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![]() NIENTE DI NUOVO: SI CHIAMA COLONIALISMOdi Antonio MoscatoLa sinistra deve ricordare che alle origini della tragedia albanese c'è anche il colonialismo italiano, quello fascista e pre-fascista così come quello attuale. Altrimenti lo stesso "popolo di sinistra" non vedrà nelle "orde di albanesi" che l'aspetto criminale. Ma anche questo è originato dallo sfruttamento che il "capitalismo reale" e neocoloniale ha imposto.
Per gli italiani è stato relativamente facile commuoversi per gli oltre 80 albanesi morti nello speronamento nell'Adriatico. Se lo ha fatto Silvio Berlusconi, con lacrime a comando e il nobile gesto di assumere tre albanesi (una volta prometteva un milione di posti di lavoro, ma... meglio di niente), vuol dire che aveva fiutato un'ondata di turbamento nel paese, magari anche in coloro che ancora ieri tuonavano contro i "criminali" e chiedevano di cacciarli. Un'emozione probabilmente indotta da un involontario effetto boomerang della manipolazione dei mass-media: dato che gran parte degli albanesi vedono la TV italiana, col risultato che in passato hanno creduto che il nostro fosse il paese di Bengodi, in cui fosse facilissimo arricchirsi (l'illusione sulla moltiplicazione dei denari che ha portato al boom delle piramidi finanziarie non l'hanno ricavata da Pinocchio, ma dai programmi televisivi tanto Rai che Mediaset), e che quindi speravano di risolvere i loro problemi andando alla "fonte dei miracoli", per dissuaderli si è pensato bene di presentare in tutto il suo orrore l'ultima "tragedia del mare" e la disperazione dei sopravvissuti. Evidentemente i nostri "persuasori occulti" avevano dimenticato che la TV la vedono anche gli italiani, e che persino quelli che votano per Berlusconi o per Fini sono esseri umani che possono essere toccati dai sentimenti. Naturalmente, le lacrimucce spremute ipocritamente da Berlusconi non dureranno molto di più del contingente bisogno di sferrare un attacco "da sinistra" a Prodi (d'altra parte c'era già stato il precedente del fascistissimo Buontempo, detto "er pecora", che ha difeso i Rom cacciati dal sindaco Rutelli), e la maggior parte degli italiani dimenticherà presto questa vicenda appena saranno investiti da nuovi messaggi televisivi di segno opposto. Già il giorno di Pasqua non è stata solo la polizia a strappare uno striscione di denuncia portato dai giovani comunisti romani in Piazza San Pietro, ma gli stessi "cristiani" che attendevano un messaggio di pace, solidarietà e resurrezione da Papa Wojtila... IL SILENZIO DELLA SINISTRA Come stupirsi se in questa vicenda la sinistra è stata assente e passiva o ha pensato al massimo a salvarsi l'anima? Penso ad esempio alla radio del PDS, sommersa da migliaia di telefonate razziste che indubbiamente hanno sconvolto i redattori, ma che erano il logico frutto di un silenzio pluridecennale sui crimini commessi dall'imperialismo italiano, nei Balcani e non solo. D'altra parte, già nel 1991 un sondaggio telefonico tra i lettori de "l'Unità" aveva visto l'81% dei lettori pronunciarsi per il rimpatrio forzato degli albanesi. I redattori si stupivano, ma intanto continuavano a passare le veline del regime con titoli come "sette albanesi violentano una ragazza" (mai che si dica "sette romani", o "sette bergamaschi" o "sette piemontesi"!). Penso al PRC: "Liberazione" ha ovviamente criticato l'affondamento dell'imbarcazione albanese, ma non lo ha messo al centro dell'attenzione, mentre i commenti erano centrati sull'aspetto morale e umanitario e sulla generica richiesta al governo di cambiare linea, come se la politica albanese di Prodi-Dini-Andreatta non corrispondesse a una tendenza profonda e costante del nostro imperialismo, ampiamente rappresentato nei ministeri chiave. Solo "il manifesto" ha fatto una campagna esemplare, soprattutto con alcuni articoli di Tommaso Di Francesco, che ha ricordato ai distratti e agli sconvolti per "l'insostenibile invasione" di diecimila albanesi, che tra il 1943 e il 1945 la piccola e poverissima Albania protesse e nascose molte decine di migliaia di soldati italiani sbandati, dividendo con loro il suo poco pane, salvandoli dalla deportazione nei lager nazisti. Questo episodio ci dice che abbiamo un debito di gratitudine con gli albanesi, che essi, che pure avevano sofferto moltissimo sotto la nostra dominazione, hanno