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Albania in rivolta


VENTI DI TEMPESTA SUI BALCANI

di Andrea Ferrario

La rivolta albanese, i cui esiti è ancora difficile prevedere, si inserisce in un contesto balcanico già molto instabile e può portare a un acuirsi delle tensioni in Jugoslavia e Macedonia, entrambi paesi con una forte presenza di popolazioni albanesi.

Le intense e violente repressioni messe in atto da Berisha negli ultimi anni e gli ampi appoggi di cui egli godeva presso i governi occidentali (in prima fila quello italiano), non sono stati sufficienti a garantire la stabilità del suo potere. A soli 9 mesi dalle elezioni truffa che hanno dato una schiacciante vittoria al Partito Democratico (97% dei seggi in parlamento), è stato sufficiente che il Fondo Monetario Internazionale chiedesse di mettere un po' d'ordine nel sistema finanziario del paese (ritenendo con ogni evidenza l'Albania ormai sufficientemente "normalizzata" a livello politico per potere adottare misure così impopolari), perché si scatenasse una vera e propria rivolta popolare in tutto il paese. Gli esiti di questa rivolta sono difficili da intravedere nel momento in cui scriviamo, ma si svolgono in un contesto balcanico e internazionale nel quale sono in atto tendenze che è utile cercare di delineare.

Il principale fattore che rende l'Albania una pedina decisiva sullo scacchiere balcanico è costituito dalle ampie minoranze albanesi che vivono in due stati confinanti: la Federazione Jugoslava e la Macedonia. In Jugoslavia gli albanesi sono concentrati pressoché totalmente nel Kosovo, dove costituiscono il 90% della popolazione. Qui, dal 1991 è in atto una resistenza non violenta nei confronti del governo di Belgrado, sotto la guida della Lega Democratica del Kosovo (LDK) di Ibrahim Rugova, che detiene il 75% dei seggi del parlamento albanese del Kosovo, eletto in clandestinità. Rugova è stato negli ultimi mesi oggetto di forti critiche da parte di Demaci, leader del secondo partito albanese del Kosovo, il quale gli rimprovera una scarsa determinazione politica. Demaci ha in particolare accusato Rugova di non avere sfruttato la recente crisi politica a Belgrado per intensificare la lotta contro il potere serbo, accuse che sono state mosse al leader del LDK anche da altre importanti personalità, tra cui il noto scrittore albanese Ismail Kadaré. Contemporaneamente a queste polemiche, ha fatto la sua comparsa, per la prima volta, un'organizzazione terrorista, il Movimento per la Liberazione del Kosovo, che ha compiuto una serie di attentati sempre più gravi, seguiti da una forte repressione da parte della polizia serba. Di fronte a questi fatti, i partiti di opposizione hanno chiesto più volte a Rugova di convocare il "parlamento ombra" del Kosovo, senza ottenere risposte precise. Rugova sembra essere sempre più in difficoltà nel proseguire con la sua politica che si pone l'obiettivo dell'indipendenza totale dalla Serbia (e non della sola autonomia, come nel caso di Demaci) e di un coinvolgimento diretto delle grandi potenze, in particolare degli Stati Uniti, nella questione del Kosovo. Gli Stati Uniti operano ormai da anni su due piani diversi: da un lato legittimano e appoggiano le rivendicazioni degli albanesi, dall'altro premono affinché la lotta rimanga passiva, per non alterare il già complicato quadro balcanico. Di questa politica si è finora fatto pienamente interprete Rugova, più volte ricevuto alla Casa Bianca. La crisi in Albania rischia di esasperare i dissidi interni alla leadership del Kosovo. La posizione di Rugova è stata a questo proposito più che ambigua: prima dello stato di emergenza ha chiesto al governo di Tirana di accettare la formazione di un governo di coalizione e di chiedere l'aiuto di USA, UE e FMI. Il 1° marzo, quando Berisha si è fatto rieleggere come presidente di fronte al paese in rivolta, Rugova gli ha mandato un caloroso messaggio di auguri, complimentandosi con lui, fatto che acquista maggiore risalto se si tiene presente che i rapporti tra Rugova e Berisha sono sempre stati molto freddi. Il giorno successivo, i partiti albanesi del Kosovo hanno preso ufficialmente posizione di fronte alla dichiarazione dello stato di emergenza: seppure con toni più moderati e sfumati di quelli degli altri partiti, la Lega Democratica del Kosovo di Rugova ha espresso il suo "appoggio agli sforzi delle autorità albanesi per riportare l'ordine nel paese". Gli esiti della rivolta contro Berisha avranno quindi una ripercussione decisiva su questa regione di importanza chiave per tutta l'area.

