Albania


Home

Notizie in breve

Approfondimenti

Documenti

Link

I Balcani

La Nato a Est

Guerre&Pace

Scriveteci

Albania in rivolta


GLI INTERESSI E LE RESPONSABILITA' DI EUROPA E STATI UNITI

di Alberto Spagnoli

Quella degli "oscuri avvenimenti albanesi" è un immagine ricorrente, usata troppo spesso come alibi. In Albania è in atto, almeno dal novembre del 1994 - quando Sali Berisha ha perduto il referendum da lui voluto sulla Costituzione - uno scontro politico tra il Partito democratico al potere da una parte e l'opposizione e un pezzo sempre più ampio della popolazione dall'altra. I nodi sono quelli della crisi economica, dovuta alla terapia shock voluta dal Fmi e dalla Banca Mondiale, all'introduzione del liberismo più sfacciato, ai traffici illeciti (il contrabbando di petrolio e armi durante l'embargo della Serbia), all'illusione delle finanziarie truffa, allo smantellamento dello Stato sociale che ha ridotto il Paese nello stato di crisi attuale. Un Paese con un apparato produttivo distrutto, con una disoccupazione al quaranta per cento, con vastissimi strati della popolazione ridotti alla fame e alla disperazione, con un regime, e non da ieri, sempre più autoritario e liberticida, sprezzante di quella democrazia di cui si proclamava paladino, un regime corrotto a ogni livello.

In questo quadro le richieste delle forze di opposizione, di centro e di centrosinistra, dopo le elezioni farsa del maggio del 1966 erano: nuove elezioni, creazione di un nuovo Parlamento realmente rappresentativo, approvazione della Costituzione con la maggioranza dei due terzi e infine nuove elezioni presidenziali. A tutto questo si era aggiunta la richiesta, con la crisi delle finanziarie truffa, della creazione di un governo tecnico. Ma con il precipitare della situazione il centro politico dello scontro della stragrande maggioranza della popolazione era diventata, e rimane, quella delle dimissioni di Sali Berisha. Il rifiuto di Sali Berisha di farsi da parte e l'appoggio a lui accordato dalle diplomazie occidentali, oltre ogni limite politico o morale, sono la vera causa di questa crisi.

Le potenze occidentali sono state attivissime nell'area ed in Albania fin dalla lontana "crisi delle ambasciate" del 1990. L'Italia di Craxi ed Andreotti era subito sbarcata in massa in Albania per gestire la transizione a proprio favore, per i propri traffici neocoloniali sostituita poi dagli Stati Uniti, interessati soprattutto a utilizzare l'Albania come strumento di affermazione delle teorie ultraliberiste. L'allora ambasciatore americano aveva condotto la campagna elettorale a fianco, in tutti i comizi del Partito Democratico, di Sali Berisha. Ma anche la Germania di Kohl non è stata a guardare e, discretamente ma con sistematicità, si è interessata dei veri centri di potere finanziari, economici e politici per continuare la propria politica di penetrazione e ridefinizione delle aree di influenza nei Balcani. E oggi sono in molti a ritenere che, dopo il defilarsi degli Stati Uniti, dietro a Berisha ci sia proprio la Germania. Se a ciò si sommano la questione del Kosovo, la situazione in Macedonia, il contenzioso dell'Epiro del Nord, la situazione appare in tutta la sua gravità.

Le forze politiche italiane di destra, di centro e di centrosinistra, in vista delle ultime elezioni politiche, hanno fatto la fila per andare in Albania ad appoggiare la campagna elettorale di Sali Berisha. Il governo e la diplomazia italiana, con in prima fila l'ambasciatore Foresti, hanno chiuso gli occhi di fronte alle ruberi ed alle attività antidemocratiche del regime di Berisha. In collaborazione con gli imprenditori italiani che si riunivano periodicamente nell'ambasciata italiana hanno sostenuto la colossale bugia di un Paese in condizioni eccellenti, con la "maggiore crescita in Europa". Hanno chiuso gli occhi come tutto l'occidente sull'affare delle finanziare truffa: il giornale indipendente "Koha Jone" (il nostro tempo), poi bruciato dalle squadracce di Berisha, aveva attaccato pubblicamente l'ambasciatore Foresti che in privato metteva in guardia gli imprenditori italiani su questa truffa, ma che non muoveva un dito per denunciarla all'opinione politica albanese e italiana. Poi l'appoggio a Sali Berisha, l'eterno ritardo negli interventi politici, non attuati quando avrebbero avuto un effetto positivo, e attuati quando ormai inutili (vedi il via al "governo tecnico").

Non pare che in Albania sia in atto una guerra per bande e nemmeno una guerra civile, anche se questa è l'immagine che si tenta di accreditare. In Albania era in atto una rivolta popolare, in gran parte spontanea nel senso che aveva chiari obiettivi politici, ma non una altrettanto direzione politica. In tutto il sud dell'Albania i comitati degli insorti sembravano diventare sempre più "terza forza" con un certo controllo della situazione, nonostante alcune componenti luddiste e di irresponsabilità di alcune frange marginali. Ma di fatto non vi era scontro tra la popolazione. E' a questo punto che a Tirana è stata armata la milizia di Sali Berisha ed è iniziata un'azione terroristica su vasta scala, probabilmente anche al fine di accreditare una dissoluzione dell'Albania che richiede l'intervento salvifico di quell'occidente che ha gravi responsabilità in questa crisi o comunque non ha fatto niente per evitarla. Di questo passo davvero si va verso la distruzione di un'intera nazione e di un intero popolo e verso una nuova guerra nei Balcani. Quando chi conosceva l'Albania denunciava questi pericoli, veniva considerato una fastidiosa Cassandra, e si preferiva salutare l'ascesa al potere di Sali Berisha come "l'inizio del mattino della democrazia".

Alberto Spagnoli è responsabile delle biblioteca albanese "29 novembre" di Piacenza.

Da "Avvenimenti" (del 26.3.97) che ringraziamo per averci consentito di pubblicare questo articolo