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PACIFICI E PERICOLOSI

di Besa Tovrlani

I circoli politici più influenti del Kosovo esprimono il timore che le proteste pacifiche per ottenere il diritto all'uso degli edifici scolastici possano facilmente trasformarsi in proteste con rivendicazioni politiche.

A un anno dalla firma dell'accordo tra Rugova e Milosevic per la normalizzazione dell'educazione in lingua albanese, si assiste alla iniziativa degli studenti albanesi, raccolti nell'Unione indipendente, di organizzare delle proteste pacifiche al fine di ottenere un ritorno incondizionato agli edifici scolastici e universitari. I principali leader politici del Kosovo hanno appoggiato questa iniziativa, mentre le associazioni politiche e non politiche hanno dato per la maggior parte il loro consenso verbale, consentendo di portare a termine la prima fase del "piano" messo a punto dall'Unione degli studenti indipendenti dell'Università di Pristina. Sebbene i maggiori dubbi abbiano riguardato il pieno appoggio o meno che il partito di Rugova, cioè il maggiore partito del Kosovo, avrebbe dato a questa iniziativa, dopo avere ottenuto un "diritto alla insoddisfazione", gli studenti, a quanto pare, hanno proceduto molto più tranquillamente all'ulteriore preparazione della protesta.

Durante le discussioni che gli studenti hanno condotto nelle settimane scorse in Kosovo, molti hanno chiesto il motivo per cui sono stati proprio gli studenti a decidere di "smuovere le acque", visto che la loro è innanzitutto un'organizzazione politica? Il Presidente dell'Unione degli studenti albanesi Bujar Dugoli spiega: "Nessuno può essere contro questa iniziativa, che si basa sui diritti umani e nazionali elementari dell'insegnamento nella lingua madre, garantito da tutte le convenzioni internazionali. Sarebbe stata un'ottima cosa che questa iniziativa avviata dall'Unione degli studenti indipendenti fosse stata presa da qualcuna delle principali forze politiche e dai loro leader, che, ricevendo il voto che è stato dato loro dal popolo sono obbligati a lavorare per realizzare le richieste del popolo, ma poiché non l'hanno fatto, abbiamo deciso di intraprendere noi questo passo", dice Dugoli. L'iniziativa, comunque, viene dopo il tentativo degli studenti di dare il via a proteste di massa già a partire dal 1° settembre, quando gli studenti delle scuole superiori, insieme ai loro professori e genitori, con i quaderni e i libri in mano, hanno protestato per 30 minuti davanti alle loro scuole poiché l'attuale governo ha vietato loro di usare gli edifici scolastici. Su iniziativa soprattutto del leader degli albanesi del Kosovo, Ibrahim Rugova, queste protesto sono state "rimandate".

Gli ambienti di qui vicini alla Lega democratica del Kosovo hanno espresso il timore che questa protesta pacifica possa "trasformarsi in qualcosa di completamente diverso", che il regime serbo possa utilmente sfruttarla ai fini della propria campagna elettorale. Queste, e altre simili "raccomandazioni", nel senso che le proteste avrebbero potuto trasformarsi direttamente in un bagno di sangue o in qualcosa di simile, sono state rivolte agli studenti anche dai diplomatici stranieri che in questi giorni hanno soggiornato nel Kosovo.

