Nella palude d’inchiostro

 

 

Una delle caratteristiche nuove del movimento che si sviluppa a Torino nel mese seguente gli arresti è l’inimicizia generalizzata verso i giornalisti: l’episodio di Brosso, quando Daniele Genco viene mandato all’ospedale con una certa determinazione, è quello più che farà discutere e susciterà viva preoccupazione nell’opinione pubblica democratica.

DOCUMENTI N. 16 - 17 Ma se è vero che, almeno per un certo periodo, l’ostilità concreta verso i giornalisti è una pratica che trova tutti d’accordo, è anche vero che si basa su analisi, esigenze e stati d’animo differenti.
DOCUMENTO N. 18

 

«L’assalto armato degli squatter ai cronisti è un incredibile e inaccettabile episodio di violenza che rischia di riesumare un clima di grave turbativa della convivenza civile».

(Flavio Corazza, pres. Associazione Stampa Subalpina)

La maggioranza dei giornali ha calcato la mano in maniera eccessiva nel suo compito di creare prima il "lupo grigio" in Val Susa e successivamente lo "squatter" a Torino. Per settimane i partecipanti al movimento si vedono sbattuti in continuazione sulle prime pagine dei giornali, le proprie scelte e la propria vita vengono distorte e non si contano gli articoli apertamente diffamatori; vedono descrivere gli amici in prigione come mostri sanguinari e pericolosi e, dopo il suicidio di Baleno, vedono gli stessi diffamatori spandere lacrime zeppe di ipocrisia. La responsabilità diretta dei facitori di notizie nella morte di Baleno è talmente evidente che sarà ammessa anche da una piccola parte degli intellettuali di sinistra. È naturale, a questo punto, che tutte le telecamere a portata di mano vengano prese di mira, che la rabbia di quei giorni venga sfogata sul naso dei giornalisti troppo vicini ai cortei e ai luoghi delle iniziative, e venga estesa a tutti gli altri, non solo a quelli che hanno dato dimostrazione di una particolare mala fede. Ma il sentimento collettivo finisce qui, unito alla rabbia. Sono pochi quelli che cominceranno a provare una inimicizia più radicale e profonda, più duratura; meno quelli che riusciranno ad intravedere dietro alla situazione momentanea l’effettivo ruolo dei giornali nei conflitti sociali e i meccanismi che governano la creazione dell’opinione pubblica e che rendono del tutto inutile la distinzione tra un giornalista "corretto" ed uno "scorretto". Questa distinzione fittizia, difatti, tornerà a farsi strada passata la rabbia del momento.

«Quello dei giornalisti è diventato un mestiere difficile. Ma il mondo dell’informazione non rinuncerà al proprio dovere. Sarebbe bene che il proprio dovere lo facessero anche polizia e autorità. La doverosa protezione delle vetrine dei negozi deve estendersi anche alla testa dei colleghi».

(Lorenzo Del Boca, pres. Federazione nazionale della stampa)

La stampa incarna per i lettori la realizzazione di un’aspirazione: che ci sia chi provvede a che tutto segua la retta via. Essa è allo stesso tempo informazione e giudizio. È anche uno strumento contro la noia, capace di consolare se non si riesce a ricavare niente di intelligibile dal mondo circostante. Il desiderio che molti lettori hanno di un mondo ordinato, pulito e in cui sentirsi a proprio agio — che si cerca e si trova sulle pagine dei giornali — racchiude in sé anche l’angoscia per questo mondo, considerato incomprensibile senza l’aiuto di altri. Grazie alla sua autorevolezza, il giornale sgrava il lettore della necessità di ordinare, vagliare e valutare gli avvenimenti: fornendo al lettore una raccolta già ordinata e commentata di ciò che accade in modo sintetico e sicuro, la stampa dà la certezza consolatoria che si è ancora in grado di affrontare e capire la realtà, per sentirsi parte di questo mondo. Assumono un senso anche i servizi dedicati alle "storie vere", ai piccoli casi quotidiani; ai lettori viene data la sensazione che parlino della gente, dei destini umani, dei problemi di uomini e donne esattamente come ciascuno di loro. E di un giornale che si mostra talmente interessato al lato umano ci si può fidare tranquillamente. La stampa si mostra una buona compagna, che viene sempre in aiuto quando ce n’è bisogno, riuscendo a dissimulare il notevole potere di persuasione di cui dispone. Ciò che emerge è sempre la domanda posta dai lettori di strumenti utili per capire la società in cui vivono, che diventa necessariamente sempre più astratta, riconducendo gli avvenimenti al singolo e al suo destino, unita al desiderio di conservare oggetti d’identificazione e di proiezione su cui poter finalmente scaricare le preoccupazioni e i problemi personali.

«La violenza di Brosso ha di particolare e direi di inedito la sua apoliticità. Non vengono picchiati, feriti dei giornalisti perché di sinistra o di destra, ma perché giornalisti, perché strumenti di una informazione che, nel suo complesso, appare come nemica. Vengono indifferentemente picchiati, feriti cronisti della sinistra estrema come di fogli governativi o conservatori in quanto informazione, apparato di trasmissione delle notizie e delle immagini che interviene nel sociale, e che dal sociale viene a volte considerato come qualcosa di autonomo rispetto ai mandanti politici e economici, qualcosa che per conto suo interviene, diventa parte in causa».