Una forte minoranza albanese (25% circa) è presente anche in Macedonia, concentrata soprattutto in una regione compresa tra i confini meridionali del Kosovo e quelli nord-orientali dell'Albania. Qui le recenti elezioni amministrative hanno visto una forte crescita dei partiti nazionalisti sia albanesi che macedoni. Gli albanesi hanno conquistato la maggioranza nella città di Tetovo (dove circa due anni fa vi erano stati gravi incidenti a sfondo etnico) e in quella di Gostivar. I neoeletti sindaci delle due città hanno recentemente dichiarato di volere formare una regione a statuto speciale, con ampie autonomie in campo amministrativo ed economico, incontrando una reazione decisamente negativa da parte del governo nazionale. Tutto ciò è avvenuto mentre a Skopje, la capitale del paese, si svolgevano delle manifestazioni di studenti macedoni, pacifiche negli atti, ma estremamente violente a livello verbale ("Camere a gas per gli albanesi"), contro l'apertura di un corso in lingua albanese presso la Facoltà di Pedagogia della capitale. Queste manifestazioni sono quindi sfociate, dopo alcune settimane, in uno sciopero della fame a catena, ancora in atto nel momento in cui scriviamo, che ha suscitato messaggi di solidarietà un po' da tutto il paese e, in particolare, da parte della chiesa macedone. Queste tensioni, così come la crisi albanese, rispetto alla quale il governo macedone ha fino a oggi assunto una posizione neutrale, avvengono in coincidenza con l'imminente scadere del mandato dell'UNPREDEP (maggio '97), la forza "di pace" dell'ONU di stanza nel paese da alcuni anni, formata in maggioranza da militari americani e, in minore proporzione, scandinavi. Il mandato è stato prorogato all'ultimo momento per altri sei mesi, con la decisione di spostare due dei tre battaglioni (scandinavi) dal confine con l'Albania a quello con la Serbia, dove già stazionano i battaglioni americani. L'ONU ha deciso all'ultimo momento, di fronte alla rivolta in Albania, di non operare questo trasferimento. Infine, la Macedonia è al centro di alcuni grandi progetti infrastrutturali: un oleodotto che dalle coste bulgare del Mar Nero dovrebbe giungere in Italia attraversando Macedonia e Albania e la costruzione di un'autostrada da Istanbul a Tirana, via Bulgaria e Macedonia, che devierebbe il flusso dei trasporti dal Medio Oriente all'Europa verso l'Adriatico e, di conseguenza, verso l'Italia. Il progetto dell'autostrada era già stato appaltato anni fa a un consorzio italiano, ma il relativo contratto era stato bloccato dal governo socialista bulgaro (non è un caso che alle recenti manifestazioni contro questo governo abbiano partecipato i parlamentari del Polo Casini e Mastella). L'oleodotto è stato invece al centro dei coloqui che Scalfaro (grande sostenitore di Berisha) ha avuto con le autorità macedoni nel corso del viaggio compiuto a fine febbraio a Skopje, in compagnia di Fassino, a sua volta reduce da Tirana.

Mentre l'Italia prosegue imperterrita nella sua politica di potenza imperiale di secondo rango, gli Stati Uniti hanno reso palese un loro obiettivo a breve termine per l'intera area. Il Segretario di Stato americano Madeleine Albright ha dichiarato in più occasioni, negli ultimi mesi, che "un nuovo vento sta attraversando i Balcani" e che "non vi sono motivi per cui i leader politici dell'area debbano rimanere gli stessi". Parole analoghe sono state pronunciate da Richard Holbrooke, l'ex-mediatore americano nei Balcani. E in effetti nei Balcani le acque sono più che agitate: in Bulgaria il partito di opposizione ha sfruttato il vuoto di potere venutosi a creare, ottenendo la nomina di un esecutivo "presidenziale", che governa senza parlamento, i cui primi atti sono stati la consegna della gestione dell'economia direttamente al FMI e la richiesta di adesione alla NATO. A Belgrado, il potere corrotto e autoritario di Milosevic cerca a fatica di fare fronte alle lotte degli studenti e dei partiti di opposizione, entrambi ampiamente finanziati dagli USA. Ma tra chi segue gli avvenimenti dell'area è diffusa l'opinione che anche Tudjman e Izetbegovic possano presto risultare non graditi alla Casa Bianca. Quello che nessuno avrebbe mai previsto, è che i rivolgimenti più gravi si sarebbero avuti proprio nell'Albania di Sali Berisha, il più ligio alleato dell'Occidente.

(fonti: ATA, "KIC-Kosova Daily Report", "Vreme", MILS, "Dnevnik", "International Herald Tribune", "Corriere della Sera")

Questo articolo è tratto da Guerre&Pace.