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MIGRAZIONI DALL'ALBANIA

di Luigi Perrone

Per gentile concessione dell'editore "Sensibili alle Foglie" pubblichiamo alcuni brani dal primo capitolo, scritto da Luigi Perrone, del libro "Naufragi albanesi", un'opera a più mani (Kosta Barjaba, Georges Lapassade, Luigi Perrone) pubblicata nel 1996. Si tratta di uno dei pochissimi volumi di approfondimento sull'Albania reperibili oggi in libreria e contiene saggi di estremo interesse sull'immigrazione albanese in Italia e sulle condizioni di lavoro in Albania, oltre a due brevi diari di viaggio nel paese balcanico. Il volume può essere richiesto in libreria oppure contattando: Sensibili alle Foglie, Via Empolitana - km. 2,300, 00019 TIVOLI (Roma) - Tel. 0774/411514 - 411232, Tel./Fax 0774/311618.

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5. Evoluzione dei flussi
La prima considerazione da fare sulla tipologia migratoria proveniente dall'Est-Europa è l'evoluzione subita tra ieri ed oggi: permanente o di lunga durata una volta, temporanea quella di oggi. La causa principale d'espulsione/attrazione odierna resta il differenziale di reddito - a cui bisogna aggiungere quella d'ordine politico-religioso. I comportamenti nei Paesi d'accoglienza sono pertanto totalmente mutati. Mentre ieri gli interessati tendevano a contrarre matrimonio con la popolazione autoctona, a chiedere la cittadinanza, a ricongiungersi, ecc., oggi - dopo aver accumulato un certo risparmio - tendono a tornare in patria, dove avviano attività produttive o commerciali favorite dal differenziale di reddito tra il Paese di partenza e quello di accoglienza. [1]

Alto resta, però, il grado di difficoltà per realizzare l'impresa a causa del mutato atteggiamento da parte dei Paesi ospitanti, che rendono difficile l'accesso con politiche restrittive e con l'introduzione dei visti d'ingresso. Normative e atteggiamenti che hanno fatto lievitare i costi dell'impresa, spingendo gli interessati a passare dalla sfera "legale" a quella "illegale".

Tra le difficoltà alla partenza, oltre all'impedimento dovuto ai costi, ci sono quelle poste da normative ed apparati burocratiti inadeguati e spesso ancorati ad un mondo dissoltosi. Per quanto concerne i flussi verso l'Italia, se si escludono i polacchi e gli albanesi, la permanenza nel nostro Paese resta temporanea, spesso in attesa di re-emigrazione verso altri Paesi europei o d'oltre oceano (USA e Canada). Perciò, nel complesso, il fenomeno migratorio proveniente dall'Est-Europa può essere considerato in regresso e di relativa consistenza numerica.

6. Scenari possibili
Dove si orienteranno i flussi futuri, di quale tipologia e portata saranno, è difficile da prevedere, ma è certo che il potenziale migratorio aumenterà, grazie ad una serie di fattori significativi.

Oltre al menzionato differenziale di reddito, un secondo fattore è di stretto ordine economico-industriale. E' facile prevedere che, per recuperare produttività e competizione sui mercati, l'apparato produttivo sarà sottoposto a ristrutturazione in forma sempre più aspra. Qualcosa che significherà ulteriore riduzione occupazionale e mobilità sul mercato del lavoro. Molta di questa forza-lavoro, in passato, ha orientato i propri flussi in lavori stagionali, verso la Germania e l'Austria e da uno all'altro Paese dell'area COMECON.

