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![]() IL KOSOVO NELLA STORIA JUGOSLAVA di Stefano Bianchini [Riportiamo alcuni brani dal volume "Sarajevo, le radici dell'odio", Edizioni Associate, 1996 (seconda edizione aggiornata), riguardanti la storia del Kosovo all'interno della Jugoslavia] [...] Durante la II guerra mondiale, l'aggressione alla Jugoslavia e la frantumazione di questo paese avevano reso possibile la realizzazione dell'ideale unitario in quanto il Kosovo era stato aggregato all'Albania, sia pure sotto occupazione italiana. Nella nuova regione conquistata, i fascisti assegnarono agli albanesi numerosi poderi già di proprietà di famiglie serbe (per lo più rifugiatesi in altre parti della Jugoslavia o schieratesi con i partigiani di Tito o con i centici di Draza Mihajlovic), con l'obiettivo, in parte conseguito, di riscuotere il consenso schipetaro. In ealtà, si contribuì così a gettare il seme per future, nuove e più profonde tensioni etniche serbo albanesi. Terminata la guerra, infatti, si pose a Tito il delicatissimo e infido problema del ritorno allo statu quo ante proprietario. Un'operazione, questa, che avrebbe potuto essere letta in chiave punitiva anti-albanese, tanto più che serbi e montenegrini del Kosovo - a differenza degli albanesi del luogo - avevano preso parte con entusiasmo alla Resistenza: di conseguenza, ritenevano di potere, e dovere, cogliere i frutti di una vittoria conquistata sul campo vedendo ripristinati i diritti pre-bellici violati. Già dal 1943, invece, il movimento partigiano che faceva capo a Enver Hoxha aveva premuto su Tito, utilizzando canali riservati, perché il Kosovo entrasse a far parte dell'Albania (1). Su questo tema, in precedenza, si era verificata la maggior frattura fra i comunisti albanesi e l'altro movimento di resistenza, l'organizzazione nazionalista Balli Kombetar. I primi, poco numerosi, divisi in otto gruppi e del tutto ininfluenti nel periodo interbellico, avevano comincaito ad organizzarsi a partire dal 1941 con l'aiuto determinante di due inviati di Tito, Dusan Mugosa e Miladin Popovic, traendo il sostengo maggiore nei centri urbani e nel meridione del paese. Gli altri, per lo più repubblicani nonché di tendenze liberali e nazionaliste, si costituirono nel 1942 e, forti di un consenso prevalentemente rurale, inserirono nel proprio programma il mantenimento, nel dopoguerra, dei confini della "Grande Albania" sorta nel 1941. I contatti fra le due formazioni rivali, già difficili per ragioni ideologiche, si interruppero proprio nell'agosto 1943 a Mukaj allorché i comunisti, su pressione jugoslava, non accolsero la proposta di Balli Kombetar di indire nel Kosovo, una volte deposte le armi, un plebiscito sul futuro della regione. Da allora la presenza jugoslava in Albania si fece ancor più consistente, mentre le divisioni scoppiate nel movimento Balli Kombetar spinsero questa organizzazione in parte a fianco dei Tedeschi e in parte a battersi, con l'aiuto dei clan Gheg del Nord, per il ritorno di re Zog. Al contrario, i comunisti presero slancio, diventando presto la forza egemone nella lotta antinazista: una volta, però, assicuratosi il potere nel proprio paese, la questione del Kosovo - la cui soluzione era stata in realtà sospesa a Mukaj - tornò anche per essi, prepotentemente alla ribalta (2). Non poteva essere altrimenti, visto che nel dicembre 1944 il Kosovo era stato epicentro di una insurrezione, sui cui contorni ancora poco è stato detto e scritto. Da frammenti d'informazione ricavati da studi più ampi sembra che, all'avanzare dei partigiani verso la regione, esponenti di Balli Kombetar avessero deciso di organizzare una rivolta, consapevoli di "non avere nulla da perdere" a causa del sostegno da essi effettivamente fornito, assieme a una buona parte della locale popolazione albanese, a fascisti e nazisti. Poiché, inoltre, l'orientamento jugoslavo era quello, all'epoca, di costituire unità slave e albanesi da impegnare