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TRE DECENNI DI DIMOSTRAZIONI NEL KOSOVO

[Prima parte]

di Denisa Kostovic*

Tutti i nessi che collegavano serbi e albanesi sono stati cancellati. Il territorio rimane l'ultimo seme della discordia. Ma se vi è qualcosa di positivo in tutto questo, è il fatto che tutte le carte sono sul tavolo, ora. Siamo testimoni dello scontro tra due progetti nazionali non conciliabili. E' più chiaro del giorno che nessuno dei due è realizzabile...

Il problema del Kosovo è stato con noi e rimarrà con noi. Come con ogni altro problema che si cerca di non vedere, per poi fare qualcosa tanto per fare qualcosa, facendo finta che sia stato risolto una volta per tutte, anche questo problema non dà scampo a chi ha cercato in ogni modo di sfuggirvi. Torna sempre ostinatamente in primo piano e ogni volta è più grosso di prima. Anche il problema del Kosovo è più grande di quanto non sia mai stato in passato. La questione del controllo su questi 10.887 chilometri quadrati rimane sullo sfondo di un porblema molto più grande: la questione delle relazioni tra serbi e albanesi, che sono divisi dalle loro differenze nazionali, ma che, poiché condividono lo spazio in cui vivono sono costretti a imparare a vivere con coloro che sono differenti. Gli eventi che hanno scosso il Kosovo negli ultimi tre decenni dimostrano che il problema è diventato di tale entità che perfino il più grande ottimista non oserebbe pensare di poterlo risolvere. Tutti i nessi che collegavano serbi e albanesi sono stati cancellati. Il territorio rimane l'ultimo seme della discordia. Ma se vi è qualcosa di positivo in tutto questo, è il fatto che tutte le carte sono sul tavolo, ora. Siamo testimoni dello scontro tra due progetti nazionali non conciliabili. E' più chiaro del giorno che nessuno dei due è realizzabile. La contraddizione potrebbe in realtà rendere più facile individuare una soluzione. 1968: due giorni prima di due feste nazionali, una di quella che allora era la Repubblica Federativa Socialista di Jugoslavia (RFSJ), l'altra dell'Albania (il Giorno della Repubblica e il Giorno della Bandiera, rispettivamente), il 27 novembre 1968, diverse migliaia di studenti albanesi sono scese nelle strade di Prishtina e in molte altre città del Kosovo. Cantavano: "Vogliamo la repubblica", "Vogliamo la costituzione", "Vogliamo l'Università", "Vogliamo la bandiera nazionale", "Basta con la politica colonialista nei confronti del Kosovo", "Lunga vita all'Albania", "Lunga vita a Enver Hoxha", "Un popolo, uno stato, un partito", "Lunga vita al marxismo-leninismo". Si sono scontrate con la polizia lo stesso giorno. Sono cominciate le sommosse. Sono state rotte vetrine di negozi e rovesciate automobili. Un dimostrante è stato ucciso, e circa quaranta dimostranti e membri delle forze di sicurezza sono stati feriti. Ventidue persone sono state arrestate. Si è trattato della prima protesta nazionale di massa degli albanesi nella SFRJ.

Il pubblico ha ricevuto solo un'informazione molto limitata su queste dimostrazioni, proveniene dal Comitato provinciale del Partito Comunista. L'allora presidente della SFRJ, Josip Broz Tito, ne ha inoltre sminuito l'importanza, affermando che non dovevano essere eccessivamente "drammatizzate". Anche Tirana è stata moderata. L'unico segno di solidarietà proveniente dall'Albania è stata l'affermazione che le dimostrazioni erano un "nobile atto". Quello stesso anno, l'Albania aveva lasciato il Patto di Varsavia dopo l'invasione sovietica della Cecoslovacchia, compiendo una svolta nella sua politica estera. Aveva garantito alla SFRJ che la avrebbe aiutata nel caso si fosse verificata un'invasione, un fatto senza precedenti.

