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marco_mancuso_-_good_morning_mr._orwell.txt · Ultima modifica: 2008/10/01 18:56 da gadda

Good Morning, Mr. Orwell


Marco Mancuso

[questa è la prefazione al libro TV 2.0: l'arte sullo schermo, di Francesco Monico, di imminente uscita presso l'editore Meltemi]

Jay Dedman e Ryanne Hodson sono due video artisti Nord Americani che come tutti i creativi che lavorano con l’immagine digitale, conoscono bene l’importanza di una buona presentazione visiva del loro lavoro. Per loro, termini come “risoluzione dell’immagine video”, “dimensioni del plug-in” e “streaming in tempo reale” non sono mai concetti banali. Al contempo Jay e Rhianne sono anche due noti media attivisti, capaci di prestare e adattare le loro conoscenze e la loro arte ai precetti dell’attivismo politico e sociale, utilizzando a questo scopo la Rete e le sempre più diffuse piattaforme per la gestione condivisa di contenuti video. Piattaforme come You Tube ovviamente, ma anche tutte quelle di Vlogging, così come le nuovissime Web Tv o le piattaforme user generated content. Piattaforme che hanno in genere una scarsa qualità dell’immagine riprodotta, deterrente per quasi tutti i video artisti contemporanei. Per nulla scoraggiati dai bassi standard attuali (forse la sola piattaforma di Vimeo, una sorta di Flickr per la condivisione e la messa online di video, ad oggi fa eccezione), Jay e Rhianne hanno pensato bene di sviluppare una batteria di plug-in e di tools per la piattaforma WordPress, una delle più apprezzate e utilizzate dalla maggior parte dei blogger nel mondo (me compreso). Lo scopo è quello di consentire a tutti la messa online di un proprio videoblog indipendente, caratterizzato da una gestione semplice e immediata dei contenuti video, con un visore programmato appositamente per una visione di qualità e con una serie di strumenti in grado di manipolare il video stesso. Il tool si chiama enfaticamente “Show in a box”, ed ovviamente è gratuito.

Penso che questo esempio sia più che calzante per descrivere ciò che sta avvenendo in Internet oggi; da un lato il video sta inequivocabilmente diventando un vero e proprio media personale, autonomo, autogestito, autoprodotto, possibilmente portabile e sicuramente condivisibile, elemento essenziale per comunicare in Rete e per auto-diffondersi (brodcast yourself, recita imperioso You Tube). Dall’altro sembra essere arrivata a maturazione, quella cultura utopica basata sulla produzione e condivisione randomica di contenuti video indipendenti, che di fatto sta trasformando il vlogging, il video sharing, il peer to peer, le web tv, nei nuovi paradigmi di inizio millennio. Se quindi You Tube o Qoob rappresentano oggi ottimi esempi di condivisione dal basso di video autoprodotti, in grado di creare community di persone alla ricerca di informazione, curiosità, divertimento, voyeurismo, fioccano nei pertugi della Rete videoblog e software peer to peer attraverso i quali alimentare una controinformazione ricchissima, uno scambio e condivisione di materiali video mai domo, una sorta di quieta resistenza al sempre più arrogante e aggressivo bombardamento di informazioni manipolate e tendenziose da parte dei media ufficiali. E tra questi, in cima alla lista, quel medium televisivo che rappresenta il punto di partenza di questa efficace trattazione di Francesco Monico: tele-visione come tecnologia di trasmissione di contenuti audiovisivi a distanza, secondo un flusso preordinato di suoni e immagini che seguono precise dinaniche di senso. Un medium forse oggi superato, o per lo meno, consentitemelo, sul viale del tramonto, defraudato della sua caratteristica principale: la capacità di gestire un flusso di comunicazione “da uno a molti”, da un nodo centrale ai satelliti periferici. Esattamente l’opposto dell’utopia libera di Internet, con la quale la televisione è messa radicalmente a confronto nel testo di Monico, senza perni centrali, orizzontale nelle sue dinamiche di condivisione, capace di aggregare le persone secondo principi e contenuti, interessi e sentimenti.

E attenzione, qui non si sta parlando di “televisione interattiva” ma di Web Tv, non di Web ma di Web 2.0. Per chi non è avezzo a questa tediante diatriba, divenuta ormai quotidiana tra gli addetti ai lavori, su cosa sia per la verità il Web 2.0, tenga solo presente che Internet dal giorno della sua nascita è notevolmente cresciuto e continua a farlo, anche se è ancora ben lungi dall’essere uno strumento maturo. Se infatti, come ricorda giustamente Francesco Monico, il problema principale della “televisione interattiva” era quello di ri-presentare le dinamiche tipiche del medium televisivo (produttore centralizzato e specializzato – utente attivo nella navigazione ma passivo nella proposta), il nodo centrale della Web Tv è quello di creare delle strutture tecnologiche in grado di soddisfare le crescenti esigenze di autonomia e condivisione di una neonata generazione di tele-spettatori. I quali ambiscono ad essere i soli e unici autori dei loro palinsesti.