Un altro fattore è collegato all'aspetto ideologico-generazionale. Possiamo riassumerlo così: "Tutto ciò che è stato propaganda del passato regime è falso". Siccome i passati regimi hanno demonizzato i Paesi capitalisti, parlandone male, vuol dire che questi Paesi sono buoni... A radicare questa convinzione hanno concorso in modo significativo i media occidentali, ascoltati anche durante i passati regimi, che hanno costruito un "immaginario preventivo" secondo il quale ci sarebbe un Eden a portata di chiunque varchi le frontiere. I media, inoltre, hanno mutato il sistema di valori e la concezione di consumi e bisogni, spingendo la popolazione a inseguire consumi che sono al di fuori dei salari medi. Per capire cosa ciò comporti, si tenga presente che la liberalizzazione economica, operata in tutti i Paesi dell'Est, fa convivere due mercati: quello delle merci locali (alle quali si accede in moneta locale) e quello delle merci importate (che dappertutto si acquistano in dollari). Con ampie fasce sociali sempre più povere alle quali, per poter continuare a sognare, non resta altro che tentare l'impresa dell'emigrazione.

Un ultimo fattore sono i ritorni, che creano emulazione e incentivo ai consumi. specialmente nelle classi d'età più giovani.

7. L'esempio albanese: evoluzione di un caso
Dove i media hanno avuto un ruolo centrale nella spinta all'emigrazione [2] è nel "Paese delle aquile"; una terra che ci interessa per via dei comuni trascorsi storici, della posizione geografica e del rapporto quotidiano che si è venuto a creare.

Dall'Albania proviene quotidianamente un numero crescente d'immigrati. Malgrado ciò le politiche operate dall'Italia continuano a essere contraddittorie, improntate alla semplice repressione e prive di una vera progettualità. Il coinvolgimento delle forze democratiche nelle ultime scelte - quelle che sono arrivate ad impiegare l'esercito per fermare gli sbarchi clandestini - ci fa capire che il tempo volge al peggio: è un preoccupante indicatore del crescente disinteresse e della caduta di tensione sui temi della cooperazione e della solidarietà.

Questo ci invita a valutare con maggiore critica l'operato del nostro Paese e a capire come la questione albanese sia stata accompagnata da dosi tanto massicce di retorica ed approssimazione da impedire una rigorosa analisi e una valida presa di posizione politica.

Tale visione, spostata alle origini del fenomeno, ci rivela la natura strettamente utilitaristica dell'impegno delle nostre forze politiche. Nel Salento, d'immigrati provenienti dalla vicina Albania ne sono arrivati, alla spicciolata, sin dal luglio del '90. Per lungo tempo si è parlato di costoro solo in termini elogiativi e con tanto di "amplificazione politica". Caduto il muro di Berlino, l'Albania era l'ultimo "baluardo del socialismo reale" ed ogni albanese era un eroe dell'anticomunismo da esibire. Ma nel complesso il fenomeno migratorio albanese, rispetto alle tematiche migratorie del Paese, era rimasto episodico e confinato alla sola Puglia, dove i pochi immigrati trovavano relativo e inadeguato sostegno dalle Associazioni del volontariato.

E' a partire dal 7 marzo 1991 che gli albanesi sono entrati a pieno titolo sulla scena nazionale e internazionale. Lo hanno fatto nella forma spettacolare che tanto impressiono' l'immaginario collettivo della popolazione italiana e mondiale. In tutte le case italiane, attraverso centinaia di ore di trasmissioni televisive, quelle immagini ormai mitiche si imposero all'attenzione. Come d'incanto emerse la condizione di un popolo avvolto per mezzo secolo in un involucro impenetrabile. Nei tre porti di Brindisi, Bari e Otranto, tra il leggendario e il rocambolesco, arrivarono 25.708 albanesi. Per giorni la notizia campeggiò sulle prime pagine.

Tralasciando la misera immagine d'impreparazione ed inefficienza che la quinta potenza industriale del mondo riuscì a trasmettere di sé, nell'occasione una corale partecipazione popolare raggelò quelle che noi consideriamo fossero le effettive intenzione del governo italiano: rispettare la legge 39/90 appena emanata [3]. Il governo, di fronte ad una sorprendente e inaspettata accoglienza popolare, non ebbe il coraggio dell'impopolarità; non osò contrastare le tante famiglie italiane che, sopperendo alle carenze istituzionali, avevano accolto migliaia di albanesi di ogni età e sesso.

