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![]() La ribellione albanese: motivazioni regionali o politiche?di Kosta BarjabaPer gentile concessione dell'autore pubblichiamo il presente studio, tratto dal libro "Albania punto a capo" di Emmanuela C. del Re, Edizioni SEAM, 1997, di cui potete leggere anche l'intero indice. Kosta Barjaba ha insegnato Sociologia del Lavoro presso la Facoltà di Filosofia e Sociologia dell'Università di Tirana. Studioso di flussi migratori e della gioventù in Albania, collabora con Università in Italia ed in Europa. E' autore di diversi saggi sui temi delle sue ricerche. Attualmente è ospite ddell'Università di Trieste presso l'ISIG, Istituto di Sociologia Internazionale di Gorizia. Dopo un mese di movimentate manifestazioni della popolazione di Valona e delle altre città del Sud e di scioperi della fame degli studenti delle Università di Valona e Gjirokastra, trattati da principio con un certo distacco da parte del governo di Tirana, la situazione precipitava all'inizio di marzo: la gente prendeva le armi in mano mossa dal desiderio di un radicale mutamento del destino del proprio paese. Il conflitto si è velocimente trasformato da finanziario ed economico (la restituzione dei soldi persi nelle finanziarie piramidali in un chiaro conflitto politico avente come fine le dimissioni del Govenro e del Presidente della Repubblica e elezioni anticipate entro 45 giorni. La rivolta popolare ha subito coinvolto la maggior parte dell'Albania del Sud, mentre tutte le altre regioni, Tirana inclusa, venivano controllate con veememnza dalla polizia e dai servizi segreti.
Il ritorno del regno dell'assoluta anomia Le autorità, infatti ritenevano la questione delle finanziarie un fatto privato della gente e, citando il Presidente albanese, "una cosa intima" tra la gente stessa e le società piramidali, che si era sviluppata nell'ambito della libera iniziativa, garanzia della democrazia. Inoltre il Presidente poteva guardare con un certo distacco agli eventi, essendo stato di recente rieletto per il secondo mandato. Nessuna autorità politica, invece, neppure le istituzioni europee ed internazionali avevano capito, oppure non volevano capire, che ciò che stava accadendo in Albania era la fine dell'epoca di Berisha, la fine di una Democrazia senza istituzioni, la fine di uno sviluppo irreale, senza le strutture della produzione, la fine di una libertà caotica, dove mancavano i diritti politici ed umani, la fine di un sistema dove le violenze politiche, fisiche e morali era la prima e l'ultima parola. Messo di fronte alla gravità della situazione, il Capo dello Stato si è vistro costretto a chiamare sul campo l'opposizione, tra cui l'opposizione socialista e a stabilire un governo con ampie basi politiche, cui partecipassero i partiti della Sinistra, del Centro e della Destra, guidati da un premier socialista. Il regime ha così cercato di risolvere, con l'appoggio dell'opposizione, un "pasticcio" che esso stesso aveva creato. Mi ricordo che nei primi tempi dello "sviluppo democratico" in Albania, noi i sociologi nei nostri questionari di ricerca, trattando la prospettiva dell'integrazione albanese con l'Europa, avevamo ipotizzato anche i tempi di questa transizione: chiedevamo alla gente se, a suo avviso, la prima fase della ripresa economica e sociale dell'Albania poteva concludersi di lì a dieci anni. Ora stiamo notando che dopo sei anni di transizione, l'Albania si è trovata di nuovo in una situazione simile al 1991, dopo la caduta del regime comunista. Allora l'Albania stava cambiando il sistema politico. Ora che cosa cerca? Gli insorti del Sud, lo dicono chiaro: la vera Democrazia, la democrazia senza Berisha. Berisha, secondo loro, è diventato un ostacolo verso la Democrazia. Considerando che, a differenza della rivoluzione del 1991, la gente questa volta chiede le dimissioni del Capo dello Stato con i fucili in mano e sopra i carri armati, dobbiamo forse ritenere che Berisha costituisce un ostacolo più forte e resistente di quello di allora, quando l'uscita dal totalitarismo non costò, a differenza di adesso, alcuna vittima? Tutti stanno parlando dell'ennesima transizione dell'Albania. Ma di quale transizione si tratta? dal regime di Berisha verso la Democrazia? l'Europa occidentale e