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![]() PELLICANO: UN PRECEDENTE DA RICORDAREdi Alberto SpagnoliUna documentata esposizione di come l'operazione militare "umanitaria" Pellicano del 1991-92,ha arricchito gli speculatori, rafforzato Berisha e impoverito l'Albania"Il primo dovere di un amico è quello di dire all'amico le sue manchevolezze. E dunque questo libro ["Albania una e mille", NdR] sarà utile specialmente per il popolo schipetaro. Ma spero che lo leggano con un po' di interesse anche gli italiani, perché essi si sono ormai assunti, verso l'Albania, un grave compito. Questo compito - ne siano certi i nostri amici albanesi - l'Italia di Mussolini lo assolverà. Lo assolverà in pieno." Queste parole di Indro Montanelli, inviato in Albania alla vigilia dell'invasione fascista del 1939, per redigere un "panorama" da consegnare "a chi di dovere", testimoniano la mai sopita frenesia dei gruppi dominanti italiani di "aiutare" a tutti i costi l'Albania. Come l'Italia di Mussolini assolse a questo "grave compito" è ormai storia: la guerra, 28.000 morti su una popolazione di meno di un milione, la distruzione dell'80% del patrimonio edilizio e un paese che dopo la vittoriosa lotta di liberazione doveva ricostruirsi quasi da zero. Poi, per oltre quarant'anni, la smania di aiuto dovette fermarsi perché, come ribadiva anche la Costituzione albanese del 1976, "nella RPSA è vietata l'elargizione di concessioni economiche, la creazione di società o altre istituzioni economiche e finanziarie straniere o miste con i monopoli e gli stati capitalisti, borghesi e revisionisti, e l'accettazione di crediti da questi ultimi" e nel suo territorio "non è permessa l'installazione di basi o truppe straniere". L'Albania del periodo socialista, contrariamente a quanto si dice, non praticava l'autarchia, aveva rapporti diplomatici con oltre 90 stati e rapporti commerciali con 60 ed era disposta ad avere rapporti economici con tutti i paesi del mondo (esclusi USA, URSS, Israele e Sud Africa). Ma poneva come condizione la non ingerenza, la pari dignità e il pari interesse. E così l'Italia, non potendo "aiutare" il paese vicino come voleva, acquistava il cromo, ad esempio, dal Sudafrica dell'apartheid anziché dall'Albania (2° produttore mondiale). Ma dopo il 1990 e il cambio di regime i gruppi dirigenti italiani possono finalmente "aiutare" di nuovo a man bassa il vicino paese con un'ininterrotta presenza e almeno 4 momenti caldi: l'"aiuto immediato" tra il '90 e il '91 (erano i tempi del Caf e dell'ambasciatore Cardilli); l'"operazione Pellicano" nel 1991/92 (che esamineremo in specifico); gli anni dell'"imprenditoria italiana" e del "miracolo economico albanese" (che ha come motore l'ambasciatore Foresti e si conclude con la crisi e il tracollo economico attuali); l'odierno intervento militare "umanitario" a guida italiana. COMINCIA LA MISSIONE PELLICANO Della "Missione Pellicano" si è parlato molto senza spiegare quasi niente. Si tratta di un momento centrale dell'intervento italiano in Albania, utile anche per capire meglio la missione attuale, che ne ricalca alcune linee di fondo, pur in una situazione mutata. In base all'accordo sottoscritto nell'agosto 1991 fra il primo Ministro albanese Ylli Bufi e il ministro degli Esteri italiano Gianni De Michelis, l'Italia varava un programma di aiuti economici della durata di tre mesi. In base ad esso, come spiegava lo stesso De Michelis in una conferenza stampa a Tirana, riportata da "Zeri i popullit" del 13 agosto, l'Italia si impegnava a dare un aiuto alimentare per 90 miliardi di lire, più altri 90 miliardi sotto forma di materie prime all'industria albanese. Si impegnava inoltre a organizzare "un ponte navale, con base nei porti albanesi di Durres e Vlora, per garantire la continuità del rifornimento" e a esaminare in collaborazione con il governo albanese le modalità di distribuzione degli aiuti; a fornire aiuti per rendere possibile l'apertura dell'anno solastico e a determinare "le vie e i mezzi di collaborazione per evitare una crisi politica, economica e sociale". (Questa