Le dimostrazioni di novembre sono state uno dei principali argomenti di discussione dei Comitati Centrali del Partito Comunista a tutti i livelli. Le condanne delle dimostrazioni si sono limitate alla valutazione del loro carattere come "ostile e antijugoslavo". Gli slogan che si riferivano alla vicina Albania o al comunismo di Enver Hoxha erano quelli maggiormente sospetti. L'organizzazione delle dimostrazioni è stata in quell'occasione ascritta a una minoranza di estremisti e sciovinisti che erano contro la fratellanza e l'unità del popolo lavoratore della Jugoslavia. I comunisti albanesi hanno ripetuto che avrebbero continuato sulla "strada di Tito". I processi contro gli arrestati non sono stati coperti da media, per non rinfuocare le polemiche.

I dibattiti relativi al nuovo profilo costituzionale del Kosovo erano già progrediti di molto nelle commissioni costituzionali, dal livello federale giù fino a quello provinciale. Due giorni dopo il Plenum di Brioni e la caduta di Aleksandar Rankovic, il Ministro degli Interni jugoslavo di allora, il cui periodo in carica gli albanesi del Kosovo ricorderanno come un periodo di terrore, hanno aperto la strada a una maggiore uguaglianza nel campo dei diritti razionali. Le proteste di massa degli albanesi del Kosovo sono state una chbiara indicazione del loro dinamico risveglio nazionale, ma anche dell'impazienza e del desiderio che l'affermazione nazionale degli albanesi venisse confermata in un modo concreto. E' tuttavia proprio questo che ha fatto sentire i serbi sempre più insicuri e impauriti.

Gli emendamenti costituzionali sono stati adottati nel dicembre 1968 e nel giugno 1971. La Provincia Autonoma di Kosovo e Metohija è diventata la Provincia Socialista Autonoma del Kosovo. Alla Provincia è stata garantita una propria Legge Costituzionale, la quale ha fatto sì che l'autonomia venisse sempre più regolata dalla provincia piuttosto che dalla repubblica (la Serbia) o dalla federazione. Insieme alla sanzione costituzionale dell'esistenza della provincia, è stato rimosso anche il termine di minoranza nazionale, sostituito con il termine di nazionalità, che costituiva un segno di avanzamento simbolico nella sfera dell'eguaglianza nazionale. Il processo della modifica costituzionale è stato coronato dall'adozione della nuova Costituzione della SFRJ il 21 febbraio 1974. Lo stato federale è stato così decentralizzato. Le Provincie sono diventate "elementi costitutivi della federazione", ma sono rimaste allo stesso tempo una parte della Serbia.

La costituzione della SFRJ ha rappresentato un importante avanzamento nella posizione costituzionale del Kosovo all'interno della federazione. Data la composizione etnica della provincia, nella quale gli albanesi erano la maggioranza, essa rappresentava anche la loro affermazione nazionale. Tuttavia, la Costituzione del 1974 non è riuscita a soddisfare gli albanesi e ancor meno i serbi. Gli albanesi avevano chiesto a chiare lettere che il Kosovo divenisse una repubblica e di essere riconosciuti come nazione. I serbi la hanno percepita come una divisione della Serbia in tre parti e come un indebolimento della loro posizione all'interno della Federazione. La promozione dell'autonomia ha portato alla luce il punto cruciale del problema del Kosovo: è emerso come una questione di vincitori e perdenti. Ci sarebbe stata sempre una parte che si sarebbe sentita perdente, serbi o albanesi, a seconda di chi si sarebbe trovato al potere. Nel frattempo il Kosovo ha vissuto un rapido sviluppo economico, soprattutto rispetto al punto in cui si trovava nel 1947. Subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, l'81 per cento di tutti i lavoratori lavorava nelle campagne e solo 16.000 persone lavoravano nel settore industriale. Il livello di analfabetismo raggiungeva il 55 per cento. I funzionari albanesi del Kosovo dicevano che uno "sviluppo spettacolare" si era verificato nella provincia. Era vero, ma solo in alcune sfere.

