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![]() IL GIORNO DELLA CAMICIA BIANCA di D. Anastasijevic e Z.B. Nikolic L'ondata di proteste studentesche in Kosovo è diretta sia contro l'autocrazia serba che contro le apatiche politiche di Rugova. [...] Le autorità serbe non sono le uniche che hanno guardato con preoccupazione ai preparativi degli studenti [per le ultime manifestazioni]. I leader della Lega Democratica del Kosovo (LDK), guidata da Ibrahim Rugova (che è stato il leader incontestato del Kosovo negli ultimi sette anni) hanno guardato ai manifestanti con una trepidazione di pari intensità. Nel settembre dell'anno scorso, Rugova ha firmato con Slobodan Milosevic un accordo relativo al ritorno degli albanesi alle scuole e alle facoltà. Tuttavia, l'accordo non è mai stato applicato, a causa soprattutto, come si sostiene qui, delle difficoltà internazionali e delle ostruzioni create dalle autorità serbe, nonché per tutta una serie di altre circostanze. Prima di tutto, la comunità internazionale, dalla quale Rugova si aspettava l'esercizio di pressioni su Milosevic, era troppo indaffarata con l'applicazione degli Accordi di Dayton per prestare attenzione a questo problema; in secondo luogo, il responsabile del Gruppo Albanese per i Negoziati, Dzavit Ahmeti, che era anche consigliere di Rugova per l'educazione, è morto in un incidente automobilistico... Nel frattempo, è cominciato a sembrare che il problema dell'educazione, che come ogni altro problema nel Kosovo è di natura statale, non potrà essere risolto fino a quando non verrà raggiunto un accordo più generale sullo statuto del Kosovo in relazione alla Serbia e alla Federazione Jugoslava. Tuttavia, gli studenti non erano preparati ad aspettare così a lungo. Il primo attacco al monopolio di Rugova sulle decisioni politiche si è avuto nel maggio di quest'anno, quando la leadership dell'Unione degli studenti albanesi è stata all'improvviso sostituita. La nuova presidenza, guidata da Bujar Dugoli, si è dimostrata molto meno pronta a prestare orecchio alle esortazioni di Rugova alla pazienza e alla tolleranza. Gli studenti ne hanno abbastanza di esami e seminari condotti in capannoni, cantine e appartamenti privati, senza nemmeno le minime condizioni indispensabili e così hanno cominciato a circolare voci sulla necessità di scendere nelle strade. Il problema è che in Kosovo tutti i sommovimenti degli studenti verificatisi nel corso degli ultimi trenta anni hanno sono regolarmente terminati in spargimenti di sangue. L'ultima volta, nel 1991, ci sono stati almeno otto morti a Djakovica. Mettendo in guardia dai pericoli di attentati con bombe e conscio del fatto che la comunità internazionale non avrebbe fornito nessun supporto ad alcun tipo di rivolta generale da parte degli albanesi, Rugova ha continuato a esortare alla pazienza. DOV'E' IL DENARO: Queste esortazioni avrebbero avuto ben altro peso se Rugova fosse riuscito a ottenere qualcosa di più di una firma di Milosevic su un accordo che, in ogni caso, è molto poco chiaro. Oltre a ciò, la sua posizione all'interno del movimento albanese per un Kosovo indipendente è stata oggetto di attacchi provenienti simultaneamente da due parti: da un lato, Adem Demaqi, leader del piccolo Partito Parlamentare, il "Mandela del Kosovo", che ha passato più di un quarto della sua vita in prigione, è stato più duro che mai nell'esprimere le sue ambizioni in relazione alla gestione del movimento. Allo stesso tempo, Bujar Bukosi, che dirige il Governo del Kosovo in esilio, ha cominciato ad attaccare i "metodi alla Ghandi" di Rugova dalla Svizzera, chiedendo una maggiore resistenza contro "gli occupanti serbi". L'incapacità di Rugova di spiegare la comparsa della misteriorsa "Armata di Liberazione del Kosovo", che negli anni recenti si è assunta la responsabilità di una serie di attacchi contro la polizia serba e del tentato assassinio del decano "legale2 dell'Università, Papovic, ha ulteriormente intaccato la sua credibilità. Infine, la scandalosa scoperta da parte di Koha Ditore, del fatto che milioni di marchi tedeschi raccolti con le "tasse patriotiche" versate dagli albanesi del Kosovo sono finiti nelle tasche di numerosi consulenti di Rugova, portano molti a riconsiderare il modo in cui lo stato parallelo albanese è stato gestito. LE QUOTAZIONI DI DEMAQI: Nessuno di questi fattori, preso singolarmente, sarebbe stato sufficientemente grave da mettere in questione il ruolo incontestato della LDK, che, con l'aiuto della "macchina" del partito, continua ad avere una salda presa sui villaggi albanesi. Nelle città, però, la protesta degli studenti ha cominciato ad agire come un catalizzatore di tutti coloro per i quali il monopolio che Rugova detiene sull'adozione delle decisioni comincia a sembrare altrettanto insopportabile delle sopraffazioni delle autorità serbe. Gli studenti hanno portato il loro entusiasmo e la loro decisione nel moribondo nodo del Kosovo, suscitando negli altri la speranza che qualcosa dopo tutto possa essere cambiato. Così, fin dall'inizio delle marce, le sue quotazioni hanno cominciato a salire, mentre quelle di Rugova