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![]() IDEOLOGIA E STRUTTURA SOCIALE DEGLI ALBANESI DEL KOSOVO di Janet Reineck Va innanzitutto sottolineato che questo documento prende in considerazione la vita della popolazione rurale e delle famiglie di orientamento tradizionale che vivevano nel Kosovo negli anni '80. Un vasto lavoro sul campo compiuto in Kosovo ha portato alla luce che la maggioranza degli albanesi era ancora imbevuta di una retorica di onore e vergogna, nonché delle esigenze dettate dalla "lunga durata". Almeno fino agli anni '90, non vi erano idee proprie solo di alcune famiglie. C'erano principi fatti propri dalle masse della popolazione rurale; va tuttavia anche sottolineato che questo studio prende in considerazione solo gli ideali comportamentali. E' chiaro che ogni famiglia albanese fa delle proprie scelte che possono essere in contraddizione con le voci del passato, e il conflitto, il dissenso e la disfunzione sono anch'essi elementi del tessuto sociale. Nell'interesse della brevità, il presente documento non affronterà questi ultimi aspetti della vita albanese. Infine, l'etnografia descrive le vite degli albanesi musulmani, ma quello che viene riportato vale per la maggior parte anche per gli albanesi cattolici. L'identità personale e collettiva degli albanesi è stata forgiata soprattutto in termini di simboli derivati dal passato. Il regime politico jugoslavo scoraggiava le masse dal derivare la propria identità da un progetto politico contemporaneo. Gli albanesi si sono così affidati alla tradizione come elemento che guida l'individualità. Si sono appropriati della storia come un ricettacolo di valori sacri, antichi, "esclusivamente albanesi": l'onore (ndera), il giuramento (besa), l'ospitalità (mikpritja), la condotta giusta (sjellja) e l'identificazione con il proprio clan (fisi). Il "passato percepito" è stato un qadro a colori tinti della memoria collettiva, raffigurata nei toni del martirio, dell'eroismo, della dignità e del sacrificio, un passato che serve a nobilitare la razza, strutturato in base a un progetto del presente. Gli albanesi si impegnano in quello che Royce ha definito "un processo anestetizzante di ritiro in una personalità che assorbe tutto e dimentica tutto". Le consuetudini vengono considerate valide e indisputabili per il solo motivo di appartenere al passato. La tradizione viene espressa nell'osservanza della stratificazione di età e genere, nella sottomissione alla volontà collettiva, nella restrizione del movimento delle donne al di fuori di casa, nei matrimoni combinati, nei rituali ridondanti per la salute della sposa e i matrimoni e, in alcuni distretti rurali, nel rifiuto dell'educazione secondaria per le ragazze. Anche se l'obbedienza a queste dottrine varia in intensità a seconda delle situazioni, dalla popolazione rurale che vive in famiglie allargate alla classe "elitaria" urbana, è questa serie di atteggiamenti che distingue gli albanesi dalle società confinanti, che si sono distaccate con maggiore completezza dalla presa dei valori e delle consuetudini d'anteguerra. La chiave di queste configurazioni sociali è la persistenza della struttura famigliare allargata patrilocale, che include i genitori, i figli, le mogli e i figli di questi ultimi, nonché le figlie non sposate. Una famiglia rurale tipica (e le famiglie degli immigrati rurali-urbani) è composta da quindici membri, ma non sono rare le famiglie di trenta o più persone che contribuiscono a un'economia comune e che condividono i pasti e il lavoro. Il comportamento è strutturato per favorire l'armonia in queste famiglie allargate. Coerentemente con questo ideale, moltri matrimoni rurali vengono concordati dai genitori o da parenti. In alcune regioni le coppie vengono fidanzate ancora quando sono adolescenti e in alcune occasioni non si incontrano nemmeno prima della sera del loro matrimonio. Un aspetto fondamentale della tradizione albanese è costuito dalla havale - ovvero il semiisolamento delle donne, la restrizione del loro contatto con le persone esterne al gruppo di parentela. Questo isolamento è simbolizzato dal muro del giardino che limita la sua vita domestica, dalla sciarpa e dal soprabito che indossa al di fuori della propria abitazione e, per le donne rurali e urbane, il velo invisibile di autocontrollo che circoscrive il loro comportamento, proiettando un'immagine di impenetrabilità. Un altro principio centrale è quello del potere della marre, la vergogna, nel controllare rigorosamente il comportamento. Per la donna di un villaggio, è marre non essere alzata alle cinque per preparare la legna per il fuoco e per spazzare il cortile prima che il suocero si alzi. Per un uomo è