Il maggiore progresso è stato registrato nel settore dell'educazione. Nel 1979, 307.000 studenti frequentavano le scuole primarie e 74.728 erano iscritti alle scuole superiori. Circa 40.000 studenti a tempo pieno o praziale frequentavano l'Università di Prishtina. C'è stato un aumento significativo nel numero di lavori non produttivi. Anche l'amministrazione locale è andata crescendo considerevolmente. Su 178.000 dipendenti, 46.000, ovvero circa un terzo, lavorava in settori non produttivi, mentre solo 132.000 lavoravano in settori produttivi dell'economia.

Tuttavia, anche se si stava sviluppando a un ritmo accelerato, il Kosovo rimaneva irreparabilmente indietro rispetto a tutte le altre aree della SFRJ. Ciò avveniva nonstante il fatto che allo sviluppo della provincia venisse data una priorità speciale, e nonostante il fatto che milioni di dollari provenienti dal Fondo Federale di Sviluppo, ma anche dai crediti per lo sviluppo approvati dalla Banca Mondiale, piovessero sulla provincia. Ci sono state delle spese disproporzionate per progetti spettacolari, che sembravano impressionanti, ma non riuscivano a ridurre la disoccupazione. Il reddito medio annuale pro capita era nella SFRJ di 2.635 dollari nel 1979. Nel Kosovo, ammontava a meno di un terzo di tale cifra, vale a dire a 795 dollari. Gli operai impiegati nella provincia meridionale della Serbia guadagnavano 180 dollari al mese nel 1980, mentre il salario medio nella SFRJ era di 235 dollari, ovvero un terzo di più. La popolazione del Kosovo, che allora rappresentava il 6,8 per cento della popolazione totale della SFRJ, contribuiva con solo il 2,9 per cento del PNL della SFRJ. Lo stesso anno, il Kosovo aveva solo il 2,4 per cento delle automobili della SFRJ e il 2,5 per cento degli apparecchi radio e TV.

Nel periodo tra il 1971 e il 1981, il tasso di disoccupazione nel Kosovo è cresciuto dal 18,6 al 27,5 per cento. Il periodo del dopoguerra è stato contraddistinto da una rapida crescita della popolazione. Dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, il numero degli abitanti del Kosovo è cresciuto da 716.000 a 1.550.000. Questa rapida crescita della popolazione non sorprende, se si pensa che il tasso annuale di nascita è stato del 44 per 1.000. 1981: l'ondata di manifestazioni organizzate dagli albanesi del Kosovo nella primavera del 1981, ma soprattutto le polemiche che vi hanno fatto seguito, hanno dimostrato chiaramente che lo sviluppo intensivo della provincia può anche avere risolto alcuni problemi, ma ne ha allo stesso tempo creati molti di nuovi. La radicale mutazione del quadro etnico della provincia è emersa come una causa aggiuntiva di tensioni ancora più grandi ed emergerà come un fattore chiave nel confronto serbo-albanese nell'ultima parte degli anni '80. Nel periodo compreso tra il 1971 e il 1981 a percentuale della popolazione serba in Kosovo è scesa dal 18,3 al 13,2 per cento, mentre la popolazione montenegrina è scesa dal 2,5 al 1,7 per cento. Oltre a un alto taso di nascita tra gli albanesi del Kosovo, anche l'emigrazione di più di 100.000 serbi e montenegrini dal Kosovo ha alterato il quadro demografico a favore degli albanesi. Gli eventi verificatisi in Kosovo nel marzo e nell'aprile del 1981 sono stati uno shock per il pubblico jugoslavo di allora, ma anche per i leader comunisti. Stane Dolanc, il membro della Presidenza del Comitato Centrale della Lega dei Comunisti della Jugoslavia, ha detto apertamente in occasione di una conferenza stampa davanti a giornalisti locali e stranieri (6 aprile 1981) di essere sorpreso dalla "intensità" delle dimostrazioni in Kosovo. I giornalisti, così come il pubblico hanno avuto una ragione aggiuntiva per essere sorpresi. A parte una breve notizia durante l'ultimo telegiornale della sera del 12 marzo, nella quale si diceva che "sommosse studentesche, definite "socialmente dannose", si erano svolte in Pristina e poche righe in fondo alla pagina il 2 aprile, non ci sono stati reportage dal Kosovo - né alla televisione, né alla radio o sui giornali. Il pubblico è venuto a sapere degli eventi "oralmente". Correvano voci secondo le quali nel Kosovo era scomparsa la guerra. La conferma delle voci secondo cui la situazione in Kosovo era grave sono stati i titoli dei giornali del 3 aprile, nel quale si riferiva di un dibattito dell'Attivo Politico del Kosovo, riguardante le misure per la stabilizzazione nel Kosovo stesso. In altre parole, solo dopo che tutto era finito, il pubblico è venuto a sapere che nel Kosovo si stava verificando una "controrivoluzione", senza nemmeno potere sapere cosa effettivamente era accaduto sul posto. Il rapporto ufficiale sulle dimostrazioni è stato pubblicato alla fine di aprile.