Incoraggiati dal successo, spinti dalla necessità e dall'immaginario indotto dalla televisione, con mezzi che evocavano esodi biblici, dopo cinque mesi ne arrivarono altri 20.000. Furono trattati peggio delle bestie e rispediti con l'inganno in patria [4]. Un elemento di particolare interesse deve far riflettere: in quest'ultima occasione tutto avvenne tra l'indifferenza della gente. Tanta raffinata idiozia e bestialità istituzionale si consumarono nell'indifferenza della popolazione. Lo stesso popolo che cinque mesi prima era insorto di fronte all'inefficienza ed all'insensibilità istituzionale, ora viveva in modo distaccato il fenomeno che, in quell'afosa estate, veniva spettacolarizzato dalla TV. D'accordo, le condizioni ambientali giocarono un brutto scherzo e il popolo italiano era al mare, ma ciò non toglie che quell'indifferenza fu tanto disarmante quanto inintelligibile o profetica. Risaltano alcune domande: cosa era maturato in quei cinque mesi? O, conoscendo l'Italia, quali intrighi si erano consumati?

Molto probabilmente, le radici di tale involuzione comportamentale sono da ricercare nella tortuosa dinamica di quell'avvenimento. Ad ogni modo, nel lontano '91 si dissolse definitivamente il muro delle virtù presuntive" [5] dietro cui si era nascosto l'anti-razzismo ascritto agli italiani.

Da allora, anche l'immagine all'estero è andata deteriorandosi. Naufragate le "virtù presuntive", il popolo italiano ha mostrato il suo vero volto, quello del "razzista medio" europeo.

Le ipotesi interpretative che si possono avanzare sono piuttosto articolate e riguardano, anzitutto, media e consenso. In tutta questa storia un grande ruolo l'hanno giocato i media, i quali, nel volgere di cinque mesi, avevano contribuito in modo determinante a costruire un "immaginario negativo" dell'albanese; uno "stereotipo" che non attirava più la solidarietà e le simpatie inizialmente suscitate.

Un altro obiettivo era quello di scoraggiare i flussi verso l'Italia, dove gli albanesi si orientavano in maggioranza. Un altro gesto di disponibilità avrebbe "istituzionalizzato" un tipo di rapporto che l'Italia non voleva realizzare. O non poteva, per via degli accordi internazionali (Schengen). Eravamo già in una fase delle politiche di stop, conseguenti alla caduta occupazionale, da parte di tutti i Paesi europei. Le politiche restrittive avevano portato agli accordi per il controllo delle frontiere ed alla prima ipotesi dell'Europa-fortezza.

Inoltre, altro aspetto rilevante, le azioni albanesi a livello internazionale erano crollate; gli interessi dei Paesi Nato verso l'Albania erano caduti. Naufragato il regime enverista e liberalizzate le frontiere, l'Albania aveva perduto il suo ruolo strategico nello scacchiere internazionale e non interessava più a nessuno.

Noi crediamo che è principalmente per tutte queste ragioni che il governo italiano potè concretizzare, nell'indifferenza di tutti, quel goffo, maldestro e violento intervento.

Il messaggio governativo è stato chiaro anche su un altro versante: rimuovere dalla coscienza collettiva i trascorsi di "colonialisti straccioni"; dimenticare quel pezzo della nostra storia con cui non si sono mai fatti bene i conti. Non bisognava indulgere di fronte alla vecchia colonia italiana e ad un popolo in cui si risvegliavano le vecchie e sopite dipendenze.

8. La situazione attuale in Albania
Il ruolo delle TV italiane continua a crescere. I media creano speranze e fanno sognare [6] in una situazione dove il valore d'acquisto dei salari cala vertiginosamente e la disoccupazione è in costante aumento. Con un'agricoltura arretrata e 2/3 della popolazione a essa dedita [7], con impianti industriali fatiscenti, politiche governative che non riescono ad attivare investimenti e con aiuti internazionali inesistenti, l'Albania esporta solo forza-lavoro. Infatti, la prima voce nel bilancio dello Stato albanese è rappresentata dalle rimesse degli emigranti, stimate intorno ai 400 milioni di dollari. Sono questi denari che consentono a molte famiglie di sopravvivere. Sullo sfondo, una diaspora di mezzo milione di uomini e donne [8] che lavorano per rimettere mensilmente alla propria famiglia dai 100 ai 200 dollari. Somme che arrivano indipendentemente dal fatto che provengano da lavoro convenzionale o in nero, da traffici leciti o illeciti. Gli albanesi lavorano, cercando di cambiare la loro condizione, sta ai governi dei Paesi d'accoglienza promuovere politiche adeguate, in grado di non far decurtare i loro salari o di non spingerli a delinquere.