le istituzioni internazionali stanno di nuovo parlando di aiuti umanitari, materiali ed economici, di una nuova operazione "Pellicano, la TV italiana dedica speciali sull'arivo dei profughi Albanesi sulla costa Pugliese. Il Governo Italiano ha accordato di nuovo lo Stato d'emergenza per l'Albania e i profughi Albanesi. Sembra che l'Albnia abbia perso di nuovo la sua strada verso la Democrazio; ha perso non solo due miliardi di dollari, finiti nei labirinti delle piramidi finanziarie, ma almeno sei anni di vita. La particolarità di questa situazione è che, sorprendentemente, le manifestazioni e la rivolta popolare hanno preso, meglio dire gli hanno attribuito, una copertura etnica e regionale. Domandiamoci chiaramente: la rivolta Albanese è etnica, regionale, religiosa o politica? Anche la risposta deve essere ben chiara: la rivolta Albanese non è né etnica, né regionale, né religiosa. La rivolta Albanese è una chiara e ben definita rivolta politica, trasformata sfortunamente in una voglia collettiva, la quale secondo Durkheim (1978) potrebbe essere considerata un suicidio anomico. Il conflitto: né etnico, né regionale? a) Non c'è nessuna causa che possa giustificare l'esistenza di un conflitto etnico o regionale in Albania, considerando gli sviluppi regionali e le strutture etniche della popolazione e le loro impossibili implicazioni politiche, notate in Albania durante gli ultimi anni. La popolazione Albanese viene considerata omogenea. Secondo gli ultimi dati ufficiali, 1989 Census, il 98% della popolazione sono Albanesi. Il restante 2% di non Albanesi è composto da circa 80.000 Greci, 5.000 Macedoni ecc. (AYA, 1991). Le popolazioni Rom e Vllah sono registrate e considerate Albanesi. Secondo le nostre inchieste fatte recentemente, e secono le osservazioni dei rappresentanti delle organizzazioni etniche presenti in Albania, possiamo dire che nella struttura etnica della popolazione albanese si deve considerare un numero più alto, il triplo, di quello fornito dalle fonti ufficiali Albanesi, di Greci. Anche la presenza della popolazione Rom e Vllah è superiore: i rappresentanti di entrambe le componenti sostengono che in Albania risiedono circa 100.000 Rom e altrettanti Vllah. Le discordanze esistenti sulla costruzione della presenza numerica delle diverse etnie in Albania, comunque, non possono mai costituire la causa di conflitti politici ed etnici, anche perché le discussioni sulla composizione etnica non hanno coinvolto mai la popolazione, ma si sono svolte tra i circoli storici, istituzionali, della stampa, ecc. In Albania, diversamente dagli altri paesi Balcanici, non sono stati mai evidenziati conflitti gravi etnici anche durante gli ultimi tempi, quando, come hanno osservato gli studiosi, la questione dell'identità delle relazioni interetniche è venuta in primo piano per le implicazioni politiche. L'Albania sta un po' fuori dalla situazione dove il declino delle vecchie strutture del sistema totalitario è stato accompagnato dalla distruzione delle vecchie strutture imperiali (SUHRKE, 1994). E' vero che negli ultimi anni l'Albania è stata teatro di implicazioni etnico-politiche, per quanto riguarda le condizioni della minoranza Greca e Macedone. Queste tensioni non sono nate, però da alcuna rivendicazione territoriale o violenza militare e fisica verso le minoranze etniche. La maggior parte dei problemi che sono stati oggetto di discussioni e anche di certe tensioni momentanee, principalmente tra l'Albania e la Grecia, sono legate ai diritti politici, etnici, culturali e istruzionali della minoranza Greca in Albania. Un problema non risolto, continua a essere, come abbiamo detto sopra, la discussione sul numero dei Greci in Albania. Diverse fonti, Albanesi e Greche, forniscono dati diversi sulla presenza greca in Albania. Oltre le fonti ufficiali Albanesi (AYA, 1991) esiste un'altra fonte dell'ONU, secondo la quale, in Albania negli anni '20 vivevano circa 50.000 Greci (AS, AIH, DAV 72). Le fonti fornite dall'OMONIA, organizzazione etnica dei Greci in Albania, parlano di 250.000 Greci in Albania (ACMS, 1996). Altre fonti greche, soprattutto di carattere religioso, arrivano a un numero di 400.000 Greci in Albania, confondendo il numero della popolazione Ortodossa con il numero di Greci etnici. Fonti dal