altri articoli
: VIA LIBERA AL FAR WEST DEL PRECARIO

Approvata la delega 848: autorizzati il lavoro a chiamata, l'affitto a vita, il collocamento privato. I sostenitori del referendum di primavera: «Fondamentale la vittoria del sì»

Come aveva promesso, il governo ha ottenuto ieri l'approvazione definitiva della delega 848 sul mercato del lavoro: una corsa in Senato senza intoppi, e adesso mancano solo i decreti attuativi - secondo il sottosegretario Sacconi saranno pronti entro tre mesi - per aprire la fiera delle precarietà. E'stata fissata anche la data per l'altro colpo di grazia ai diritti del lavoro: è il 18 febbraio - numero evocativo - giorno nel quale prenderà il via, alla commissione lavoro del Senato, l'iter parlamentare della delega 848bis.

In parole povere, l'abbattimento - per i prossimi tre anni «solo» sperimentale e limitato ad alcune tipologie di imprese - dell'articolo 18. Addirittura «commossi» per «la giornata storica» si dicono il ministro Maroni e il vice Sacconi, che ricordano Marco Biagi, mentre Confindustria, Cisl e Uil, firmatarie del patto per l'Italia, incassano e applaudono, chiedendo una veloce attuazione. Da sinistra e Cgil le uniche voci discordanti: seppure divise tra referendum estensivo dell'articolo 18, prossimi scioperi e ipotesi di nuovi referendum, organizzano il contrattacco.

Al momento del voto i senatori dell'opposizione sono usciti dall'aula: la maggioranza ha detto sì al lavoro a chiamata, alla flessibilizzazione del part time, allo staff leasing (affitto a vita di interi reparti di produzione da aziende specializzate); il collocamento potrà essere fatto anche da soggetti privati, comprese le agenzie di lavoro interinale, i consulenti del lavoro e le università; il ruolo del sindacato viene snaturato: gli enti bilaterali azienda-sindacato certificheranno i rapporti di lavoro e potranno selezionare il personale, dando il via in questo modo a una commistione di interessi che annullerà il conflitto.

Cesare Salvi, del correntone Ds, parla di «un duro colpo» alle garanzie dei lavoratori: «Fanno il loro ingresso numerose nuove forme di lavoro atipico e salta la centralità del contratto a tempo indeterminato, riconosciuta anche dall'Ue. Il lavoratore è più solo davanti agli imprenditori, perché vengono a mancare molte tutele garantite fino a oggi dalla contrattazione». Critici anche altri esponenti Ds: Cesare Damiano, che porta avanti una linea più «flessibilista» insieme alla Margherita, dice che «è stata scelta una strada diversa dalla flessibilità regolata per legge e per contratto», mentre per Giovanni Battafarano «la formazione, le infrastrutture, gli incentivi fiscali per le imprese, gli unici strumenti che potrebbero far crescere l'occupazione, sono i veri dimenticati di questo disegno di legge».

Gigi Malabarba, senatore del Prc, spiega che è passata un'altra grave riforma, quella che riguarda le esternalizzazioni: «D'ora in poi, per attuare dei licenziamenti, si potrà scorporare dalla propria impresa una nuova società di 14 persone: già l'outsourcing selvaggio esisteva, ma da oggi in poi sarà possibile realizzarlo anche senza dimostrare la necessità di un'autonomia funzionale dell'impresa appena creata. Il cocktail formato da questa delega, l'848bis e quella già approvata che riforma la legge 223/91 sui licenziamenti collettivi è davvero micidiale: si dà il via ai licenziamenti liberi e un domani, a seconda di come sarà disegnato il decreto attuativo, si potranno fare licenziamenti collettivi senza giustificarli più neppure con piani industriali dettagliati». Anche la Cgil attacca la delega. Giuseppe Casadio, segretario confederale, dice che «da oggi i lavoratori, grazie al governo, non sono nulla di più che merce: si possono vendere, scambiare, trattare come l'azienda meglio crede.

Torna il caporalato con agenzie private che potranno fare intermediazione di manodopera senza garanzie e senza qualità; sarà possibile trasferire rami d'azienda senza vincoli; vengono ridotte le tutele per i lavoratori part time e i diritti dei soci-lavoratori, per i quali conterà sempre più il vincolo associativo che non il rapporto di lavoro». Parte dunque una nuova lotta? Secondo Casadio «già 5 milioni di italiani, quelli che hanno firmato l'anno scorso con la Cgil, hanno detto no a questa legge. Confermiamo la massima mobilitazione per lo sciopero del 21 febbraio e saremo in campo con le nostre proposte, a partire dalle leggi di iniziativa popolare in cui proponiamo l'estensione degli ammortizzatori sociali per tutti i lavoratori, l'aumento dell'indennità di disoccupazione, maggiore formazione, nuove tutele per gli atipici e per i lavoratori di imprese sotto i 15 dipendenti».

E proprio in quelle firme è contenuto un'altra possibilità: nuovi referendum abrogativi rispetto alla delega appena approvata, anche se i tempi si prevedono lunghi, perché con le elezioni europee del 2004 si rischia di andare al voto non prima di un anno-un anno e mezzo. I referendum abrogativi non dispiacciono neppure a Salvi, Gianni (Prc) e Malabarba, promotori del referendum di primavera, ma per loro è innanzitutto fondamentale che vinca il sì all'estensione dell'articolo 18. Secondo Salvi il referendum è una grande occasione per la sinistra: «I due punti deboli di Berlusconi, anche nella sua stessa coalizione, sono la guerra e i licenziamenti liberi. La gente è contraria a questa delega e alla modifica dell'articolo 18: se ci si impegna per il sì, si può vincere».

Per Alfonso Gianni «la vittoria del sì cancellerebbe automaticamente la volontà del governo di modificare l'articolo 18 e darebbe il via a una stagione di mobilitazioni sociali che farebbero rientrare anche gli altri attacchi ai diritti». Malabarba conferma: «Nuovi referendum potranno essere utili, ma non si può cancellare qualsiasi decisione del governo Berlusconi con un quesito, bisognerebbe abrogare tutto il governo. Per il momento è importante che vinca il sì in primavera». E lancia un'idea: «Lo sciopero della Cgil del 21 febbraio deve diventare uno sciopero generale, contro l'attacco ai diritti».