congiuntamente in battaglia allo scopo di "riabilitare" i secondi, fu facile ai leader della rivolta Salan Poluza e Adem Voca (la cui famiglia era vicina alla corte di Zog) alimentare le voci secondo cui i serbi, per vendetta, avrebbero inviato gli albanesi a morire nello Srem allo scopo di privarli, in realtà, di moglie e figli, di pascoli e poderi. Sicché, al loro arrivo, i partigiani trovarono un'atmosfera ostile e violenta che presto, a partire da Drenica, si trasformò in un'insurrezione armata di vasta portata. A stento, e solo tra febbraio e marzo 1945, le autorità jugoslave riuscirono a domarla instaurando sulla regione l'amministrazione militare (3). Alla repressione della rivolta presero, comunque, parte anche unità combattenti albanesi, mentre in quei giorni di fuoco perse la vita Miladin Popovic, che nel 143 aveva sollecitato il partito jugoslavo a favorire l'unificazione del Kosovo con l'Albania. Ciò, in sintesi, è quanto la ricostruzione storica ha potuto fino ad oggi accertare, ma non sono mancati neppure studiosi che hanno avanzato l'ipotesi di un interessamento inglese alla vicenda, in relazione al loro coinvolgimento diretto nella guerra civile greca (4). Ad ogni modo, gli eccellenti rapporti stabilitisi tra Belgrado e Tirana, al termine del conflitto - grazie soprattutto alle simpatie filo-jugoslave di un giovane intellettuale e noto comandante partigiano Koci Xoxe, assai vicino a Svetozar Vukmanovic-Tempo, stretto collaboratore di Tito e da questi incaricato di mantenere i contatti con i comunisti albanesi, greci, macedoni e bulgari già nel 1943 - erano parsi preludere ad indediti sviluppi, soprattutto in vista della costituzione di una Federazione balcanica. Anzi, come primo passo distensivo verso Tirana, il leader jugoslavo - a cui non faceva sicuramente difetto il fiuto politico - decise di mantenere immutato lo stato di fatto creatosi in Kosovo durante la guerra, restituendo ai serbi solo parzialmente i poderi loro appartenuti (5). Nel frattempo, come è noto, tra le due capitali balcaniche era stata avviata una complessa e delicata trattativa per stabilire legami reciproci sempre più stretti a compimento di un sogno secolare - quello dell'unità illirica - radicato tanto nella cultura operaia e socialdemocratica slavo-meridionale dell'Ottocento, quanto nella visione degli intellettuali croati del XVI e XVII secolo. Il 20 febbraio 1945 vennero, così, stilati due accordi, un trattato commerciale e un'alleanza militare concepita inizialmente in funzione antitedesca, ma che, più tardi, avrebbe dovuto assumere i contorni di un sistema di difesa comune contro qualsiasi forma di aggressione. I termini di quest'ultimo patto, firmato da Tito e da Smodlaka per la parte jugoslava, non sono stati mai resi noti e il testo, che avrebbe dovuto essere custodito nell'Archivio di Tito, non è stato ritrovato. Tuttavia, da alcune testimonianze parrebbe che, con esso, Belgrado si fosse assunta il compito di garantire di fatto l'indipendenza dell'Albania, inviando istruttori militari e civili, nonché armamenti. In tal modo, Tito fornì una rassicurazione al governo di Tirana, preoccupato per le polemiche elleniche - rinfocoloatesi proprio in quei giorni - contro i "vassalli albanesi" di Mussolini che avevano partecipato all'attacco alla Grecia dell'ottobre 1940. Grazie, invece, all'accordo commerciale la Jugoslavia si assicurava i surplus di prodotti petroliferi, nafta, olio e lana accordando in cambio all'Albania, per un valore corrispondente, grano, mais e zucchero, trasportati via Struga e Ohrid. Nel febbraio 1946 il V plenum del Comitato centrale del partito comunista albanese espresse pieno assenso ad un rafforzamento delle relazioni con la Jugoslavia e pochi mesi dopo Enver Hoxha si recò a Belgrado, dove si trattenne dal 23 giugno al 2 luglio 1946 e discusse con Tito sia delle relazioni bilaterali, sia di federazione balcanica. Nella capitale jugoslava firmò pure un accordo di collaborazione