CONDIZIONI, CONDIZIONI: Dall'11 marzo, quando sono scoppiate le prime rivolte nella mensa studentesca di Prishtina, il Kosovo è stato percorso da ondate di dimostrazioni. Una causa diretta della protesta dei giovani albanesi erano il cattivo cibo e il malcontento generale per i livelli di vita degli studenti. Gli studenti urlavano: "Condizioni, condizioni!". Gli stuedenti si sono riversati in massa nelle strade della capitale provinciale. Il numero dei dimostranti è cresciuto fino a 2.000. Ci sono stati scontri con la polizia, ma la situazione è andata calmandosi più tardi la sera.

La successiva ondata di dimostrazioni è cominciata il 26 marzo, lo stesso giorno Pristina aspettava l'arrivo del Bastone della Gioventù in onore del compleanno di Tito. Gli studenti si sono radunati nel campus e si sono indirizzati verso il centro della città. Sono stati fermati da un cordone di polizia e si sono nuovamente scontrati con la polizia. Ventitre dimostranti e tredici poliziotti sono rimasti feriti. Ventuno dimostranti sono stati arrestati.

La terza ondata di dimostrazioni, quella del 1 aprile, è stata la più massiccia e si è diffusa in tutta la provincia. Agli studenti dell'università si sono aggiunti i colleghi più giovani delle scuole superiori, lavoratori e altri cittadini. Le prime unità dell'Armata del Popolo Jugoslava (JNA) sono entrate nella città nell prime ore della sera. Sono stati usati lacrimogeni per disperdere i dimostranti. I rapporti ufficiali dicono che i dimostranti hanno lanciato pietre e sparato contro le forze di sicurezza, ma anche che la polizia ha usato armi da fuoco "per autodifesa". Otto dimostranti sono morti, settantacinque sono stati feriti, 55 dei quali per ferite d'arma da fuoco. Un poliziotto è stato ucciso, tre sono rimasti gravemente feriti e 125 hanno subito leggere ferite (successivamente è stato comunicato che due poliziotti hanno perso la vita). Il rapporto ufficiale dice anche che le cifre menzionate sopra si basavano sulle persone presentatesi nelle cliniche per cercare assistenza. Ciò significa che il numero dei feriti e, probabilmente, anche il numero dei morti, è stato decisamente maggiore. In Kosovo è stato proclamato lo stato di emergenza.

Le proteste degli albanesi del Kosovo e le richieste di migliori condizioni socio-economiche si sono presto trasformate in rivendicazioni nazionali. Come nelle dimostrazioni del 1968, nel 1981 si sono sentiti i seguenti slogan: "Vogliamo la repubblica", "Siamo albanesi, non jugoslavi", "Kosovo ai kosovari", "Mentre Trepca lavora [il gigantesco complesso minerario-metallurgico intorno al quale ruota l'intera economia del Kosovo - n.d.t.], si costruisce Belgrado", "Vogliamo gli amici imprigionati", "Lunga vita ad Adem Demaqi", "Lunga vita alla fratellanza del popolo albanese", "Lunga vita al marxismo-leninismo". Questa volta sono stati seguiti da slogan con un chiaro significato sociale ed economico: "Alcuni siedono nelle loro poltrone, altri sono senza pane", "Per quanto ancora nelle cantine?", "Nessuna discussione con la borghesia rossa", "Lunga vita alla classe lavoratrice".