saputo ascoltare la propria coscienza accollandosi un carico enorme (fatta la proporzione tra la nostra popolazione e la loro di quegli anni, per ricambiare avremmo dovuto oggi accogliere più di un milione di albanesi!), ma non affronta il bilancio complessivo di quel che ha avuto l'Albania dal rapporto col nostro paese. ITALIANI NEI BALCANI Prima di tutto, appunto, la guerra. Il nostro governo, fascista ma inserito come vedremo in una linea di continuità con la politica del periodo precedente e sostenuto anche dal consenso di una buona parte degli italiani (tra la guerra di Etiopia e quella di Grecia, cioè finché vinceva, il consenso popolare per il regime fu molto alto e i comunisti e gli antifascisti più coerenti si ritrovarono ad andare controcorrente), conquistando per squallide mire di prestigio l'Albania nel 1939, la trascinò nella guerra mondiale. Vittorio Emanuele III, il reuccio vile e cinico che il 25 luglio 1943 avrebbe tradito il suo stesso complice Mussolini e avrebbe poi abbandonato l'8 settembre un esercito allo sbando (e che qualcuno vorrebbe oggi riabilitare), era allora orgoglioso di aver aggiunto la corona di Albania a quella di re d'Italia e imperatore d'Etiopia. Per far questo fu liquidato il vecchio complice Zogu, che aveva cominciato la sua carriera come capo banda al soldo dell'Italia e si era poi autoproclamato re Zog, e il piccolo paese fu trascinato nella preparazione della II guerra mondiale. Preparazione: si fa per dire. Nulla di più insensato e meno preparato ci fu in tutta la II guerra mondiale dell'aggressione italiana alla Grecia. Avviata per ragioni simboliche il 28 ottobre 1940, anniversario della marcia su Roma, ma data quantomai inadatta perché coincidente con l'inizio della freddissima stagione delle piogge e delle nevi nei Balcani, l'offensiva italiana si scontrò con una resistenza straordinaria del popolo greco, che ricacciò in poco tempo indietro l'esercito italiano, relativamente meglio armato ma pochissimo motivato, inseguendolo ben dentro l'Albania da cui era partito. Bene per il popolo greco, ma non altrettanto per gli albanesi, che si ritrovarono la guerra in casa senza averla voluta (con tutto lo strascico di civili morti, anche dopo anni, per mine e proiettili inesplosi). Di queste cose la sinistra non parla e il suo "popolo", che da decenni non ha il minimo sospetto che il nostro sia un paese imperialista e aggressivo, non ha ovviamente coscienza. "Italiani brava gente" si pensa, e si ritiene che tutti nel mondo abbiano un bellissimo ricordo della nostra presenza "civilizzatrice", anche in Africa, anche in quei Balcani dove abbiamo dato un bel contributo a raggiungere in Jugoslavia i 2.000.000 di morti che rappresentano dal punto di vista percentuale un record ineguagliato nel mondo contemporaneo (a parte forse la Libia, dove in Cirenaica siamo arrivati a sterminare forse un quarto dell'intera popolazione - sul genocidio in Cirenaica, vedi G&P n°29). Per rimuovere questo peso dalla coscienza, la nostra stampa "libera" e "indipendente" non si è limitata a tacere, ma ha calunniato sistematicamente le popolazioni che hanno subito la nostra oppressione. L'IMPERIALISMO STRACCIONE DELLA "BRAVA GENTE" Dal 1912, nel quadro delle guerre balcaniche, l'Albania divenne un protettorato italiano, accettato dalle altre potenze dell'Intesa, con cui anzi nel Patto di Londra che stabilì le condizioni per l'entrata in guerra dell'Italia si contrattava una vera e propria annessione di Valona. Per finanziare i complici della nostra misera dominazione indiretta (allora il nostro era ancora veramente un "imperialismo straccione" e velleitario) in Albania furono sperperati molti milioni di allora, senza frutti significativi (pare che una delle poche attività redditizie impiantate dagli italiani fossero i bordelli, che ponevano tuttavia problemi di prestigio e onore nazionale dato che le "signorine" in offerta erano italiane...). Una corte di arrivisti, di "magliari", di imprenditori rampanti si precipitò poi nel paese quando, nell'aprile 1939, si passò dal protettorato alla conquista, ma la brevità dell'occupazione non consentì di fare affari veramente allettanti (da qui la leggenda che "ci avremmo rimesso"). L'onore del paese, dopo la vergognosa campagna di Grecia e il caos seguito alla sconfitta su tutti i fronti e poi allo sbandamento dopo l'8 settembre 1943, fu salvato da