di Sami Nair, professore di scienze politiche all’Università Paris VIII, Saint Denis.
A partire dalla fine degli anni ‘70, la società francese sembra sprofondare lentamente ma sicuramente nella balcanizzazione sociale e culturale: i rapporti sociali si “etnicizzano” progressivamente, la laicità deve far fronte al rinnovamento delle identità confessionali. La xenofobia, il razzismo e l’antisemitismo tendono a banalizzarsi. Lo stesso modello repubblicano, a vocazione universalista e assimilatrice (l’uno implicando l’altro), appare sempre più sulla difensiva. In questa situazione l’immigrazione gioca un ruolo di profondo rivelatore. A partire dal suo blocco ufficiale (1974), l’immigrazione è stato costituito nella retorica dominante come un “problema-ostacolo”, cioè un problema che non si cerca di risolvere, ma di riprodurre per fini diparte. Considerati troppo esogeni culturalmente, gli immigrati interrogavano in profondità l’identità francese. Per gli uni, soprattutto a sinistra, la loro “assimilazione” è mal riuscita perché faceva il verso a una visione del mondo sorpassata, “giacobina” e piena di sapori coloniali; per gli altri, soprattutto a destra, essa è impossibile perché gli immigrati, soprattutto quelli di confessione mussulmana, sono “portatori” di un sistema di costumi e di credenze incompatibili con la tradizione francese. Se l’accordo tra gli uni e gli altri è totale per bloccare definitivamente i nuovi flussi migratori, i primi hanno messo in piedi, nel 1981, una strategia che tendeva a favorire l’integrazione mentre i secondi, parallelamente ai proclami infiammati delle campagne elettorali, hanno soprattuttto mostrato la loro preoccupazione di infierire contro gli immigrati, anche al prezzo della destabilizzazione di quelli legalmente insediatisi. Al di la di queste attitudini, si profila tutto il dibattito sulla collocazione di popolazioni allogene o di confessioni religiose differenti in Francia. La tradizione francese di integrazione culturale non è pertanto un’astrazione. A partire dal XIX secolo, ogni volta che la Francia si è confrontata con la presenza importante di popolazioni allogene, si è operato un processo d’integrazione per assimilazione che, a dispetto di situazioni fortemente conflittuali, ha finito per realizzarsi. L’integrazione per assimilazione è la francesizzazione dei nuovi venuti. Se il termine può choccare, non significa tanto che l’imndividuo rinuncia alla sua confessione, alla sua lingua d’origine o a quella dei suoi parenti. Si tratta piuttosto di un comportamento pubblico e niente si oppone all’espressione della singolarità di ciascuno nello spazio privato. L’integrazione sociale rende possibile l’assimilazione culturale, e questa, di rimando, aiuta l’affermazione della cittadinanza. Adesso l’indebolimento delle capacità di integrazione del sistema sociale francese a partire dalla fine degli anni ‘70 ha provocato lo scompiglio nelle sue capacità di assimilazione. Ed è per non affrontare questa situazione che l’immigrazione è stata costruita simbolicamente come “problema”? Ciò che è sicuro, in ogni caso, è che tutto è stato fatto per dividere accuratamente l’immigrazione dal resto degli strati sociali in difficoltà e di farne un soggetto di conflitti di parte, senza che gli immigrati stessi, evidentemente, possano intervenire. Si possono distinguere tre fasi nel modo in cui è stato trattato: tra il 1974 e il 1981, tra il 1981 e il 1993 e dal 1993 ad oggi.
L’emergenza della “questione immigrazione” (1974-1981) Raffrontato alla mondializzazione come agli effetti di costrizioni risultanti progressivamente dalla cooperazione europea, il sistema socio-economico francese subisce un mutamento decisivo: crisi del compromesso capitale-lavoro, disoccupazione strutturale nascente, aumento della presenza femmnile nel lavoro dipendente, precarizzazione... Come in ogni crisi del sistema globale, la reazione delle élite dirigenti si orienta prima verso i limiti esterni del sistema, cioè verso gli strati esclusi e verso coloro che non beneficiano della legittimità dell’appartenenza “naturale”: gli immigrati, gli stranieri. Si chiudono le frontiere, si blocca l’immigrazione per lavoro, si designano gli immigrati come “problema” per l’occupazione in Francia. Il presidente del tempo, Valéry Giscard d’Estaing, sostiene che gli immigrati, soprattutto magrebini, sono “non assimilabili” perché troppo differenti culturalmente: devono quindi “ritornare” a casa loro. Ora, in quegli stessi anni ‘70, gli immigrati prendono coscienza che il “ritorno” al loro paese d’origine è un mito, e che si pone per loro il problema di come rimanere in Francia. I loro bambini nati in Francia sono già legalmente francesi. Ciò non toglie che durante questa fase, la dinamica inanellata è quella dell’esteriorizzazione e del rifiuto dell’immigrato.