LA FUSIONE: La giovane generazione degli albanesi del Kosovo, che rappresentava il 52 per cento della popolazione della provincia, ha espresso insoddisfazione per la situazione generale del Kosovo. Diecimila diplomati dell'Università del Kosovo non possono sperare di trovare alcun lavoro dopo avere completato i loro studi, per non parlare poi di lavoro nel loro campo di specializzazione. Per esempio, quaranta laureati hanno fatto richiesta di assunzione per un posto come corriere. Trovare impiego in altre repubbliche della Jugoslavia non era possibile, soprattutto per le barriere linguistiche, ma anche perché le repubbliche ritenevano il livello di competenza dei laureati albanesi del Kosovo inadeguato. Le rivendicazioni sociali si sono fuse con le rivendicazioni nazionali. Nondimeno, si è trattato di una protesta dalle svariate dimensioni, che la risposta dei comunisti ha comunque ridotto a un'unica dimensione: quella ideologica.

Le dimostrazioni sono state proclamate una "controrivoluzione". Questo termine sta a indicare l'attacco a tutto quanto è jugoslavo: la fratellanza e l'unità, l'autogestione, il non-allineamento, ma anche l'integrità territoriale. Le prime valutazioni provenienti dagli ambienti comunisti parlavano di "elementi ostili" in Kosovo. Tirana non è stata subito accusata. Gli studenti veniva definiti, con tono di scusa, come "gioventù sviata". Tutto però è andato a cristallizzarsi nel giro di una notte. Due momenti sono stati decisivi. Due momenti sono stati decisivi. A differenza della reazione dell'Albania di fronte alle dimostrazioni degli albanesi del Kosovo svoltesi nel 1968, l'organo del Partito del Lavoro Albanese, "Zeri i Popullit" ha reagito agli eventi del Kosovo nei primi giorni di aprile. Ha condannato con decisione la brutalità nella soppressione delle dimostrazioni, appoggiando apertamente le richieste per una repubblica del Kosovo e indirizzando le sue critiche contro la leadership serba. La stampa statale della SFRJ, ma anche i discorsi pronunciati dai leader comunisti della Jugoslavia, della Serbia e del Kosovo, hanno lanciato un controattacco. E' cominciata così la "guerra di parole" tra la SFRJ e l'Albania, che sarebbe durata per i successivi dieci anni, anche dopo la morte di Enver Hoxha. Ne è seguito un raffreddamento delle relazioni jugoslavo-albanesi, ma non la rottura delle relazioni economiche. L'Albania è stata accusata di interferenza negli affari interni della SFRJ, di tentare di sovvertire la sua stabilità cooperando con gli emigrati che si trovavano in Occidente, ma anche con i gruppi marxisti-leninisti in Kosovo. L'Albania ha respinto tutte queste accuse, ma ha continuato a fornire sostegno alle rivendicazioni nazionali degli albanesi nel Kosovo. La risposta del giornale albanese è venuta nel momento giusto, quando si era alla ricerca di un colpevole. E' stato identificato un nemico. Era un nemico straniero. Mancava un nemico interno.