Negli ultimi tempi, in Italia, è aumentato il flusso dei clandestini, principalmente in conseguenza delle politiche restrittive praticate dalla Grecia, dove in un primo tempo si era diretto il maggior numero di migranti. Questo flusso non sembra però orientato alla permanenza nel Sud del nostro paese. Da qui, sempre più albanesi re-migrano verso il Nord o verso altri Paesi europei [9].

La porta d'ingresso principale continua ad essere la Puglia, malgrado politiche e misure restrittive [10]. L'ultima, di tali politiche, è il già accennato decreto per l'uso dell'esercito. Un atto che certamente servirà a far lievitare costi e rischi dell'impresa, ma non certo a frenare la massa di disperati alla ricerca di soluzioni.

9. Perché si è arrivati all'uso dell'esercito
Dalla porta d'Otranto, oltre alla popolazione albanese, per mesi sono sbarcati migliaia di clandestini provenienti da diversi Paesi in via di sviluppo. Le principali comunità coinvolte, oltre agli albanesi, risultano provenire dall'ex-Jugoslavia [11] e dalla Turchia (i curdi) [12]. La stampa ha riportato per mesi - come in una specie di "bollettino di guerra" - le centinaia di sbarchi clandestini e coloro i quali venivano giornalmente respinti. Ogni giorno gli sbarchi sono stati oggetto di cronaca minuziosa con sistematiche allusioni a scenari invasivi. Il fenomeno è sempre stato in prima pagina, accostato a tematiche di ordine pubblico, medico-sanitario o di devianza. Insomma si è costruita quella che gli psicologi cognitivisti chiamerebbero una inferenza; qualcosa che evoca tutti i problemi chiamati in causa dalle cronache. Tutti accostano droga-scafisti-immigrazione-criminalità organizzata, non ha importanza che non ci siano prove valide per abbinare i problemi, non importano i guasti sociali.

Abusiamo se diciamo che questo è uno scenario adatto a preparare l'invio dell'esercito? Resta il fatto che anche esponenti democratici sono convinti che se l'esercito non è servito a frenare l'immigrazione, almeno ha scoraggiato la criminalità [13]

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[1] Ad esempio: data per 100 la media CEE, per l'Ungheria è 55; 50 per l'URSS e 40 per la Polonia.

[2] Durante un indagine sulla comunità albanese di Kruja, avemmo modo di verificare il ruolo avuto dalla TV italiana nella "rivoluzione" del '91: tutte le città che per prime si erano ribellate captavano le TV italiane.

[3] Ricordiamo che la 39/90, come anche la prima legge sull'immigrazione, la 943/86, fu una "legge a termine", una "sanatoria". Tutti coloro i quali, ad una certa data, poterono dimostrare di essere sul suolo italiano, ottennero il "permesso di soggiorno". La legge 39/90, comprendeva tutti i "cittadini stranieri presenti in Italia sino al 31 dicembre 1989; e gli interessati avevano tempo, per regolarizzare la loro posizione, sino al giugno del '90. Accogliere i "profughi albanesi" comportò la smentita della legislazione appena nata.

[4] Come si ricorderà, non si riuscì a far passare inosservate le scene di quell'evento, tra le più vergognose in tempo di pace. Si ebbe anche un incidente istituzionale tra l'allora Presidente della Repubblica e il Sindaco della città di Bari.

[5] Quelle virtù di cui ogni popolo si ammanta presuntivamente e che impediscono una corretta immagine di sé.