parte dell'accordo, firmato poi da Scotti, prevedeva forniture di materiale logistico e attrezzature alla polizia albanese da parte di istruttori italiani, lo scambio culturale tra le due polizie). "Vi sono poi le decisioni prese dal governo italiano sabato scorso", aggiungeva de Michelis."Tra tutte, due le principali: realizzare la collaborazione delle nostre marine militari per pattugliare le nostre coste, per computerizzare il sistema di segnalazione, per realizzare due gruppi di specialisti, a Durres e a Vlora, per il controllo delle vie navali che si creeranno tra Vlora e Durres, da un lato, e con l'Italia, dall'altro. [corsivo nostro, NdA]". In questo quadro è stata varata l'operazione militare Pellicano, con l'invio di un contingente di 1000 uomini, 700 dei quali dislocati a Durres (nell'ex "Centro Estivo dei Pionieri", struttura prima utilizzata per le vacanze al mare dei bambini albanesi) e 300 a Vlora. L'operazione, iniziata il 30 settembre 1991 e che doveva concludersi il 31 dicembre 1991, è stata poi prolungata di altri 9 mesi (in modo semiclandestino rispetto all'opinione pubblica dei due paesi), e avrebbe dovuto scadere l'1 settembre 1992 ("Pellicano 2"). Ma il generale Ciacci, comandante delle forze italiane in Albania, nella conferenza stampa tenuta a Durres il 14 agosto '92, ha chiarito che comunque l'operazione sarebbe durata fino a tutto ottobre (non si capisce con quale legittimità e per decisione di chi) e che dopo doveva essere rinegoziata per dare vita a un'eventuale operazione "Pellicano 3" ("Rilindja Demokratike", 10 agosto). Dieci miliardi di "spese" per due miliardi di "aiuti" I militari erano addetti, in Albania, allo smistamento degli aiuti italiani. Ma essendo questi esauriti nel dicembre 1991, sono stati poi adibiti allo smistamento degli aiuti CEE. In totale, ei primi dieci mesi dell'operazione, sono state smistate in Albania 143.000 tonnellate di aiuti alimentari italiani, 59.245 tonnellate di aiuti della CEE e 9.477 tonnellate di aiuti di altri paesi. Le spese "vive", secondo quanto dichiarato dallo stesso generale Ciacci nella conferenza stampa citata,"ammontano a dieci miliardi mensili ogni due miliardi di aiuti smistati [corsivo nostro, NdA". L'aiuto ai "commercianti" albanesi Questi aiuti, poi, non sono andati direttamente alle famiglie albanesi ma, secondo un accordo tra autorità albanesi e italiane, sono stati smistati dai militari italiani (il cui compito finiva qui) in alcuni magazzini posti nelle varie zone del paese. Essi dovevano essere poi distribuiti, o meglio venduti dal governo albanese e da commercianti privati che avrebbero dovuto commercializzarli al fine dichiarato di favorire la nascita e lo sviluppo del mercato privato in Albania. Quanto ai "commercianti" albanesi, figure fino a un anno fa inesistenti e che non possono essere inventate dal nulla, spesso non erano altro che personaggi arricchitisi col contrabbando o prestanome di intrallazzatori italiani e greci. L'aiuto alla prostituzione Oltre allo smistamento degli aiuti alimentari, uno degli scopi dichiarati della missione militare italiana in Albania era quello "culturale": familiarizzare con la popolazione indigena e propagandare il ruolo salvifico dell'Italia in Albania (una "missione" con molti precedenti storici!). A questo scopo la parte italiana si è servita di un apposito "fondo per la cultura", investito nella diffusione di alcune "favole metropolitane" edificanti a uso del grande pubblico italiano. Non poteva mancare fra queste l'immancabile storia d'amore del sottufficiale Bruno con l'albanese Valbona, molto propagandata dai media e utilizzata per nascondere la realtà, molto meno rosea, dello sviluppo della prostituzione a Durres, legata alla presenza militare italiana, sia in forma "spontanea" sia sotto forma di racket con scontri tra bande rivali. Il giornale albanese "Alternativa" del 26 giugno 1992 denunciava come, con la presenza dei militari italiani, fosse aumentato sostanzialmente il numero degli aborti provocati: circa 120 ogni mese e riguardanti spesso ragazze molto giovani. L'aiuto agli