UNIVERSITA': Il dito era puntato sull'Università del Kosovo. Alla sessione del Consiglio di Difesa Nazionale del Parlamento Federale, il Segretario Esecutivo del Comitato Centrale della Lega Comunista della Jugoslavia, Milan Daljevic, ha criticato i professori e gli accademici per avere mancato di condannare le dimostrazioni e ha dichiarato l'Università di Prishtina un "bastione del nazionalismo". Poi è venuta una valanga di notizie sul fatto che l'Università non era un'istituzione di studi superiori, ma un centro per l'indottrinamento dei giovani. I giornali erano pieni di repotage sulle presunte ovazioni che i professori esterni provenienti dall'Albania ricevevano in Kosovo, sui libri di testo ideologicamente colorati ecc. Piccoli articoli nei quali si informava che tutti i professori esterni non venivano mai lasciati da soli e avevano sempre qualcuno che "teneva loro compagnia" mentre si trovavano in Kosovo, oppure che tutti i libri di testo importati dall'Albania venivano sottoposti innanzitutto a un attento esame prima di essere utilizzati nella provincia venivano ignorati. Da questo momento, l'Università di Prishtina sarebbe stata menzionata esclusivamente come una fonte di nazionalismo.

Le vacanze estive sono cominciate all'Università con due mesi di anticipo. In soli pochi mesi di tempo, 210 professori e lettori sono stati licenziati, 260 hanno ricevuto il divieto di continuare a insegnare nelle scuole superiori e nelle università, mentre 1.240 studenti hanno perso le loro borse di studio. Di quelli che hanno ricevuto pene carcerarie, sette anni in media, ma spesso tra 12 e 15 anni, la maggior parte erano uomini e donne che avevano poco più di venti anni. Il numero degli studenti è stato ridotto di un terzo. Nel 1978 c'erano 17.000 matricole nell'Università di Prishtina, mentre nel 1984 il numero si era ridotto a 11.589. Allo stesso tempo, vi è stato un riorientamento degli studenti dalle materie umanistiche a quelle tecnico-scientifiche, tanto che gli studenti di materie tecniche erano tre volte quelli che studiavano materie umanistiche. La spiegazione ufficiale era quella secondo la quale le esigenze dell'economia andavano armonizzate con le specializzazioni degli studenti. Una tale speigazione non si conciliava però con gli interessi degli studenti albanesi, per i quali le possibilità di studiare la loro lingua e la loro storia venivano in tal modo drasticamente limitate.

Allo stesso tempo, i legami culturali con l'Albania sono stati unilaterlamente troncati. Lo scambio di professori tra le Università di Prishtina e di Tirana è cessato. I libri di testo importati dall'Albania sono stati eliminati dal processo educativo. Sono stati messi a punto piani per la traduzione di libri di testo serbi in albanese. "Rilindja", il quotidiano in lingua albanese pubblicato nel Kosovo, ha smesso di riportare notizie dall'Albania, ivi inclusi i risultati del campionato di calcio albanese. La Televisione di Prishtina ha smesso di trasmettere i programmi importati dall'Albania nell'ambito dell'accordo sulla cooperazione nella sfera culturale.

Un anno dopo, in Kosovo, secondo il rapporto della Segreteria Pronvinciale per gli Affari Interni, sono stati scoperti 33 gruppi illegali, e 350 persone sono state identificate in connessione a questi gruppi. Sono cominciati arresti di massa, licenziamenti dai posti di lavoro e dal partito comunista. E' cominciato allos tesso tempo anche il processo di "differenziazione" o, più semplicemente, le purghe. Più di mille comunisti sono stati espulsi dal partito comunista, ivi inclusi quelli che occupavano alcune tra le più alte posizionei, come Mahmut Bakali. La situazione dal punto di vista della sicurezza è stata valutata come buona. Il "nemico" veniva ancora menzionato. Ma il "nemico" ora agiva in maniera segreta, ricorrendo a metodi scaltri.

Denisa Kostovic

L'autrice è candidata al Ph.D. presso il Dipartimento di Geografia, Cambridge University, Regno Unito. Le fonti utilizzate in questa indagine sugli eventi nel Kosovo dal 1968 al 1990 sono: la stampa estera, la stampa albanese del Kosovo e dell'Albania, i Background Reports di Radio Free Europe/Radio Liberty, così come articoli accademici e monografie pubblicate qui e all'estero e che affrontano vari aspetti del problema albanese.

(da "Vreme", 6 ottobre 1997)