I muscoli di san patrignano

 From: rattus norvegicus  
 
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 Qualche appunto da condividere, solo annotazioni veloci.
 La questione droga al centro delle iniziative sociali della destra.
 L'annuncio di una nuova politica repressiva viene da San Patrignano.
 Considerazioni amare sulla staticita' dei poteri e sulla loro (apparente?)
 paresi intellettuale. Una delle discussioni piu' equilibrate e intelligenti
 riguardo l'uso di sostanze psicotrope e le risposte istituzionali che ad
 esso vengono date l'ho trovato in un testo di Isabelle Stengers intitolato
 "Scienze e Poteri" (Boringhieri, 1998).
 In realta' Stengers parla d'altro. Il suo discorso riguarda la credibilita'
 degli asserti presentati come scientifici e l'uso "politico" che viene
 fatto del concetto di scienza. L'esempio delle valutazioni degli esperti in
 materia di sostanze stupefacenti serve ad evidenziare uno degli ambiti in
 cui l'uso della retorica della scienza e' smaccatamente di parte. Il
 ragionamento muove da cio' che si sa in materia di sostanze stupefacenti:
 "Vi sono droghe molto pericolose ma lecite, per esempio l'alcol e il
 tabacco. Vi sono droghe rilasciate su prescrizione, gli antidepressivi e
 gli altri farmaci psicotropi. E vi sono droghe dette "illecite" che
 includono prodotti pericolosi come il crack, o innocui come la cannabis".
 (Isabelle Stengers, Scienze e Poteri, Bollati Boringhieri, 1998)
 Lo so: questa fotografia dello stato delle cose potrebbe farla chiunque tra
 noi. Non c'era bisogno di Isabelle Stengers.
 Questo e' un indicatore abbastanza chiaro del fatto che le analisi
 "scientifiche" riguardo gli effetti tossici delle sostanze stupefacenti
 sono entrate, pur nei loro limiti, nel senso comune.
 Non dimentichiamo che in Italia e' stato vinto, sia pure di misura, un
 referendum sulla depenalizzazione dell'uso di quantita' modiche di derivati
 della cannabis.
 Tuttavia l'obiettivo di Stengers non e' quello di negare l'oggettivita' dei
 risultati della tossicologia, quanto piuttosto quello di negare quella
 messa in campo dagli esperti "psicosociali" per dare legittimita'
 scientifica alle strategie di prevenzione, repressione, e recupero che
 vengono proposte e attuate.
 Appare particolarmente interessante la questione che si pone quando ci si
 interroghi su quale sia l'origine di una cosi' smaccata diversita' di
 analisi e classificazione tra gli effetti patogeni delle sostanze e le
 sanzioni che vengono o meno associate all'uso di alcune di esse.
 La domanda ingenua eppure ovvia e legittima: "Perche' il vino si' e l'erba
 no?" rimane inevasa in una babele di distinguo in cui facilmente ci si
 smarrisce senza trovare alcuna risposta ragionevole.
 In fin dei conti, passati ormai quarant'anni dalla beat generation, e dalle
 prime forme di consumo di massa in occidente, la situazione appare
 curiosamente bloccata o, al limite, basculante in una diatriba infinita tra
 chi propone sperimentazioni ragionevoli e chi si irrigidisce
 nell'autoritarismo dei divieti.
 L'attivita' pluridecennale di antiproibizionisti molto competenti e'
 servita soltanto a sensibilizzare aree intellettualmente avanzate senza
 sortire effetti sostanziali sulla classe politica.
 Giunti a questo punto non stupisce che alcuni gruppi, come ad esempio gli
 adbusters, abbiano iniziato a invertire i termini della questione
 sollecitando e promuovendo campagne per il rifiuto sistematico delle droghe
 di monopolio come il tabacco o l'alcol. Superato l'iniziale imbarazzo per
 quegli spot apparentemente moralisti, si inizia a comprendere il
 rovesciamento che suggeriscono.
 A qualcuno la politica della repressione dura annunciata da Fini a San
 Patrignano pare stridere con le iniziative legislative che fovoriscono i
 traffici di capitali (piu' o meno leciti) proposte e approvate dal governo
 qualche giorno fa.
 In concreto si tratta della medesima strategia. Dal proibizionismo in poi
 e' pacifico affermare che i divieti sortiscono solo aumenti del consumo, se
 ne ricava quindi che la tenaglia tra narcotraffico e moralismo retorico e'
 sul punto di dispiegarsi con la consueta e devastante potenza. Del resto
 l'alta produttivita' del tossicodipendente, la sua infaticabile ricerca di
 denaro, costituisce, in un regime fondato sulle leggi del mercato, un
 elemento irrinunciabile. Il tossicodipendente, comunque lo si guardi, e'
 produttivo. Si tratta di una produttivita' tutt'altro che "socialmente
 utile" ma dalle sfumature esaltanti per qualsiasi estimatore della
 filosofia del business per il business.
 Il capitale movimentato dal traffico degli stupefacenti crea un tale
 indotto che e' davvero utopico immaginare che esistano iniziative
 seriamente intenzionate a limitare la sua espansione.
 Quello che interessa pero' e' che la struttura securtaria del recupero e
 della repressione assume una posizione speculare a tale business
 alimentando a sua volta il mercato della paranoia e della sicurezza. In
 altri termini la devianza viene anche prodotta attraverso un paziente
 lavoro, in gran parte simbolico, finalizzato a legittimare la spesa per le
 attivita' di controllo. (Ne puo' sfuggire come le venti tonnellate d'oppio
 al giorno prodotte dai Taliban rappresentino una delle questioni al centro
 dell'attuale conflitto).
 In un certo senso il mantenimento di questo atteggiamento proibizionista