hanno cominciato a calare. Allo stesso tempo, Bukosi ha cominciato a criticare l'indecisione di Rugova in maniera più netta attraverso la televisione via satellite trasmessa da Tirana. Il contrattaco del Presidente della LDK è cominciato venerdì 26 settembre, cinque giorni prima dell'inizio ufficiale della protesta. In occasione di una delle regolari conferenze stampa che si tengono presso il centro del partito, Rugova, che perfino nelle precedenti conversazioni con i rappresentanti degli studenti non aveva espresso entusiasmo per la loro idea, ha rivolto agli studenti un appello a posporre le loro dimostrazioni almeno fin a dopo il secondo turno delle elezioni presidenziali in Serbia. Gli studenti hanno risposto in una maniera non molto diplomatica, dicendo di non essere "un'organizzazione politica" e che, di conseguenza, non si sentivano obbligati a prestare ascolto ai leader politici, nemmeno a Rugova. Una tale risposta ha scosso alle sue radici la scena politica albanese del Kosovo, nella quale è il principio patriarcale della subordinazione che definisce in larga parte le regole del gioco. L'inimmaginabile è successo: il padre della nazione ha esortato i "figli" ad ascoltare e loro gli hanno risposto di farsi gli affari suoi e di lasciarli stare. IL RUOLO DEL FATTORE ESTERO: E' diventato chiaro che il periodo degli scherzi è passato. A Belgrado, il Responsabile della Missione americana, Richard Miles, si è incontrato "in privato" con Milosevic per indagare sulla possibilità di neutralizzare le proteste programmate, facendo alcune concessioni rispetto alle richieste degli studenti. Da quanto è filtrato, Miles si è sentito rispondere che anche la minima concessione in questo momento porterebbe praticamente Seselj al potere in Serbia, ma che dopo le elezioni sarebbe stato possibile fare qualcosa. Poiché questo argomento è suonato decisamente convincente, Miles e gli altri membri della comunità internazionale sono stati costretti a prenderne atto. Così, a un certo punto, tutti - Milosevic, Rugova e le più potenti nazioni del mondo - hanno trovato un obiettivo comune: posporre le proteste studentesche e mantenere lo status quo per almeno un po' di giorni. Il risultato della creazione di questa "coalizione senza scrupoli" si è visto lunedì 29 settembre, quando l'aeroporto di Prishtina ha visto l'arrivo di un aereo pieno di un carico diplomatico di grosso calibro. A capo della cosiddetta Delegazione Unificata per il Kosovo c'era Richard Miles, Capo della Missione americana a Belgrado, seguito dall'olandese Ian Sezu, in rappresentanza della Presidenza dell'Unione Europea, dall'ambasciatore britannico Ivor Roberts, da quello canadese Raphael Gerard, da quello polacco Slavomir Dabrova e da dieci altri attaché, primi segretari e consulenti. Dopo avere parlato con gli studenti hanno tenuto una conferenza stampa nel giardino del Centro Informativo Americano di Prishtina, nella quale Miles e Sezu hanno ammesso che la missione era "leggermente inusuale" (Miles) e perfino "strana" (Sezu), e inoltre che la situazione era "grave" (Miles) ed "esplosiva" (Sezu). Hanno detto che, naturalmente, non potevano negare ad alcuno il diritto di esprimere le proprie rivendicazioni con una protesta pacifica, ma che tuttavia si sentivano in dovere di esprimere la loro profonda preoccupazione per la "scelta dei tempi" delle manifestazioni progettate dagli studenti. Cercando in ogni modo di evitare di dare l'impressione di stare lavorando per Milosevic a Prishtina, Miles e Sezu hanno in particolare sottolineato che l'idea della loro visita non era stata "tramata a Belgrado", ma che il loro viaggio era invece stato ordinato dai rispettivi superiori a Washington e a Bruxelles. Hanno avvisato entrambe le parti di "mantenere la massima allerta" mercoledì, sono saliti sull'aereo e se ne sono andati. Tuttavia, un membro di questa delegazione è riuscito ad ammettere davanti a "Vreme" che gli studenti sembrano "molto decisi" nelle loro richieste e che la comunità internazionale "non ha molto da offrire a Milosevic", ne lo avrà dopo le elezioni, in cambio dell'assenso a lasciare tornare gli albanesi alle scuole e all'università. Lo stesso giorno si è verificata quella che in un primo momento è sembrata una spaccatura all'interno della leadership studentesca: è comparsa un'organizzazione parallela degli studenti, i cui leader hanno richiesto di rimandare le proteste. E' stato presto chiaro che quello che stava accadendo era una pura imitazione del Movimento Indipendente degli Studenti di Nemanja Djordjevic, con l'eccezione che a Belgrado era il SPS (Partito Socialista Serbo) che stava dietro l'organizzazione, mentre qui era la LDK (l'equivalente albanese di Djordjevic è un cugino di Rugova). Ancora una volta è apparso con chiarezza che i partiti attualmente al governo nei territori della ex-Jugoslavia, nonostante le "insormontabili differenze etniche, religiose e culturali" compiono tendenzialmente le stesse mosse (di norma quelle sbagliate) quando si ritrovano in situazioni simili. [...] (da "Vreme", 6 ottobre 1997)
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