La nuova televisione online scardina in altre parole i meccanismi della Tv lineare e interattiva e si propone come struttura composta da spazi diversi e compenetrati: wikki, video bookmarks, blog e vlog, social networks, piattaforme user generated content. Il palinsesto di questa “televisione del futuro” sarà quindi partecipato, seguendo una nuova teoria che partendo dalle storiche ’”esperienze cinematiche audiovisive” del secolo scorso, le traspone all’interno di nuovi strumenti interattivi, progettati, partecipatori e usabili secondo le più moderne tecnologie a disposizione. E’ questa quindi la realizzazione delle utopie dei pionieri critici dell’underground media e dell’avanguardia cinematografica? E’ questo lo strumento che consente la democratizzazione delle culture e dei linguaggi, che tramite una struttura non-lineare dei contenuti consente una riflessione sulla sempre più complessa realtà che ci circonda? E soprattutto, saremo in grado di difendere questa tecnologia, mantenendola libera, difendendola da interessi crescenti, sfruttandone le sue dinamiche alternative di informazione attraverso la cultura del cut&paste&share che la diffusione del digitale ha contribuito a cementare nella nostra e nelle successive generazioni? Mi sembra quasi di vedere molte facce a me note dipinte dal dubbio…

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Al contempo, dal Fantastico Mondo di Oz, sembra che gli artisti rimangano volutamente lontani. Cosa a dir poco curiosa se si pensa che gli strumenti (digitali) e i linguaggi (della modernità) sono effettivamente gli stessi. Sfido chiunque a trovare su You Tube o qualsiasi Web Tv un contenuto video o audiovisivo che rientri in quelli che sono i circuiti artistici e professionali della creatività digitale audiovisiva contemporanea. Come afferma Monico nel suo testo, “gli artisti che stanno operando nel medium computer sembrano incarnare qualità maggiormente astratte, poetiche, complesse e non narrative, nell'esperienza dell'interazione con il sistema dell’arte”.

In altri termini, la video art e l’audiovisivo che ambiscono a un riconoscimento artistico e istituzionale, rimangono amorevolmente avvinghiate alla storia dei media e alla tradizione cinematica, alle esperienze artistiche, attiviste, sperimentali e sinestetiche che ne hanno caratterizzato l’evoluzione (e di cui si incomincia solo oggi a intuirne la portanza specifica nella storia dell’arte contemporanea). Gli artisti che operano in questi ambiti, rimangono in un certo qual modo al di fuori di questa arena, delegando quindi alle gallerie online, ai musei digitali e nel peggiore dei casi ai mondi virtuali, la loro presenza sulla Rete. Si prospetta quindi una nuova televisione sì, ma dagli scarsi contenuti artistici. In fondo, niente di molto diverso da quella che è la televisione oggi. Ed è qui che risiede la perplessità del critico: il fatto cioè che questa “nuova” televisione 2.0 diventi a sua volta uno strumento eccessivamente di massa, un capitolo sicuramente importante nell’evoluzione dei media ma legato a delle dinamiche esterne di imposizione di consumi e controllo delle dinamiche. E’ possibile in altri termini definire un’”estetica” di You Tube? Esistono progetti artistici audiovisivi creati appositamente per la condivisione di massa in Rete? La risposta è no in entrambi i casi, almeno per ora, ed escludendo dalla trattazione l’universo oggi un po’ decadente della net.art: il digitale è fuor di dubbio uno strumento creativo dal potenziale infinito e lo sviluppo tecnologico un carburante quasi inesauribile, ma la pratica artistica rimane qualcosa di elitario, per pochi, come forse è giusto che sia.

Gli artisti video e audiovisivi utilizzano quindi la Rete in maniera molto diversa. Le dinamiche francamente più interessanti sono legate innanzitutto alla condivisione di database e piattaforme online di suoni e immagini, e in secondo luogo alla tradizione ormai decennale in grado di sfruttare efficacemente le dinamiche relazionali di Internet, creando networks e portfoli online di varia natura. Tradizionalmente la video arte e l’audio-video hanno sempre utilizzato i database condivisi come fonte culturale di materiali grezzi, così come si sono sempre cimentati nell’antica arte del found footage: nessun problema ad estendere quindi queste pratiche all’interno dei mondi virtuali di Internet. La cultura del remix, gli strumenti di gestione del suono e del video in tempo reale, i server online e la sovrapproduzione di materiali audiovisivi, rappresentano gli ingredienti principali per un numero crescente di progetti artistici interconnessi, in grado di condividere prodogmi artistici da trasformare, ricombinare, rimasticare e presentare in una veste del tutto nuova. Si è parlato ultimamente di Web Jockeys (Wjs), di Connected Live Art, di Video Slamming: queste sono forse le dinamiche artistiche di domani, in grado di operare con i materiali audiovisivi presi dalla nuova Tv 2.0, seguendo quel sottile fil rouge che accomuna molti dei progetti artistici citati da Francesco Monico nella seconda parte di questo libro. Senza in questo dimenticare quelle poche piattaforme culturali sul web, che solo oggi incominciano a ri-definire il ruolo del curatore, del giornalista e del critico d’arte, e che sempre più spesso sono in grado di ospitare archivi video e banche dati audiovisive, interrogandosi sulle modalità più efficaci per una corretta archiviazione, conservazione e condivisione dei materiali artistici. Il grande riscontro ottenuto da esempi illustri come il Whitney Artport, la PortableGallery, il DVBlog, RTMark’s, Electronic Art Intermix e ovviamente anche Ars Virtua su Second Life, indicano la necessità oggettiva degli artisti, dei curatori, dei ricercatori e degli stessi studenti di poter godere di un canale privilegiato di accesso alla video arte al fianco dei tradizionali formati di pubblicazione in Rete.

La pratica non-narrativa e sperimentale sui linguaggi e i codici, seguita dagli artisti contemporanei che lavorano sulla relazione tra suono e immagine, può senza alcun dubbio influenzare le estetiche della modernità di una futura televisione 2.0, così come gli strumenti tecnologici della modernità sono sicuramente in grado di influire sulle dinamiche di condivisione della pratica artistica. Che proprio questa sia la possibile via di accesso del mondo della video arte sulla Rete, non resta che aspettare per scoprirlo insieme…

 
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