(Giorgio Bocca
giornalista)

È questo il meccanismo intimo che crea l’opinione pubblica, che la influenza, che fornisce luoghi comuni di discussione per milioni di persone. È su ciò che i giornali costruiscono il proprio potere, intrecciato strettamente con gli interessi del dominio.

Una fitta rete di obblighi e di ricatti impedisce ai singoli giornalisti, anche a quelli più "corretti", di uscire da questo meccanismo. Il giornalista è pagato per i pezzi che produce. E — grandi firme a parte — viene pagato un tanto al chilo, a riga, a pagina. Se non scrive, non guadagna e per avere il materiale su cui lavorare devono sussistere alcune condizioni. Intanto ci deve essere "il fatto": i bei ragionamenti e le buone idee non fanno notizia, se normalmente esposti. Poi, deve ricercare le fonti per le notizie, ma per produrre abbastanza gli manca sia il tempo che la voglia per approfondire le vicende e per cercare di comprendere le ragioni altrui. Quindi spesso lavora di fantasia, non potendo certo ammettere l’assoluta ignoranza di un argomento o una vicenda particolare.

Oppure si affida al silenzio. O magari, quando parla di un fatto nuovo, non si pone il problema di affrontare con serietà anche quelli passati che lo aiuterebbero a capire. Ogni qualvolta, ad esempio, i giornali parlano dei minatori del Sulcis non possono certo pubblicare una retrospettiva sull’economia dell’isola, sulla vita quotidiana del minatore tipo, sulle tradizioni locali legati alla professione, sulle lotte per il lavoro, sulle prospettive, né approfondire l’argomento con serie interviste agli autoctoni, ad esponenti politici d’ogni estrazione, ai responsabili della miniera, agli enti istituzionali preposti. Non ci può essere spazio, su di un giornale, per tutto questo.

Alla fine, il caporedattore deciderà se dare spazio ad un pezzo, in base alla linea editoriale e politica del giornale o anche al suo parere personale, e sceglierà un titolo adatto per colpire e attirare, come l’insegna al neon di un nuovo locale uguale a mille altri nell’ambiente e nei servizi.

In tal modo può accadere che oggi vengano chiamati "squatter" quelli che dieci anni fa erano definiti teppisti e drogati, oppure giovani creativi disadattati in cerca di un proprio angolino — quando se ne dibatte per analizzarli —, terroristi o criminali — quando un giudice ne ordina l’arresto.

Se a questi elementi aggiungiamo la stretta collaborazione del mondo dell’Informazione con le questure, la sua inevitabile dipendenza dal potere politico e dai più svariati gruppi di potere, si può avere un’idea più precisa dell’impossibilità di trovare un giornalista che abbia la possibilità concreta di rimanere "onesto" quando varca la soglia della redazione. Anche nel momento in cui si aprisse qualche spazio di "verità" in un giornale, annegherebbe nel mare di banalità e di menzogne che contiene. Assurdo per assurdo, sarebbe come cercare di esprimere qualche pensiero ribelle a "Carramba che sorpresa".

DOCUMENTO N. 19 Non è un caso che il movimento torinese sia stato definito "autistico" da molti commentatori e che il rifiuto momentaneo di far passare i propri contenuti attraverso gli strumenti di comunicazione di massa sia stato equiparato al rifiuto di comunicare tout court. Il mondo è ciò che viene rappresentato dai giornali, al di fuori di questa rappresentazione niente esiste: questo è il ricatto della modernità. Un movimento che porta in sé istanze radicali e che decide di affrontare lo scontro nel concreto non ha alcun interesse per lo spettacolo del fittizio che allestiscono i giornali, ma tenta di costruirsi strumenti propri di comunicazione. I suoi referenti non sono certo i giornalisti, ma direttamente gli sfruttati.
DOCUMENTO N. 20 Il gesto di Brosso è stato letto da buona parte del movimento semplicemente come un comprensibile sfogo dei compagni di Baleno contro uno dei giornalisti peggiori che abbiano trattato questa vicenda, o addirittura minimizzato. Soltanto alcuni dei presenti, invece, lo inseriranno in un contesto di più profonda ostilità, tentando di trarne qualche conclusione di ordine più generale.

 

Daniele Genco
"professionista dell’informazione"

Daniele Genco, la «vittima della violenza cieca e spietata degli squatters» come è stato definito, in passato si era già occupato di Baleno, diffamandolo apertamente. Probabilmente non per particolare risentimento nei suoi confronti, trattandosi del consueto metodo che adopera nel trattare le notizie, un metodo affinato nel tempo. Ma chi è Genco?