quelle migliaia di soldati che, come in Grecia e soprattutto in Jugoslavia, decisero di non consegnare le armi e se stessi ai tedeschi, e si unirono ai partigiani locali. Ma di questo l'Italia, anche quella "di sinistra", anche il "popolo dell'Ulivo", non sa praticamente nulla. Ancora meno sa del fatto che dopo la sconfitta del progetto, legittimo e in sé rispettabile, di modernizzazione e di indipendenza del paese, iniziato nel 1945 dal gruppo raccoltosi intorno a Enver Hoxha (sia pur in forma assai contraddittoria, e attraverso lo sterminio della maggioranza dei primi dirigenti del piccolissimo partito, etichettati contro ogni logica nella storia ufficiale come "trotskisti" anche se colpevoli solo di modeste divergenze tattiche), dopo il fallimento della scelta di allearsi con l'URSS staliniana per arginare le mire egemoniche jugoslave, e di quella di appoggiarsi alla Cina per contrastare l'URSS che si era riavvicinata alla temuta e odiata Jugoslavia di Tito, l'Albania non ebbe più referenti ideologici e alleati espliciti, ma si avvicinò silenziosamente a Germania e Italia (successivamente sarebbe comparsa anche la Turchia), con cui cominciò scambi perdenti ma indispensabili. ARRIVA L'ORDA DEGLI INVASORI: ITALIANI Prima che morisse Henver Hoxha e cadesse Ramiz Alia, e che il loro seguace e collaboratore Sali Berisha gettasse alle ortiche il suo "marxismo-leninismo" e si avviasse a una carriera di Eltsin albanese, imprese italiane e tedesche avevano messo piede silenziosamente in Albania sfruttandone la manodopera allora quasi gratuita, nonché la pace sociale garantita dal regime "socialista". Poi, negli ultimi anni, un'orda famelica di imprenditori italiani è calata sull'Albania alla ricerca di salari di fame e di tranquillità sociale assicurata dalla polizia stalinista riciclata come "democratica". Le imprese pugliesi che mettevano sui cancelli il cartello "qui il sindacato non entra" o rinchiudevano per dodici ore, pagate anche meno di ventimila lire al giorno, ragazze quindicenni (con la benevolenza del sindacato o dei "sindaci democratici") si sono precipitate in Albania, distruggendola definitivamente. Ora quegli "imprenditori" sono i più attivi nel chiedere un intervento militare, e il governo Prodi è sensibile al loro grido di dolore. Le loro spese sono aumentate, soprattutto perché molti hanno capito, un po' rozzamente ma non erroneamente, che nel "capitalismo reale" l'unica via all'arricchimento rapido è quella criminale. Così i nostri bravi "imprenditori" hanno dovuto assumere accanto agli operai un po' di criminali locali come guardaspalla, ma anche per tenere a bada i lavoratori, e ora che per questo i costi sono aumentati vorrebbero la San Marco (che paghiamo noi e non loro...). Per fermare la campagna di demonizzazione degli albanesi bisogna spiegare tutto questo. E non bisogna negare neppure che una piccola parte di essi, in Italia, dopo essere stati spesso depredati del loro salario dai caporali (conosco nel brindisino diversi casi), e dopo aver visto più in generale come vanno le cose da noi, si sono dapprima affiliati a qualche cosca locale, e poi si sono messi in proprio, nel contrabbando, nello sfruttamento della prostituzione, nello spaccio o nel caporalato (non so cosa sia peggio). Esattamente come tanti italiani e a differenza di tanti bravissimi e serissimi albanesi che hanno un grande senso della dignità e dell'onore, e che noi invece cacciamo in un lager o in fondo al mare. I "delinquenti" ci sono, ma sono un sottoprodotto della nostra società. Una piccola parte di loro ha imparato presto come funziona, ma non dimentichiamo mai che i maestri sono italiani, che anzi la vera maestra è la nostra società in cui per i più deboli (giovani, donne, anziani licenziati, immigrati) è perfino difficile sopravvivere onestamente. Un'ultima nota a margine: non bisogna indebolire la spiegazione di quel che accade oggi scaricando tutte le colpe sul pur impresentabile Sali Berisha, che come Eltsin è un prodotto del vecchio regime. Occorre analizzare anche la bancarotta di quel regime che assurdamente fu chiamato "socialista" per meglio capire il caos attuale e le complicità della stessa opposizione, compresi quegli ex comunisti che si chiamano socialisti e che non a caso avevano dato la tessera n.3 del partito socialista a Bettino Craxi...
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