La situazione della telematica in Italia sta evolvendo rapidamente.
Fino a non più di un anno fa le tecniche di comunicazione a
distanza fra computer erano patrimonio semiesclusivo di un ristretto
numero di persone che operavano più a livello hobbistico
sperimentale che a livello professionale.
Nel mondo della produzione le connessioni geografiche fra computer
aziendali erano limitate per lo più al trasferimento di dati
critici fra filiali di grosse ditte, banche o apparati statali in
cui era particolarmente urgente affrontare il problema della condivisione
degli archivi a distanza.
Perfino il mondo accademico, pur essendosi dotato da anni di strutture
di collegamento delle varie sedi ai centri di calcolo universitari,
soffriva di una diffidenza nei riguardi della telematica per tutto
quello che non fosse l'esecuzione in remoto di applicazioni
scientifiche.
D'un tratto l'accessibilità a strumenti relativamente nuovi,
come la rete Internet, ha determinato in questo scenario un'accelerazione
nella diffusione di questa tecnologia, senza naturalmente risolvere
le diffidenze e le contraddizioni culturali insite in ogni salto
tecnologico importante.
La mitizzazione e la sopravvalutazione, così come la demonizzazione
e la criminalizzazione, sono gli atteggiamenti culturali dominanti,
che traspaiono dalla stampa non specializzata (e ahimè spesso
anche da quella specializzata).
Atteggiamenti pericolosi, che tendono a creare una separazione culturale
della telematica dalle altre tecnologie e, a maggior ragione, dal
quotidiano.
Ogni avvenimento che abbia come cornice l'uso delle reti telematiche
viene enfatizzato, spostando il fuoco sul contesto piuttosto che
sul fatto, come se il mezzo fosse il fattore determinante per il
verificarsi dell'evento e anzi, in qualche modo, ne costituisse la
causa.
È così che il furto organizzato per via telematica, ad
esempio, lungi dall'essere confrontato come portata giuridica o
come frequenza statistica a tutti gli altri reati del suo genere
(secondo stime ufficiali nel 1993 si contano 1000 reati su 30
milioni di utenti) viene trattato come se fosse qualcosa di speciale
e terribile, indissolubilmente legato al contesto, tanto da esserne
considerato parte integrante e preponderante.
Pare che il problema della telematica non stia nella sua poca diffusione,
nè nella lentezza nel garantire a tutti la connettività
che potrebbe realizzare un villaggio globale fatto non di comunicazioni
passive e massificate ma di interrelazioni.
Pare che invece il problema del secolo stia in quell'irrilevante
tasso di disturbo alla quiete delle multinazionali che con la
telematica svolgono tranquillamente i loro affari.
Nasce così il "reato telematico", categoria
guiridica abnorme, che prelude a leggi speciali fortemente limitative
della libertà di comunicazione e circolazione del sapere.
Molti fra gli stessi utenti della rete inconsapevolmente avallano
questa situazione, affrontando il problema in termini di stretta
specificità contestuale e, di fatto, isolandosi nel territorio
di riserva finora concesso dai colonizzatori della nuova frontiera
elettronica; la visibilità all'esterno è scarsissima e
spesso esiste solo ai fini di una generale criminalizzazione.
Il "mostro" dei nostri giorni è già confezionato
dai media e pronto per assumere il suo ruolo di capro espiatorio in
favore di un nascente dominio economico sul cyberspazio,che per poter
essere esercitato necessita di regole e di controllo sociale.
Molti altri utenti sostengono la necessità di una
regolamentazione che stabilisca i diritti e l'ambito del lecito,
anticipando addirittura i tempi rispetto ai ritmi fisiologici di
chi, per motivi assai diversi legati ad interessi economici, da
tale regolamentazione trarrebbe vantaggio, e dimenticando comunque
il dettaglio che i regolamenti e le leggi sono fatti per
limitare più che per garantire.
Le potenzialità tecniche, lo scarso adattamento ad esse di
concetti come quello di "proprietà intellettuale",
la facilità di collettivizzazione e di cooperazione a distanza,
lasciano presagire la possibilità di un mutamento di grossa
portata nel sistema di relazioni sociali, mutamento che non possiamo
permetterci di far gestire a chi vorrebbe modellarlo a partire dalle
restrizioni e dai divieti, con la repressione e la disinformazione.
Per la prima volta in centinaia di anni, abbiamo l'opportunità
di partecipare a una rivoluzione culturale che
presumibilmente cambierà il volto della vita futura.
Non possiamo limitarciad assistervi.
L'embrione della prossima organizzazione sociale basata sull'informazione
può ancora subire mutazioni sostanziali. La possibilità di
intervenire ci è data ora, o probabilmente mai più.