aiutanti In ogni caso il denaro pubblico stanziato per gli aiuti è rimasto o è tornato per gran parte in Italia in modo legale (su 1.000 lire di aiuti, 170 erano destinate, almeno in teoria, agli aiuti veri e propri; 830 andavano in "spese" e erano incassate dagli operatori e dai militari italiani) o in modo illegale. A questo proposito si possono individuare quattro fasi di malversazioni e speculazioni: 1° - una parte del denaro destinato in aiuti è andato in tangenti ai partiti politici italiani (e albanesi), pagate da operatori economici italiani o stranieri disonesti per avere le commesse e poi recuperate gonfiando i prezzi della merce venduta al governo italiano; 2° - una parte delle merci acquistate dal governo italiano è stata alienata, secondo la denuncia del Procuratore di Tropoja in Albania, e venduta prima di arrivare ai magazzini albanesi; 3° - una parte è stata alienata dai magazzini albanesi e venduta in Grecia o Montenegro; 4° - una parte degli aiuti regolarmente comprata dai "commercianti" non è stata immessa nella rete commerciale ufficiale, ma nel mercato nero a prezzi di speculazione. La più parte degli aiuti dunque è finita agli speculatori e ai partiti di governo italiani. E anche ai "commercianti" e ai "partiti" albanesi che sono però spesso prestanomi o emanazioni di speculatori e partiti italiani... Quello che è rimasto, se ne è rimasto, è stato venduto alle famiglie albanesi. L'aiuto al traffico clandestino Uno degli scopi dell'operazione Pellicano, se non il fondamentale, era quello di impedire nuovi esodi di massa di albanesi in Italia, sia attraverso il miglioramento della situazione economica sia attraverso il pattugliamento congiunto delle coste. In realtà la situazione degli albanesi non è affatto migliorata, anzi è visibilmente peggiorata durante i mesi dell'operazione Pellicano. Dato che le materie prime per far funzionare le fabbriche non sono state mandate, o non sono state utilizzate, l'industria e tutta l'economia albanese è rimasta ferma. La disoccupazione è aumentata vertiginosamente. Dopo un anno di aiuti le condizioni che avevano spinto migliaia di albanesi a venire in Italia non solo permanevano ma si erano aggravate. Così, a dispetto dei costosi pattugliamenti e per la gioia di chi specula su miseria e disperazione, l'esodo è continuato quasi indisturbato, anche senza diventare esodo di massa. Migliaia di albanesi sono arrivati in Italia attraverso il canale dei contrabbandieri pugliesi e con il traffico dei visti al quale, secondo diverse fonti giornalistiche, non sarebbero estranei funzionari dell'ambasciata italiana. PERCHE' I MILITARI ITALIANI? Di fronte a questi fatti è inevitabile chiedersi perché per lo smistamento degli aiuti in Albania si è utilizzato un contingente militare italiano. Si è detto che gli albanesi non avevano i mezzi tecnici per farlo. Ma in Albania i mezzi esistevano. Senza contare quelli civili, certamente l'esercito albanese aveva camion, gru e altri mezzi idonei. Quanto agli elicotteri, che gli albanesi non avrebbero mai visto, l'esercito albanese ne è dotato fin dal periodo socialista, quando spesso venivano impegnati anche in azioni civili, di soccorso ecc. Un elicottero dell'esercito albanese fu messo a disposizione, a suo tempo, per una ripresa aerea della TV italiana: perché non potevano essere usati per smistare i viveri? Ma anche ammettendo che l'Albania non avesse questi mezzi non sarebbe stato più opportuno, semplice e meno costoso fornirglieli? Con 10 miliardi al mese di spese quanti camion, sollevatori ecc. potevano essere acquistati e restare in dotazione all'Albania? Affidando agli albanesi lo smistamento degli aiuti, con 10 miliardi al mese si sarebbero stipendiati... 