Greek Helsinki Monitor (AR, IHF, 1995) hanno fornito un altro numero, circa 150.000 Greci in Albania, che coincide con i calcoli sulla crescita della popolazione greca in Albania negli anni '20. Altre inchieste svolte di recente, limitano il numero dei Greci che vivono nelle regioni dell'Albania del Sud, a non più di 60.000 (VEREMIS et al., 1995). Un altro problema che esisteva tra l'Albania e la Grecia era legato alla questione della popolazione Came (della Ciamuria), che dopo la Seconda Guerra Mondiale è stata spostata dai territori dove abitava in Grecia, a quelli albanesi. Si sono registrate tra i due stati alcune polemiche, per quanto riguarda le proprietà dei Cami in Grecia e la segregazione del Governo Greco del dopoguerra contro la stessa popolazione, giustificata dai Greci con la motivazione della "loro collaborazione con gli invasori Tedeschi durante la Seconda Guerra Mondiale" Queste polemiche sono tornate in primo iano in occasione delle tensioni registrate tra i due Stati, tra le altre, a causa del processo di alcuni leader locali dell'OMONIA, con l'accusa di avere collaborato con i servizi segreti della Grecia, contro l'integrità e la sovranità dello Stato Albanese. I due Stati, l'Albania e la Grecia, hanno vissuto durante la loro storia una situazione paradossale: mentre l'Albania rivendicava il possesso di alcuni territori situati in Grecia (secondo diverse fonti storiche, la vecchia "Grande Albania" arrivava fino al Golfo di Preveza), quest'ultima pretendeva per sé l'Epiro del Nord la cui estensione, sempre secondo fonti greche, giungeva fino al Fiume Shkumbini, nell'Albania Centrale. Entrambi gli Stati consideravano la propria minoranza oltreconfine "autoctona". La Grecia è giunta alla paradossale situazione di non riconoscere all'interno dei propri confini alcuna minoranza etnica. Il problema però non ha mai costituito una ragione di conflitto sostanziale tanto a livello interno, dove le specifiche violazioni dell'una o dell'altra parte sono state risolte per vie politiche, quanto a livello internazionale, dove si è giunti alla firma di un Trattato di Collaborazione ed Amicizia tra i due paesi. Né ha giocato un ruolo particolarmente deleterio la politica pros-islamica e pro-turca del governo albanese. Nonostante la rivolta sia nata, come detto, nel Sud non si sono registrate dichiarazioni autonomistiche o secessionistiche, proposte per tanti anni dai circoli storici e religiosi greci della zona. b) Ugualmente la matrice religiosa non è presente nella rivolta. Nonostante le piccole tensioni fra Musulmani, Cattolici ed Ortodossi, causate più che altro dall'atteggiamento del governo più sensibile alla componente islamica considerata "il primo violino" della vita religiosa in Albania, la religione non ha mai svolto un ruolo chiave nella vita politica e sociale del popolo Albanese, abbastanza instabile su questi temi. c) Da escludere, infine, la caratterizzazione regionale del conflitto. Nonostante venga spesso presentata come un fattore determinante, la questione regionale è stata più che altro creata dai partiti, inclusa l'opposizione socialista, che hanno fatto propria la proposta di un Governo di Riconciliazione Nazionale. In realtà non c'era bisogno di riconciliazione Nazionale. Rinconciliazione, poi, tra chi? Forse fra i Kosovari e la diaspora Albanese? Forse tra le diverse regioni? Frai gruppi etnici e religiosi? Nulla di tutto ciò: è una rivolta contro il Presidente Berisha, il Parlamento, il Governo. Insomma, una rivolta contro le istituzioni. Progressivamente l'oggetto della rivolta si è andato definendo: non aveva più senso prendersela con il Parlamento, di fatto nelle mani del Presidente, non più con il Governo (che più che di Riconciliazione Nazionale, era divenuto Governo di Riconciliazione Politica), stante l'accordo per le elezioni anticipate e la formazione di un nuovo governo entro Giugno. L'obiettivo era ormai solo Berisha. L'errore del nuovo governo, inoltre, è stato quello di non considerare i ribelli come un punto di riferimento, un soggetto con cui dialogare. A questa mancanza ha, paradossalmente, supplito l'Unione Europea, che attraverso la sua delegazione che ha visitato l'Albania nei giorni 17-18 marzo, ha considerato i ribelli come un soggetto con cui interloquire.