marre contraddirre proprio padre, ribellarsi a un matrimonio concordato per lui, sottrarsi ai propri doveri di figlio. La pajtim, ovvero l'acquiescienza, è un altra eredità del passato che guida l'esperienza e la percezione. Le generazioni più antiche di albanesi sono vissute attenendosi al principio di essere state destinate a soffrire e a resistere. Questo sentimento non è stato perso dalle generazioni che sono venute dopo la guerra mondiale. Duhet m'u patju, "devi accettarlo", è un'espressione che si sente spesso pronunciare da donne e uomini, giovani e vecchi. Come le loro madri prima di loro, le ragazze giovani accettano il loro destino in termini di un'educazione rifiutata, un matrimonio preconcordato e una vita sotto il controllo della suocera. Come i loro padri, i ragazzi accettano le fosche prospettive di lavoro a casa e l'imperativo della migrazione. Un'altra espressione del passato è un'accettazione dell'inevitabilità della vuajtje: la sofferenza. Gli albanesi fanno fronte alla marginalità coltivando la loro identità di popolo oppresso. Come elemento chiave nel "discorso dell'identità", la peresecuzione può essere interpretata, come ci dice Herzfeld, sia ideologicamente che letteralmente. Gli albanesi accentuano un'ideologia di persecuzione al fine di trasformare l'inferiorità associata alla marginalità in un senso di superiorità associato all'unicità. Contrastano questo stato di avvilimento difendendo il loro valore collettivo sulla base della purezza razziale, della rettitudine morale e come conservatori di una tradizione non corrotta dall'abbattimento delle barriere di genere e dall'individualismo che si riscontrano presso i loro vicini. SPIEGAZIONI EMICHE PER PRESERVARE IL PASSATO Dire "questa è la nostra tradizione" come evocazione strategica del passato è una soluzione utilizzata sia per reiterare un senso di appartenenza che per giustificare un modo di vita. Gli albanesi hanno "evocato un sistema prestabilito", come dice Herzfeld, "le influenze stratificate dell'Islam, della legge consuetudinaria e dell'eredità di persecuzione, al fine di affermare la validità di quello che stanno facendo". La spiegazione emica più fondamentale per osservare il comportamento consuetudinario è stata quella della forza dell'opinione pubblica come controllo sociale, un concetto che viene espresso con una parola molto efficace, rreth. Traducibile letterlamente come "cerchio", la parola sta a indicare il cerchio socaile, l'influenza della comunità morale. La conformità e l'adempimento delle norme comportamentali tradizionali, risultano agli occhi della comunità ancora più importanti delle imprese o della ricchezza individuali nel creare e mantenere l'autorità personale e l'onore famigliare. "Siamo sempre stati oppressi dal peso dell'opinione pubblica, impauriti delle conseguenze di azioni non convenzionali. Ora, nella pseudolibertà degli anni più recenti, siamo ancora vincolati a questo modo rigido di pensare. Non possiamo immaginare nulla di diverso". Molti albanesi sostengono che la loro resistenza al cambiamento deriva dalla devozione all'Islam, e che la loro osservanza dei comportamenti consuetudinari è un obbligo religioso (e ciò nonostante il fatto che molti cattolici albanesi del Kosova abbiano la stessa visione del mondo dei loro vicini musulmani). Per gli albanesi musulmani non vi è una chiara distinzione tra l'essere albanesi e l'essere musulmani. "Non possiamo dire quali consuetudini siano più importanti, se quelle albanesi o quelle musulmane. Si tratta di una cosa sola e noi dobbiamo conservarle entrambe". Nella realtà, con l'eccezione delle feste speciali, le moschee vengono di norma frequentate solo dagli uomini anziani. Una miscela di marxismo (appreso a scuola), di capitalismo (appreso come emigranti) e di secolarismo (appreso come jugoslavi) ha sostituito l'islam come direttiva sociale per gli albanesi cresciuti nella Jugoslavia del dopoguerra. Ma come ha osservato Stirling in Turchia, nonostante un declino nell'osservanza formale dell'Islam, è ancora diffuso il senso che "i dogmi religiosi e pratici sono assoluti ed eterni". La religione è sì un elemento importante nella formazione della consapevolezza degli albanesi, ma io ritengo che la religione venga usata anche per giustificare il conservatorismo, per razionalizzare comportamenti inspirati da altri motivi. Viene utilizzata anche come simbolo etnico, che distingue gli albanesi dagli altri vicini slavi, che sono cristiano-ortodossi. Le difficoltà economiche vengono considerate anch'esse una motivo fondamentale per "vivere nel passato". "Siamo sempre stati troppo occupati a lottare contro l'oppressione politica e la povertà, per poterci preoccupare