500.000 lavoratori, praticamente gran parte della popolazione attiva! Si è detto che gli albanesi non avevano la capacità tecnica e organizzativa di gestire l'operazione. Ma come si spiega che abbiano ricostruito un paese partendo da condizioni feudali e distrutto al 70% dalla guerra, fornendo scuola e assistenza sanitaria gratuita per tutti, case per tutti a un affitto simbolico? Che abbiano terrazzato e messo a coltura intere montagne pervie, impiantato centinaia di fabbriche? Che abbiano costruito a Fierza, con i propri mezzi e con propri progetti, una delle più grandi dighe d'Europa? O che abbiano eliminato in sei mesi, senza aiuti esterni, le tracce di un terremoto che nel 1979, in pieno "regime socialista", aveva lasciato 100.000 persone senza tetto? Sotto un regime definito dispotico e feroce il popolo albanese era capace di fare questo. Adesso, con l'avvento del capitalismo, non sarebbe improvvisamente più in grado nemmeno di scaricare nei depositi alcune migliaia di tonnellate di derrate alimentari? Ma ammesso per assurdo che sia così, come si spiega che dopo essere ricorsi all'esercito italiano per lo smistamento degli aiuti dai porti ai magazzini, si sia lasciato agli albanesi proprio il compito ben più complesso e delicato di distribuire capillarmente gli aiuti in tutto il paese? E, se proprio, perché per un'operazione che non aveva niente di militare non sono state incaricate le organizzazioni umanitarie, anche straniere, presenti in Albania? Perché si è utilizzato personale militare italiano e non personale civile? A rispondere, senza falsi infingimenti, ci ha pensato il comandante della missione stessa, generale Antonio Todaldo sottolineando in una conferenza stampa la "importanza della missione non solo dal punto di vista umanitario, ma anche nella instaurazione della democrazia, nell'evitare una guerra civile in Albania e nell'eliminare una controrivoluzione" ("Koha Jone", 3 settembre 1993). La democrazia instaurata è stata quella di Sali Berisha e del suo regime antipopolare. Come il salvataggio di Berisha, o per lo meno del suo regime autoritario e ultraliberista, è ritenuto da molti, in Italia e in Albania, lo scopo principale dell'attuale missione militare "umanitaria". L'ALBANIA DI FORESTI L'Albania, dunque, esce dagli "aiuti" della Pellicano più povera di prima (anche se non mancano i neomiliardari e i lussuosi "Bar Berlusconi"). Lo dimostra l'esodo continuo per fuggire da un paese che in quegli anni fu la fortuna della nuova criminalità albanese e della vecchia criminalità italiana. Un esodo che ci si è sforzati di sottacere tanto che l'ambasciatore Foresti dichiarava: "c'è una tendenza alla diminuzione del fenomeno dei clandestini [...]. Io stesso ho notato il sensibile miglioramento delle condizioni interne del paese. Per esempio, sono cominciati ad arrivare gli emigranti i quali con i loro risparmi hanno iniziato nel paese attività commerciali. A cui bisogna aggiungere altre attività qualche volta illegali, che comunque assicurano guadagni un tempo inimmaginabili" ("Gazeta Shqiptare", 4 settembre 1994). Sono i guadagni inimmaginabili del contrabbando del petrolio durante l'embargo alla Serbia, del traffico dei clandestini, della droga e delle armi, dello sfruttamento sfacciato della manodopera locale da parte degli imprenditori italiani, della "piramidi". Ma per l'Italia tutto andava per il meglio anche quando la truffa delle finanziarie stava spingendo il paese verso una catastrofe annunciata, della quale l'Italia era ben conscia se non corresponsabile. In proposito il quotidiano d'opposizione "Koha Jone", così commentava nel novembre scorso la mossa dell'ambasciatore italiano Foresti, che aveva convocato gli "uomini d'affari" italiani in Albania avvisandoli di stare attenti a investire i soldi in queste "finanziarie": "L'ambasciatore Foresti, innamorato degli albanesi, [...] avrebbe avuto il dovere di mettere sull'avviso per primo gli albanesi riguardo la tragedia che li attendeva [...], invece di profondersi in elogi nei confronti di Berisha e dei buoni rapporti tra Italia, occidente e il governo dittatoriale del Partito Democratico, sistematicamente presentati al pubblico albanese come panna e miele". Per questo si rafforza l'opinione che il più grande aiuto dell'Italia al popolo albanese sarebbe quello di smetterla di "aiutarlo" come ha fatto finora e in tutta la storia dell'Albania contemporanea.
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