La connotazione regionale ed etnica della rivolta: quale motivazione? 1) Accordando alle manifestazioni una copertura etnico-religiosa il Gvoerno ha messo in luce i rischi di una "balcanizzazione" dell'Area albanese inducendo l'Europa Occidentale a ritenere che tollerare queste manifestazioni avrebbe causato una esplosione di instabilità. Era un via libera per l'opera di distruzione delle libertà e dei diritti civili. La sospensione dello stato di diritto, tra l'altro, risulta, per un arbitrario giudizio occidentale, quasi più accettabile ed "endemica" nell'Europa Orientale. 2) Considerando le manifestazioni come un fenomeno regionale ed etnico si dava spazio a chi riteneva gli Albanesi non in grado di gestire la libertà conquistata. Questo tipo di giudizio andava bene al governo di Tirana preoccupato dal montante disappunto dell'opinione pubblica mondiale, in particolar modo dopo le elezioni del 26 maggio. Da più parti, soprattutto all'interno dell'Amministrazione Clinton, si era arrivati a ritenere l'Albania uno stato autoritario e totalitario. A Berisha faceva gioco l'idea che "non sono inaffidabili le persone e la classe dirigente. Per gli Albanesi sono inaffidabili gli istituti della democrazia!" (RT, 1997). E' quindi il popolo albanese a rifiutare la democrazia, non la classe dirigente a non sapergliela dare. 3) La connotazione "sudista" della rivolta, data dal governo attraverso la TV albanese ha garantito a Berisha l'appoggio quantomeno del Nord, che a quel punto si vedeva minacciato dalle manifestazioni. Il passo seguente, infatti, è stato l'assalto alle caserme nella zona settentrionale.
Le Piramidi come una psicosi collettiva e le loro implicazioni politiche Il governo aveva pubblicamente espresso il proprio sostegno alle finanziarie anche in occasioni ufficiali, in particolare a seguito della visita di una delegazione del Fondo Monetario Internazionale nell'autunno del 1996. In questa occasione la delegazione del FMI aveva dichiarato alla stampa che, a suo avviso, le finanziarie rappresentavano una barriera per lo sviluppo economico e finanziario del paese ed era dovere del governo chiudere la loro attività sospetta e poco chiara. Invece Berisha dichiarò alla Tv in quell'occasione che il denaro che circola in Albania "non è sporco, è il denaro più pulito che ci sia". La vittoria del PD alle amministrative dell'Ottobre ha fatto registrare un forte incremento dei depositi nelle finanziarie, anche in quelle che promettevano interessi da capogiro (e irrealistici) del 100% mensile. Le dichiarazioni e le garanzie delle istituzioni dello Stato hanno svegliato lo spirito pragmatico della popolazione e hanno stimolato la voglia e il sogno di diventare ricchi senza lavorare, senza produrre, senza investire. A questi fattori si somma la lunghezza temporale (4 anni) delle finanziarie e la presenza di traffici di droga, petrolio e armi durante la guerra in Bosnia, con relativo denaro. Purtroppo anche le istituzioni deputate ad un controllo internazionale hanno agito con la supervisione delle istituzioni albanesi, riportando dati alterati. E' il caso dell'Eurobarometro, che ha descritto la popolazione albanese come ottimista e risoluta nel progresso economico. Per verificare l'attendibilità degli "opinion polls realizzati dall'Eurobarometro basti pensare che mentre si faceva strada nell'opinione pubblica il malcontento per la nuova costituzione, espresso nel referendum del 1994, l'Eurobarometro riportava dati confortanti di una popolazione soddisfatta per gli sviluppi politici ed istituzionali.