Lavora per un giornale locale, "La Sentinella del Canavese", che ha avuto modo di interessarsi all’attività di Edoardo fin dall’aprile del ‘91, nel corso dell’occupazione della Piscina a Caluso. Tra gli occupanti, assieme a molti altri, c’era infatti anche Baleno. La stampa locale inizia subito a descrivere la Piscina Occupata come il solito ritrovo di drogati rumorosi, malvisti dalla popolazione. Nel gennaio ’92 la piscina viene sgomberata brutalmente dai Carabinieri, che interverranno con violenza anche contro altre due successive occupazioni. "La Sentinella del Canavese" applaude l’operato delle forze dell’ordine e spaccia le violente cariche dei carabinieri come una 'guerriglia urbana tra militari ed autonomi'. Il processo per l’occupazione della Piscina si concluderà con una condanna a 7 mesi. Pochi giorni dopo Baleno ed altri si incatenano in segno di protesta nella piazza centrale del paese durante una manifestazione pubblica presieduta dal Sindaco. "La Sentinella del Canavese" riporterà ovviamente solo le dichiarazioni delle autorità, mistificando il significato del gesto. Seguiranno alcune assemblee pubbliche e dibattiti, molto partecipati, ai quali non assisteranno mai né politici né giornalisti, ma solo i tutori dell’ordine che identificano i presenti.

In definitiva, i ragazzi che avevano preso parte all’occupazione e alle attività della Piscina sono stati fatti diventare un tema da cronaca nera.

Nel giugno ’93 Baleno viene arrestato. Recatosi in ospedale per farsi medicare una lieve ferita che si è procurato mentre sta fabbricando un petardo nella sua officina di biciclette, i Carabinieri ne approfittano subito: mentre Baleno è in ospedale gli perquisiscono l’officina, dove trovano 40 grammi di polvere nera tratti da alcuni petardi "raudi". Baleno viene arrestato.

La stampa locale, tra i quali si distingue Genco, parlerà di un pericoloso "terrorista" che si accingeva a compiere degli attentati (uno contro una fabbrica locale, un altro contro una manifestazione pubblica della Croce Rossa), e gliene attribuisce diversi tra quelli già accaduti in zona. Genco arriva a inventarsi un "gruppo" a cui sarebbe appartenuto Baleno, il "collettivo Autonomo", per poter poi "rivelare" che questo gruppo aveva preso le distanze dal violento Baleno.

E non finisce qui. Genco si dedica insistentemente a Baleno, alla sua famiglia, e lo dipinge come un personaggio strano, che non lavora, non si sa bene cosa faccia, quali persone frequenti… I commenti personali su Baleno si sprecano, anche se Genco non lo ha mai incontrato di persona. In compenso cerca di estorcere ai genitori e parenti qualche pettegolezzo maligno sul suo conto, trovando prima la cronaca di un figlio indipendente fatta da due genitori normali e comprensivi, poi l’indignazione degli stessi per i suoi articoli.

Nel dicembre 1993, mentre Edoardo si trova ancora in carcere accusato di detenzione e fabbricazione di esplosivi, si tiene una manifestazione in sua solidarietà a Ivrea. Il corteo parte senza incidenti, ma a metà percorso il questore intima ai manifestanti di posare le bandiere e di non lanciare più petardi. I manifestanti lo irridono e non obbediscono, lui ordina la carica e per una volta sono le forze dell’ordine ad avere la peggio. Il corteo terminerà senza altri incidenti.

Dopo aver ricordato che l’iniziativa è stata fatta in solidarietà con Massari «in carcere da sei mesi per il famoso ordigno che aveva costruito», Genco commenterà che «la manifestazione non avrebbe dovuto essere autorizzata» e che «il comportamento dei manifestanti è stato spiacevole». Non pago, Genco si offre di identificare i manifestanti e di testimoniare contro di loro. Le foto degli scontri sono sollecitamente offerte dai giornali alla polizia. Il processo per questi scontri si concluderà il 21 aprile 1998, con la condanna di tutti gli imputati, grazie anche a Genco.

Negli ultimi due anni, ogni qualvolta Genco si occupa dei sabotaggi avvenuti nella Val di Susa, usa affiancare all’articolo di cronaca uno "specchietto" su Baleno, ricordandolo come bombarolo.

Quindi Daniele Genco si presenterà ai funerali di un uomo che ha spudoratamente attaccato per mesi dalle colonne del suo giornale, davanti ai genitori che a più riprese ha offeso e umiliato, davanti a decine di amici e compagni di Baleno che hanno subìto la stessa gogna giornalistica. Non è un caso che nel Canavese una parte non indifferente della popolazione abbia applaudito la lezione impartitagli..

Ma Baleno non è il solo morto annegato dall’inchiostro di Genco. Fra tutti ricordiamo un solo episodio. Nel settembre del 1991, a Romano Canavese, una bimba rimane vittima di un banale incidente. Viene aperta una indagine per accertare le cause del decesso. I giornali amplificano le insinuazioni contro la madre della piccola, Mariuccia Canetto, accusandola di essere responsabile della sua morte. Malgrado la gente del paese prenderà apertamente le sue difese, Mariuccia Canetto viene rinviata a giudizio con l’accusa di omicidio preterintenzionale. Esasperata delle voci che i giornali continuano a seminare sul proprio conto, si impicca nel febbraio 1993.