[6] Ho incontrato un bambino di dieci anni che conosceva i programmi televisivi italiani, i nomi dei giocatori di tutte le squadre di calcio italiane e che seguira regolarmente le lezioni di lingua italiana.

[7] Dopo la privatizzazione della terra, il settore agricolo ha registrato una forte crescita, ma si calcola che solo il 15% del prodotto possa essere commercializzato, avendo la riforma agraria distribuito ad ogni contadino poco più di un ettaro di terra.

[8] Se ne calcolano 300 mila in Grecia; 100 mila in Italia (tra regolari e clandestini) e 100 mila tra Germania, Austria e Francia.

[9] Secondo un'indagine condotta dallo STESAM-CERFE (1993(, in Puglia risultavano presenti 3.673 cittadini di nazionalità albanese, così distribuiti: 1.697 a Bari; 963 a Brindisi; 528 a Lecce; 245 a Taranto; 240 a Foggia. Una nostra indagine, condotta un anno dopo, rilevava in tutto 350 presenze, costituite principalmente da nuovi arrivi. I vecchi presunti presenti erano re-migrati al Nord Italia o in altri Paesi europei, mentre altri risultavano rientrati in Albania.

[10] Nel '94, su 56 mila espulsi in tutto il territorio nazionale, 4.183 lo erano stati dalla Puglia. Sempre in Puglia, nel periodo 1 gennaio-31 marzo '95 venivano espulse 1.818 persone. Ma in un solo mese (1 aprile-7 maggio) ci sono stati 2.200 espulsi e 2.800 respinti alle frontiere. Tra le province considerate "calde" (Bari, Brindisi e Lecce) il primato è detenuto da Lecce.

[11] Una delle comunità più interessate agli arrivi è quella Rom, proveniente dall'ex-Jugoslavia (Montenegro) e con consistenti insediamenti a Lecce e a Foggia. Per costoro dovrebbe essere applicata la Circolare Ministeriale 390/92 (popolazione proveniente da un Paese in guerra), che regolarmente viene disattesa.

[12] Com'è risaputo i curdi scappano dal massacro a cui sono sottoposti. Sono ormai centinaia i villaggi curdi rasi al suolo nell'indifferenza della comunità internazionale. Essi chiedono l'indipendenza della loro terra (il Kurdistan) ai Paesi in cui risiedono (Turchia, Iraq, Iran e Siria). Si calcola che siano già 5 milioni i curdi espatriati, con la complicità dei governi dei loro Stati, che così vedono diminuire la resistenza e l'opposizione. Per un passaggio dalla Turchia ognuno di loro paga sugli 8 milioni di lire. La migrazione curda è di tipo familiare (con moglie e figli) perciò, dati i costi, si arguisce che chi emigra non è certo la popolazione più povera. Siamo quindi di fronte ad una migrazione di ordine politico, non riconosciuta dagli Stati europei. I flussi si orientano soprattutto verso la Germania, dove risiede una consistente comunità e un forte PKK (Partito Comunista Curdo).

[13] Lungo il percorso che porta a queste posizioni s'incontrano gli errori politici delle forze democratiche e solidali dell'Italia. Tralasciando il "razzismo biologico", che ormai rincuora pochi nostalgici, le posizioni più preoccupantemente condivise sono quelle del "razzismo differenzialista" e del "razzismo dei colti", che hanno trovato diverse sponde politiche, tra cui quella della grande stampa. Un caso che possiamo considerare atipico nel panorama mass-mediale è quello dell'Arcivescovo di Lecce, mons. C.F. Ruppi, il quale, nel tempo, ha detto di tutto e il suo contrario, ottenendo un'inspiegabile risonanza sulle TV nazionali e locali: da "Quotidiano" alla "Gazzetta del Mezzogiorno", dalla "Repubblica" al "il Manifesto" a "Liberazione". Di contro, precise prese di posizione di altri vescovi, dell'Associazionismo laico e cattolico o di autorevoli personalità, sono restate relegate nei piccoli circuiti d'informazione.