Il Sud, perché protagonista? A ciò si somma senz'altro un senso di frustrazione del Sud, estromesso dal potere nonostante da lì fosse uscita negli anni l'élite del paese. I quadri dirigenti attuali, invece, avevano una provenienza settentrionale, soprattutto nel settore della forze armate. Gli uffficiali meridionali, rimossi per far spazio ai loro colleghi del Nord, non hanno avuto alcun sussidio che ne agevolasse il reinserimento in attività o professioni civili. Ma come detto, la matrice regionalista e localista non veniva agitata dagli insorti in prima istanza. Ai Comitati di Salvezza Pubblica creati nel Sud, infatti, il Nord rispondeva con il Comitato di Salvezza Nazionale e dai toni usati da entrambi era possibile farsi un'idea della situazione: il sud chiedeva le dimissioni di Berisha, considerandolo un ostacolo per la vera democratizzazione del paese, mentre a Nord dipingevano gli insorti come attentatori all'integrità territoriale del paese ed invitavano il Governo per la Riconciliazione Nazionale a non prendere contatti con gli insorti. Mentre Berisha continuava ad ottenere appoggio dal Nord, diverse organizzazioni internazionali e governi occidentali (il Vertice OSCE a Vienna, il Gruppo Socialista del Consiglio d'Europa, il Governo greco tramite un suo ministro...) si pronunciavano per le dimissioni dello stesso Presidente. La caduta del sistema piramidale ha riguardato principalmente il Sud soprattutto in quanto terra ad alto tasso d'emigrazione e conseguentemente di rimesse. Nel più dei casi queste ultime, accumulate in 6 anni di lavoro all'estero ed immesse nel sistema delle finanziarie sono state in pochi giorni polverizzate. A ciò si aggiunge che la stessa emigrazione ha subìto negli ultimi mesi un forte decremento, stante la minore disponibilità dei paesi limitrofi (Grecia e Italia) ad assorbire flussi migratori a causa di problemi interni di natura economica, istituzionale ed occupazionale. Con ciò sono diminuite le rimesse. Se si aggiunge che gli stessi emigrati hanno preferito depositare i propri risparmi in banche italiane o greche, si coglie la caduta improvvisa di questo ulteriore ammortizzatore economico. Terzo pilastro venuto meno è la fiducia internazionale, soprattutto a seguito delle elezioni del maggio '96. L'allontanamento dagli standard di democrazia registrato in quell'occasione ha spinto l'Occidente (Italia e Grecia invero per ultime) a "congelare" il proprio sostegno. La simultaneità di questi fattori è stata fatale per il regime di Tirana.
L'evoluzione da manifestazioni pacifiche a ribellione armata: la via per il suicidio collettivo E' in siffatta situazione che il Presidente Berisha ha rotto gli indugi e ha compiuto un considerevole passo in avanti chiamando l'opposizione, compresa quella socialista, a far parte di una coalizione governativa e promettendo le elezioni anticipate. Però era già troppo tardi. Si può dire che in tutta la crisi le istituzioni si sono sempre mosse un passo più indietro di quanto richiesto dagli sviluppi della situazione. La ribellione era a quel punto già incontrollabile anche per i partiti di opposizione, soprattutto perché negli ultimi tempi, mortificati dall'atteggiamento violento del regime di Tirana, male avevano espresso i sentimenti di protesta di larghi strati della popolazione. Il desiderio di ricambio di classe dirigente, desiderio divenuto realtà in numerosi paesi dell'Europa Orientale, si era espresso in Albania nel voto delle amministrative del luglio '92 (a soli 6 mesi dalle elezioni politiche in cui il PD aveva conseguito la maggioranza assoluta), nel referendum costituente del '94 e nelle elezioni politiche del '96, ma si era scontrato con la violenza democratica. Di fronte all'impedimento di poter mutare la classe dirigente del paese è stato giocoforza l'adozione di strumenti diversi, atti a superare gli ostacoli per la democrazia.
AMCS 1996 Albanian Center for Migration Studies, Database. |