 nei confronti della cannabis sembra assumere i toni di una repressione
 paragonabile a quella attuata nei confronti dei comportamenti masturbatori
 dei bambini tra la fine dell'ottocento e l'inizio del novecento.
 La parafernalia di cinture di castita' e cruente mutilazioni chirurgiche
 messa in piedi in quegli anni ai danni degli onanisti sembrerebbe, almeno a
 prima vista, spiegarsi con un grossolano errore scientifico, un "passo
 falso" della scienza paragonabile allo pneumotorace. Alla masturbazione
 veniva assegnato infatti il ruolo di "madre di tutte le malattie". Si noti
 pero' come, analogamente, la droga svolga nella "patologia sociale" una
 funzione del tutto simile: "madre di tutte le devianze", spiegazione del
 disagio e di ogni delitto inspiegabile, di ogni perversione, di ogni
 differenza. Ma soprattutto, in modo del tutto analogo all'onanismo, la
 droga diviene l'insuperabile innesco per infiniti loop di peccato e
 redenzione, di colpa e di espiazione.
 E' ragionevole pensare che tanto oggi con la droga quanto allora con la
 masturbazione dei bimbi, ci si trovi in realta' di fronte a un qualche tipo
 di costruzione di psichiatria istituzionale che mira a porre dei limiti
 politici alla piena disponibilita' del corpo da parte del soggetto. Solo
 che oggi, nel caso della cannabis, e' del tutto caduta anche la spiegazione
 medica che sosteneva l'interdetto della masturbazione. La proibizione
 sembra insomma scaturire interamente dall'affermazione della volonta' di
 esercitare un potere di interdizione sulla disponibilita' del corpo. E,
 proprio in quanto norma di interdizione immotivata, la proibizione della
 cannabis assume una valenza discriminatoria, divenendo un metodo politico
 di verifica della fedelta' e della lealta' alla norma, al legislatore e
 all'istituzione.
 Di fatto il grado di persecuzione nei confronti dei consumatori di sostanze
 illecite varia al variare della percezione sociale di pericolo. L'effetto
 sistemico e' insomma costituito da continui feed-back tra chi tiene il
 "polso" dell'opinione pubblica e chi deve stabilire sia il regime normativo
 che le strategie di intervento. Ovviamente pompando a mezzo stampa l'ansia
 e la paranoia aumenta la disponibilita' a legittimare spese pubbliche per
 la sicurezza e quindi aumenta l'intensita' dell'intervento.
 Cio' che a mio avviso sfugge a molti e' allora il raccordo politico tra la
 fine del lavoro e l'aumento delle politiche repressive. In buona sostanza
 la politica della sicurezza si presenta come uno strumento per ridurre
 tutti gli spazi di agibilita' e di immaginazione che una societa'
 tecnologicamente avanzata finisce con il generare. Si crea un vero e
 proprio mercato della criminalizzazione che rischia di divenire il motivo
 dominante dell'intera attivita' politica. In fondo un potere che non trovi
 piu' l'autorevolezza che deriva dalla competenza, dall'esperienza, dai
 ruoli all'interno di un'organizzazione sociale, finira' facilmente con il
 riconoscersi e quindi con il manifestarsi come puro comando, come principio
 di autorita' del tutto arbitrario.
 Quella di concentrare il DNA (Dipartimento Nazionale Antidroga) presso la
 presidenza del consiglio e' una scelta che mira evidentemente a uniformare
 le politiche e i punti di vista intorno al problema riducendo la pluralita'
 delle interpretazioni. Ovviamente i modelli terapeutici decisi centralmente
 scaturiranno inevitabilmente dalla sintesi tra i valori "familisti" e
 un'efficientismo psicofisico basato su una "reattivita' di tipo
 comportamentista.
 Il nocciolo del ragionamento di Stengers e', al contrario, quello che
 andrebbe modificata, in prima istanza, la rappresentazione sociale
 riguardante l'uso di stupefacenti. Obiettivo che si puo' raggiungere
 soltanto attraverso gruppi di utilizzatori di stupefacenti che "analizzano
 la situazione che viene loro assegnata, che diagnosticano quello che la
 rende intollerabile, che rivendicano le misure e i dispositivi che
 permetterebbero loro di vivere cio' che devono affrontare".
 Scrive poi la coautrice de "La nuova alleanza":
 "Alcuni cominciano a intravvedere un futuro in cui l'assunzione di droghe,
 compreso l'alcol, il tabacco e i farmaci psicotropi, sara' riconosciuta
 come un'esperienza rischiosa ma lecita, alla quale deve corrispondere
 l'invenzione sociale di dispositivi atti a diminuire i rischi. Sono
 anzitutto la presenza, l'esperienza e i saperi dei "consumatori di droga
 non pentiti" che fanno esistere questo possibile tra noi, che ci impongono
 di essere all'altezza del problema di cui si sono costituiti 
 rappresentanti.
 L'esempio della politica delle droghe puo' ricordare, su certi punti,
 quello dell'aborto: anche in quel caso una situazione assurda e criminale
 perse la sua legittimita' quando si misero in movimento le donne, di cui la
 legge ledeva gli interessi e che seppero far valere la legittimita' dei
 propri interessi".
 (ibidem)
 
 In sostanza, mentre sarebbe necessaria una micropolitica altamente
 connettiva, capace di ribaltare i giudizi degli "eperti" attraverso una
 presa di parola degli interessati, viene istituito un centro che mira a
 dare direttive e interpretazioni uniformi del tutto impermeabili a
 qualsiasi contatto con gli interessati.
 
 Un saluto
 Rattus







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