Del resto, i rappresentanti dell'Unione degli studenti indipendenti dell'Università di Prishtina, nei loro incontri con l'inviato speciale dell'USA per la Bosnia Robert Gelbard, e successivamente con Nicholas Hill (secondo segretario dell'ambasciata USA a Belgrado), nonché con Julian Brightwight (secondo segretario dell'ambasciata britannica a Belgrado), sono stati informati della "sella sensibilizzazione degli ambienti esteri", che è una delle fasi del piano che gli studenti si sono prefissati. In questo quadro, gli studenti ritengono che per ottenere una tale "eco" sia necessaria anche la preparazione dell'opinione pubblica interna, che rappresenta una componente importante per riuscire a organizzare con successo le proteste pacifiche. A tale fine, Albin Kurti, membro della presidenza dell'Unione degli studenti, in particolare, ha intensificato i contatti diretti con gli studenti che si organizzano nelle varie facoltà: "Nel corso di questi incontri gli studenti hanno espresso la decisione di tenere le proteste. Per quanto riguarda la scena internazionale, vogliamo informare e invitare come osservatori organizzazioni governative e non governative, associazioni, ambasciate e i media internazionali. La presenza internazionale è una condizione importante per il successo delle proteste e allo stesso tempo per evitare una loro escalation, perché si potrebbe verificare una situazione fuori controllo se la polizia interverrà contro i manifestanti pacifici e questi tipi di intervento, di norma sono brutali quando non vi è la presenza di osservatori esteri", spiega Kurti.

A quanto pare agli studenti è rimasto poco tempo per elaborare, come dicono loro stessi, una questione importante e di grande responsabilità: la strategia di organizzazione della protesta. Ci "penserà" il Consiglio organizzativo composto da 9 membri - cinque studenti e quattro professori. I nomi dei membri del Consiglio organizzativo non sono stati resi pubblici.

Nella conferenza stampa che gli studenti hanno organizzato in questi giorni, è stata sottolineata la decisione di formare dei consigli organizzativi a livello di facoltà. "I consigli saranno composti da cinque membri, dei quali tre saranno studenti e due insegnanti", hanno spiegato durante l'incontro con i giornalisti. A chi si lamentava del fatto che anche in questo caso ci fossero ingerenze "esterne", Muhamet Mavraj, presidente del Parlamento dell'Unione degli studenti ha risposto aspramente: "Gli studenti non sono la marionetta di nessuno". In ogni caso, gli interessati non sono molto informati in merito alle modalità e alla strategia delle proteste studentesche. Le risposte sono state brevi. Tuttavia, alla domanda su quanto sarebbero durate le proteste, Mavraj ha detto: "Le proteste termineranno quando le nostre domande verranno soddisfatte, e se anche una sola università rimarrà non liberata, per quanto ci riguarda, continueremo le proteste".

Una novità nella strategia adottata dall'Unione degli studenti è rappresentata dall'appello, rivolto a tutti gli studenti, a passeggiare la sera lungo il corso di Prishtina, che, detto per inciso, è semivuoto ormai da anni. C'è già stato chi ha risposto alla chiamata. Ogni sera, in grande silenzio, per la via principale della città kosovara passeggia almeno un migliaio di studenti albanesi, accompagnati da poliziotti dall'occhio attento e con il manganello pronto. Mentre gli studenti cominciano a disperdersi, i poliziotti controllano i documenti di quelli che "sono rimasti indietro". Tutto questo qui viene interpretato come un tentativo di incutere paura.

Nel frattempo, il Consiglio per l'organizzazione della protesta a livello di Università ha reso pubblica la piattaforma per la realizzazione della protesta, nella quale si dice che si prevede il regolare inizio dell'anno accademico, ma che i programmi scientifico-educativi dovranno tenere conto delle proteste e della loro durata.

I circoli politici influenti del Kosovo esprimono la paura che le proteste pacifiche mirate a ottenere il diritto all'uso degli edifici scolastici possano facilmente trasformarsi in proteste con richieste politiche. E' ancora fresco il ricordo delle dieci domande che all'inizio dell'anno gli studenti hanno indirizzato al leader degli albanesi del Kosovo, Rugova, sette delle quali erano di natura politica; tra le altre cose si richiedeva la convocazione del parlamento kosovaro [non si è mai riunito dalla sua elezione nel 1992 - n.d.t.] e la nomina di Adem Demaqi a suo presidente. Gli studenti, a dire il vero, quella volta si erano distanziati da quella che era l'iniziativa di alcuni singoli e hanno promesso di "comportarsi correttamente". Ma la parola che allora hanno dato, verrà mantenuta oggi anche da altri, quando cominceranno le manifestazioni?

(da "Vreme", 27 settembre 1997)