economica (1° luglio 1946), in cui si prevedeva la creazione di società per azioni miste per lo sfruttamento comune di materie prime (petrolio e minerali), per la costruzione di ferrovie, per l'elettrificazione del paese, la navigazione marittima, i rapporti di export-import e la creazione di una banca comune. Al suo ritorno a Tirana, il 6 luglio, Hoxha sottoscrisse un altro trattato di amicizia e di mutuo soccorso con la Jugoslavia in cui si confermava l'aiuto militare reciproco in caso di aggressione da parte di paesi terzi (art. 3). Un passo significativo verso l'integrazione tra i due paesi avvenne, comunque, alcuni mesi più tardi, poco prima che in Jugoslavia entrasse in vigore un ambiziosissimo piano di sviluppo quinquennale: il 27 novembre 1946, infatti, Boris Kidric e Nako Spiru firmarono a Belgrado un nuovo trattato sul coordinamento delle rispettive pianificazioni. L'accordo prevedeva, tra l'altro, la creazione di un'unione doganale e l'unificazione delle valute nel giro di tre mesi. Stabiliva, inoltre, l'avvio di una riforma monetaria comune. In questo fervere di attività, la questione del Kosovo non poteva certo essere confinata ai margini. Purtroppo, per l'estrema delicatezza del problema, per le sensibilità che esso solleva e per gli incerti destini balcanici degli anni Novanta, la documentazione archivistica in argomento non è ancora disponibile allo studioso. Molte vicende di quell'epoca attendono, quindi, di essere chiarite. A suo tempo, però, Hoxha, in un libro di memorie del 1982, si era soffermato sull'incontro avuto con Tito all'inizio dell'estate 1946 allorché discussero dei futuri destini del Kosovo. Secono il leaderalbanese, dunque, il maresciallo jugoslavo avrebbe, in quell'occasione, espresso l'opinione che sarebbe stato possibile giungere ad una soluzione non traumatica di quel nodo controverso solo nell'ambito della Federazione balcanica. Hoxha avrebber preferito invece considerare il problema come disgiunto dalla costruzione di uno Stato comune tra Belgrado e Tirana. Alcuni anni dopo, nel 1989, il settimanale belgradese NIN era ritornato sull'argomento sostenendo la fondatezza delle affermazioni di Hoxha. Sembra, infatti, che esista un verbale dell'incontro - peraltro non ancora reso pubblico - in cui si ventila la possibilità di una cessione del Kosovo all'Albania una volta costituita la federazione jugo-albanese. Allo stato attuale delle conoscenze non si può neppure escludere che il mutamento radicale delle posizioni di Hoxha verso la Jugoslavia, dopo la rottura con l'URSS nel giugno 1948, sia stata dettata - oltre che dal desiderio di liberarsi di una tutela percepita come troppo ingombrante, nonché di alcuni avversari politici come, appunto, il Xoxe - anche dalla speranza di ottenere dai sovietici il Kosovo come premio per la fedeltà di Tirana, dando Hoxha probabilmente per scontata la caduta di Tito. Del resto, le relazioni bilaterali jugo-albanesi avevano cominciato a deteriorarsi nella seconda metà. del 1947, in seguito ad un viaggio a Mosca compiuto in luglio da Hoxha. Da allora, infatti, la penetrazione sovietica in Albania si era intensificata celermente, mentre una sorda lotta politica aveva diviso i vertici del partito albanese. La corrispondenza fra Tito e Hoxha del marzo-maggio 1948 - parallela non solo cronologicamente, ma perfino per argomenti, metodo e linguaggio a quella fra Tito e Stalin - aiuta poco a capire le ragioni reali e profonde del dissidio jugo-albanese, al punto di rafforzare il sospetto che, esattamente come per il carteggio Mosca-Belgrado, altre e non confessate ragioni fossero alla base del contendere Tirana-Belgrado. Fra queste, forse, il destino del Kosovo. E' un fatto, comunque, che proprio il conflitto Tito-Stalin del 1948, guastando da allora in poi i rapporti tra Belgrado e Tirana, si sia riflesso negativamente sulla popolazione albanese del Kosovo che non a caso - negli anni Cinquanta - si vide negati i margini di autonomia