L’integrazione-chiusura (1981-1993) Tra il 1981 e il 1993, la situazione cambia totalmente. La sinistra ha vinto le elezioni sulla base delle sue promesse per l’occupazione, ma anche difendendo dei propositi di integrazione degli immigrati legalmente installatisi e di regolarizzazione di coloro che erano in una situazione incompatibile con i diritti dell’uomo. Mantiene comunque il principio della chiusura delle frontiere. La strategia è quella di una “integrazione-chiusura” per gli immigrati. Questo programma, la sinistra non può mantenerlo totalmente. Tre fenomeni lo contrastano: la conversione della sinistra a un liberismo sociale incapace di soffocare la crisi; l’utilizzazione del razzismo anti-immigrati come risorsa politica dai partiti dell’estrema destra e da alcuni dirigenti di destra; il fatto che gli immigrati stessi andando a definire il proprio progetto di vita in Francia, sollevano la questione della loro identità confessionale. Essendo riusciti a legittimare la presenza dell’immigrazione nella società francese attraverso il riconoscimento dei suoi diritti e l’insistenza sui soui doveri, la sinistra si incaglia davanti alla marginalizzazione sociale degli immigrati. Ora, a partire dal 1983, l’estrema destra, poi la destra, trasformano la questione dell’integrazione sociale degli immigrati in problema culturale e, a partire da questo, aprono il dibattito sull’identità nazionale francese. < Chi è francese?> diventa allora la domanda. La destra, sospinta dalla demagogia razzista dell’estrema destra, propone una riforma del codice della nazionalità, di fronte alla quale gli intellettuali in vista sollevano i loro dubbi: si tratta di rimettere in discussione il diritto del suolo (principio del diritto alla nazionalità per nascita sul suolo francese). Il ritorno della destra al potere tra il 1986 e il 1988 non le permette di portare a termine questa riforma. Con la seconda vittoria della sinistra, nel 1988, si ritorna allo staus quo ante. Il diritto del suolo è mantenuto. La politica di sostegno sociale alle periferie è riaffermata - in maniera più mediatica che reale - ma ugualmente la lotta contro l’immigrazione clandestina, gli impedimenti sempre più grossi al diritto di ricongiungimento famigliare, una modalità sempre più repressiva alle frontiere. Costituita in problema-ostacolo , manipolata come risorsa politica nella competizione di partito, l’immigrazione diventa tanto dal punto di vista della società francese quanto da quello dell’immigrato, una questione di identità. Per la terza volta nella sua storia, la Francia cattolica si confronta in effetti con la presenza di una popolazione confessionale specifica: dopo i protestanti e gli ebrei, ormai è l’islam che si radica nel crogiolo francese. Le due precedenti confessioni non sono state integrate facilmente: dalla notte di San Bartolomeo all’affaire Dreyfus, la Francia cattolica monarchica o cattolica repubblicana ha mostrato delle serie resistenzae. Con l’Islam, la Francia repubblicana ha in più un contenzioso che risale alla colonizzazione e alla decolonizzazione dell’Africa del Nord. La questione posta oggi dalla presenza degli immigrati di confessione mussulmana è del tutto differente: si tratta di una popolazione minoritaria destinata, come i protestanti e gli ebrei, a vivere nella stessa Francia e avendo quindi una vocazione ad assimilarsi alla matrice culturale francese, a sua volta in pieno mutamento. Questa situazione va a radicalizzare evidentemente il malessere identitario francese. Ora, lontano da opporre a queste inquietudini un orientamento pedagogico fermo, basato sul rispetto del diritto delle persone, le élite politiche dirigenti danno piuttosto l’impressione, attraverso la promulgazione di leggi soprattutto repressive, di legittimarle.
L’esclusione come politica nazionale (dopo il 1993) Le leggi del 1993, dette leggi Pasqua, costituiscono non solo un attacco sistematico contro gli immigrati e gli stranieri, ma anche una sorta di legittimazione della retorica d’estrema destra. L’obiettivo è chiaro: consiste nello destabilizzare per delegalizzare, delegalizzare per escludere socialmente, escludere socialmente per espellere fuori dalle frontiere. L’integrazione non è più all’ordine del giorno. La rimessa in discussione del diritto del suolo nel 1993 aveva già espresso la quintessenza di questa nuova maniera di vedere: tutto è fatto come se si trattasse di esigere da questa immigrazione che fornisca, sempre e sistematicamente, le prove della sua integrazione. L’argomentazione avanzata dai menbri della Commissione sulla nazionalita, pecca di ipocrisia: con il pretesto di non fare dei “piccoli” Francesi malgrado loro, si obbliga tutti i bambini nati da genitori stranieri ad essere stranieri in Francia fino all’età disedici anni (tanto peggio per l’integrazione-assimilazione a scuola!). Nei fatti, questa riforma appare molto più come una presa in ostaggio dei bambini nati dall’immigrazione, ai quali si può rifiutare la nazionalità se si sono resi colpevoli di delitti puniti dalla legge. Non solo si ritorna così alla dinamica di esterizzazione di prima del 1981, ma la si radicalizza ancor più poiché ora questi bambini non hanno più la nazionalità francese. Ora questa strategia è tanto più aberrante in quanto riproduce l’immigrazione come “problema” in una situazione in cui tutte le inchieste dimostrano che, nell’immensa maggioranza, gli immigrati si sonodi fatto assimilati ai modelli culturali dominanti in Francia. Il progetto del gabinetto Debré, come il progetto di legge attualmente in discussione, della Commissione parlamentare sui clandestini accentuano ugualmente la pressione sull’immigrazione legalmente installata. Prevedono tra le altre la messa in accusa delle persone che danno ospitalità agli stranieri, la confisca del passaporto per gli stranieri in situazione irregolare come per i richiedenti di asilo durante la durata della procedura di esame della loro domanda, l’estensione ai prefetti del diritto di espulsione e, infine, soprattutto, l’invocazione del motivo di turbativa dell’ordine pubblico: si tratta di un motivo molto antico per rifiutare la concessione o il rinnovo della carta di lungo soggiorno (dieci anni). Se questo progetto sarà adottato, la destra sarà definitivamente passata sotto l’egemonia dell’etrema destra per ciò che concerne gli immigrati. La legge sarà diventata xenofoba.