dell'emancipazione delle donne e degli altri aspetti di cambiamento". Possiamo anche pensare astrattamente a cose moderne come scegliere la propria moglie e prendere una moglie che ha studiato, ma il declino economico e la disoccupazione che lo accompagna, l'emigrazione sempre più incisiva, e la vita in famiglie allargate costringono a una realtà differente. Ci costringono a vivere nel modo tradizionale. Vorremmo che si producessero dei cambiamenti, ma le condizioni economiche controllano le nostre vite. Una conseguenza della stagnazione economica, l'emigrazione degli uomini albanesi verso l'Europa occidentale per un impiego "temporaneo", viene spesso citata come il motivo dell'"arretratezza" sotto molti aspetti. Uno dei motivi più chiari è quello della lunga assenza dei capifamiglia e la loro conseguente incapacità di integrare nuove consuetudini modellate dagli albanesi urbani nella vita del villaggio. Un altro importante fattore è quello dell'insistenza degli emigranti per il conservatorismo morale nei luoghi che si sono lasciati alle spalle, per isolare e "proteggere" le mogli e i figli che si hanno lasciato a casa. Gli uomini ritengono che i parenti anziani e gli altri membri della famiglia saranno sicuri se in loro assenza verrà osservato un comportamento rigoroso e tradizionale. L'unico cambiamento che sperano di trovare al loro ritorno è quello delle condizioni materiali della loro famiglia. Alcuni albanesi sostengono anche l'accumulazione di bei vestiti, televisori e automobili resi possibili dalle rimesse degli emigrati possa favorire la perpetuazione dello status quo, rendendo più docili coloro che hanno lasciato a casa, rendendoli più passivi rispetto alle modalità della vita che conducono. Questa lamentela, espressa da uomini e donne, è diretta particolarmente alle donne. Ci sono stati molti progressi tencologici nel villaggio - lavatrici, forni elettrici - ma la vita non cambia, continua a procedere circolarmente. Le cose non cambiano perché le donne sono appagate. Se la donna ha una vita così facile, perché dovrebbe preoccuparsi di avere un'educazione o un lavoro? E' convinta che quella vita sia proprio quella giusta. E' fiera del modo in cui vive (Bajram). APPROPRIARSI DEL PASSATO PER RAFFORZARE ED ESPRIMERE L'IDENTITA' Gli albanesi usano il passato per dimostare ed elevare l'identità etnica, regionale e personale di fronte alla stigmatizzazione e alla marginalità politica, economica ed etnica. Essi considerano se stessi come un popolo marginalizzato a diversi livelli. Come ex-jugoslavi, erano membri di un paese in via di sviluppo, che si trovava appena al di là dei confini della prosperità economica e dell'egemonia culturale e politica dell'Occidente. Come "minoranza" etnica della ex-Jugoslavia, era subordinati al dominio economico, politico e culturale delle "maggioranze" etniche che li circondavano. Come gruppo etnico discriminato, gli albanesi vengono denigrati per la lingua, l'aspetto e le consuetudini non slave. Come musulmani in un paese di cristiani, venivano visti come l'"altro" non civilizzato. Come emigranti albanesi vengono stigmatizzati come "sottoclasse" etnica. Gli albanesi rurali vengono visti come arretrati e reazionari, nonché periferici rispetto a una società impegnata ad agganciarsi al cambiamento. I cambiamenti che si sono verificati nelle regioni adiacenti e per i parenti albanesi che vivono in città o all'estero sono ora un problema per gli stessi abitanti dei villaggi. Molti giovani dei villaggi, soprattutto quelli che si sono spinti oltre i confini della loro regione, sono consci di una sempre maggiore scissione tra i loro stili di vita e il modo in cui le persone vivono in altre parti del Kosovo. Le consuetundini associate al passato appaiono sempre più inadeguate e l'universo tradizionale non sembra più inevitabile. Alcuni (pochi) uomini vogliono contraddire la norma, economizzare sugli eventi cerimoniali, sovvertire la struttura di potere patriarcale. Alcune (poche) donne ritengono di essere in una situazione che consente loro di uscire dal ruolo che gli viene imposto e di seguire l'esempio delle donne urbane., Lungo tutti gli anni '80, la persistenza della struttura della famiglia allargata, la natura dell'esperienza dell'emigrazione e la forza della pubblica opinione hanno deciso contro il cambiamento. GLI ALBANESI DEL KOSOVO NEGLI ANNI '90: IL PASSATO PREVARRÀ? Fino a qui abbiamo esaminato la profonda fedeltà alla tradizione propria di molti albanesi prima degli eventi del 1989. Durante il mio lavoro sul campo in Kosova , mi sono convinta, come lo sono gli albanesi stessi, che il desiderio di attenersi alle consuetudini e all'ideologia del passato prevarrà, intatto, per