San Salvario si è trovato tutto il mondo dell'associazionismo e tutti quelli che più decisamente erano contro il decreto Dini e contro l'accordo PDS-Lega da cui era nato. Tutti quelli che insomma volevano il ritiro integrale del decreto e non solo alcune modifiche.

Il decreto Dini ha fatto emergere dalla clandestinità un 30% circa degli immigrati clandestini, dall'altro lato ha obbligato ancora il 70% di queste persone a rimanere in una condizione di irregolarità e quindi di maggiore sfruttamento, sia da parte dell'economia criminale che di quella legale. A livello lavorativo è stato un disastro a partire dal fatto che tutti sanno che i 4-6 mesi di contributi anticipati che doveva pagare il datore di lavoro per la regolarizzazioni li ha pagati l'immigrato, ma che nessuno fa niente. Così l'immigrato si è pagato la sanatoria ed ha avuto un fantomatico permesso di soggiorno che dura poco e spesso poi si trova senza il lavoro per cui ha pagato i contributi. Sono circa 250.000 ad aver fatto la richiesta di sanatoria, ma solo la metà verrà poi regolarizzata probabilmente. Ne rimangono così circa mezzo milione di irregolari. D'altra parte non si è verificata un'ondata di espulsioni temuta. Con questo decreto però si è chiarito che all'immigrato spettano meno diritti, a lui spettano i lavori più infami. E' stata la non garanzia per legge di non cittadinanza alla pari per gli immigrati. Ha soprattutto innescato altri meccanismi a livello legislativo, in base all'articolo 7 ter c'è oggi una categoria di persone che tu puoi cacciare quando vuoi, e questa è un'innovazione nel nostro quadro legislativo.

E' insomma una legge che si è adeguata alle richieste europee, un nuovo mattone nel muro della "fortezza Europa" Anche nella battaglia contro il decreto Dini non si è ancora visto l'affermarsi di forme di autorganizzazione tra gli immigrati, rinchiusi ancora nei limiti delle associazioni a base nazionale. Per capire questa situazione, di fronte a fenomeni di razzismo anche gravi o di fronte a bisogni urgenti e primari, bisogna fare un ragionamento che parte dal capire che non è giusto dare per scontato come spesso si è fatto che appartenere ad una fascia debole come è oggi quella degli immigrati voglia dire essere automaticamente "di sinistra". Questo non avviene anche perché all'interno delle stesse associazioni degli immigrati vivono le tensioni che sono presenti nei paesi di origine.
L'immigrato nel paese d'origine è già diviso in gruppi e partiti e queste divisioni riemergono qui: sintomatica è la situazione degli Ivoriani, esistono a Torino due associazioni della Costa d'Avorio che rappresentano i due raggruppamenti in cui è diviso il paese, il partito di governo e quello di opposizione. Si perde così la possibilità di sviluppare una battaglia rispetto ai diritti da conquistare nei paesi di accoglienza.

Le associazioni italiane che si battono per difendere diritti generali di cittadinanza, non hanno mai valutato questo problema, rivolgendosi magari al singolo immigrato con una certa preparazione politica che emerge nei momenti di massima tensione, ma non si riesce mai ad avere in blocco un'associazione che si muove o ancora meglio forme di autorganizzazione di base tra gli immigrati.

Sul mondo degli immigrati agiscono anche le istituzioni italiane, pensiamo al ruolo che il Comune di Torino ha attribuito alla Consulta degli immigrati, un tentativo di organizzare gli immigrati legali sui bisogni del Comune, non su quelli degli immigrati. Il bisogno della Giunta di centro-sinistra è quello di avere una rappresentanza degli immigrati, una forma a sé speculare ma depotenziata, che in qualche modo svolgesse un ruolo di mediazione e di dialogo. Non a caso è stata scelta poi una rappresentanza presa tra lo strato più "assimilabile" di immigrati. Discorso simile è quello del sindacato, che riesce ad attrarre alcune figure di riferimento tra gli immigrati e li immette all'interno della propria struttura cercando così di determinare i percorsi di organizzazione degli immigrati.

Lunga comunque è ancora la strada che ci separa da forme di organizzazione e di rappresentanza autonome degli immigrati.
 

COOPERATIVA SENZA FRONTIERE
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