regionale inclusi nella Costituzione jugoslava del 1946, di evidente ispirazione "stalinista". Lo stesso delfino di Tito, il serbo Aleksandar Rankovic, a cui spettò il compito - dopo il 1948 - di sventare provocazioni sovietiche in territorio jugoslavo, si sentì probabilmente da ciò indotto a tenere sotto controllo la popolazione albanese schedandola in massa, come si venne a sapere allorché, nel 1966, egli fu allontanato dal potere. La riconquistata, amplissima, autonomia del 1968-1974 e, quindi, la richiesta albanese del 1981 compendiata dallo slogan "Kosovo-Repubblica" fino alla reazione nazionalista serba e all'annullamento dell'autonomia del Kosovo nel 1989 trarrebbero, dunque, la loro origine più recente proprio dal mancato compromesso tra questione nazionale e integrazione balcanica, che pure si era profilato nell'immediato secondo dopoguerra. Insomma, il progetto di Federazione balcanica - delineato in una congiuntura politica internazionale decisamente avversa, soprattutto, anche se non solo, per l'incipiente, e poi sempre più profonda, contrapposizione Est-Ovest - conteneva in nuce un tentativo di profonda ridefinizione territoriale dell'area, secondo criteri che avrebbero dovuto consentire lo scioglimento di vari contenziosi e, dunque, non solo quello del Kosovo. [...] ----------------------------------------------------NOTE: (1) Si veda, ad es., la lettera di Tito a Hoxha del 2 dic. 1943, pubblicata nella raccolta documentaria a cura del Ministero Federale degli Affari Esteri, Dokumenti o spoljnoj politici SFRJ 1941-1947 (Documenti di politica estera della Repubblica socialista federativa della Jugoslavia), Jugoslovenski pregled, Beograd, 1985, d'ora innanzi DSP, 1941-1945, I, 251. (2) Sui difficili rapporti tra partigiani jugoslavi e albanesi già nel 1943 a causa di problemi nazionali si v. la lettera di Vukmanovic Tempo al comandante di battaglione Haxhi Lleshi del 1° ottobre in DSP, 1941-1945, I, 251. (3) V. la lettera dei comitati distrettuali per il Kosovo e la Metohija al Comitato Provinciale del Partito comunista della Jugoslavia pubblicata da Vladimir Dedijer nel suo Novi prilozi..., III tomo, pp. 180-181. (4) Due valutazioni diverse della vicenda sono quelle di Branko Petranovic, in Balkanska Federacija, p. 99 e Branko Horvath, Kosovsko pitanije (La questione serba), Globus, Zagre, 1989, p. 77. V. anche Spasoje Djakovic, Sukobi na Kosovu (Conflitti in Kosovo), Narodna Knjiga, Beograd, 1984. (5) Rinvio sulla questione al mio Tito, Stalin e i contadini, p. 83. Per quanto riguarda invece le missioni di Tempo nel cuore dei Balcani (per il coordinamento dei partiti comunisti locali in vista della creazione di una Federazione) si v. le sue memorie, ricche di rivelazioni, in Svetozar Vukmanovic Tempo, Revolucija... (6) Archivio Josip Broz Tito, KMJ, I-3-6/11. Sull'alleanza militare si v. Josip Smodlaka, Partizanski Dnevnik (Diario partigiano), Beograd, 1972, pp. 262-263. (7) Cfr. Enver Hoxha, The Titoistes. Historical Notes ediz. "8 Nentori", Tirane, 1982; Branko Petranovic, Balkanska Federacija..., cit., pp. 156 ss. e Petar Stojanovic, Kosovo na poklon (Il Kosovo in regalo), in "NIN", 14 maggio 1989, pp. 24-27. (8) Sulla corrispondenza e sui rapporti jugo-albanesi cfr. Branko Petranovic, Balkanska federacija, cit. pp. 164-174; Stefano Pollo e al. The History of the Socialist Construction of Albania, 8 Nentori, Tirane, 1988, pp. 96-105 e il vol. di memorie del viceministro della difesa albanese (fuggito poi in Jugoslavia il 17 maggio 1957), Panaiot Pljaku, Nasilje nad albanskom revolucijom (Tirannia sulla rivoluzione albanese), Narodna Knjiga, Beograd, 1984, pp. 68-71. (9) Cfr. Nicholsa Bethell, La missione tradita, Mondandori, Milano, 1985 e, per le preoccupazioni di parte jugoslava, Joze Pirjevec, Il gran rifiuto, Estlibris, Trieste, 1990, pp. 355 ss. e 387-388. (10) A SSIP (Archivio Ministero Federale degli Esteri, Belgrado), P.A., R-276/1, 1953, F-69-II - 418571, 418620, 428625. |