gran parte degli anni '90. In effetti, molti aspetti dell'ideologia tradizionale sono rimasti radicati nello spirito albanese durante i recenti conflitti. Ma alcune idee che, solo alcuni mesi prima sono sembrate così tanto una parte essenziale della psiche albanese, hanno cominciato a perdere la loro presa sull'immaginazione collettiva. Alcune delle consuetudini ritenute inviolabili ancora solo alcuni anni fa sono state rese illegittime dal'indirizzo che hanno preso gli eventi politici e sociali. L'attuale lotta per i diritti civili, unita al nuovo movimento per la democrazia in Kosovo, hanno alterato la consapevolezza degli albanesi, producendo un effetto imprevisto sul modo in cui essi percepiscono e interpretano la realtà. Il crollo della struttura di potere federale che aveva dominato la vita civile fin dal 1945 ha portato a un'espressione aperta del nazionalismo albanese. Nel contesto di questa nuova libertà di espressione, molti albanesi stanno cercando di redifinire la propria identità, sostituendo i dogmi del passato con visioni del futuro, nel tentativo di dire a se stessi chi sono. Si stanno appropriando di nuovi progetti politici e di una rinnovata espressione del nazionalismo albanese, nel processo dell'articolazione di una nuova versione di cosa significhi essere albanesi. C'è stato, in alcuni villaggi, un tentativo cosciente di riformare la propria tradizione. Un esempio è il movimento dei consigli di villaggi mirato a "razionalizzare" gli eccessi economici associati alla vita cerimoniale. Nel 1988, quando ho lasciato il Kosova, gli albanesi erano spaventati dalle somme che venivano spese per i matrimoni (costantemente gonfiate grazie alle rimesse degli emigranti), di fronte alle tremende difficoltà economiche. Ma così come con altre tradizioni che non godevano di popolarità, la gente i sentiva incapace di combattere la stigmatizzazione sociale che conseguiva dal non conformarvisi. Nessuno poteva essere il primo a cambiare. Ma nel 1989, il partito politico più forte, la Lega Democratica, si è prefissa come uno dei propri scopi quello della razionalizzazione di questa consuetudine. Questo obiettivo è stato presentato agli abitanti dei villaggi attraverso le sedi locali della Lega. La maggior parte dei villaggi ha accettato che ogni famiglia dovesse ridurre i costi del matrimonio. Si è trattato di un passo di importanza enorme, che rappresenta la capacità della gente, appoggiata da una leadership collettiva, a implementare coscientemente il cambiamento, per riforgiare la propria struttura sociale interna. Si tratta inoltre di un fatto che conferma ciò che sostenevano le mie fonti di informazione sul posto, e cioè che prima del 1989 la gente in effetti era favorevole al cambiamento, ma solo a livello di counità e non a quello delle singole famiglie. In questo contesto siamo obbligati a prendere in considerazione le prospettive di cambiamento e l'interrelazione tra le forze della tradizione e quelle della modernità nella definizione dell'identità albanese negli anni '90. L'"industria del nazionalismo", la costruzione di una retorica nazionalista nel Kosovo, trattano il passato in maniere contrastanti. Sotto alcuni aspetti, il nazionalismo di oggi continua ad appropriarsi di simboli del passato. In una certa misura, perfino nel Kosova politicizzato degli anni '90, essere albanesi significa attenersi alle consuetudini e ai valori tradizionali. A differenza dei gruppi etnici confinanti, che cercano di forgiare un'identità etnica rinnovata facendo risorgere, e mitologizzantdo o inventando, simboli nazionali, gli albanesi non devono scavare molto a fondo nel tempo per raccogliere una quantità ingente di simboli etnici unici, nell'opera di "fabbricazione" di un nazionalismo degli anni '90. D'altro canto, è chiaro che alcuni di questi simboli che sono stati sinonimi dell'essere albanesi sono anacronistici e vanno a detrimento della creazione di un'immagine per il futuro. Particolarmente problematici sono il "familismo amorale", lo sciovinismo di clan e la faziosità politica, che hanno delle radici molto profonde nella società albanese. Il maggiore sforzo per contrastare questo aspetto del passato è stato quello della formazione di un fronte politico unico da parte della Lega Democratica. Un altro tentativo di combattere il familismo nella costruzione di una nuova identità nazionale è stato quello degli sforzi messi in atto da un folklorista in pensione di nome Anton etta e dei suoi seguaci di pacificare le faide che affliggevano la provincia. Le faide tra le varie famiglie sono molto radicate nella tradizione albanese. Nel 1989 è stato stimato che la vendetta di sangue è stata responsabile in Kosova di ben 100 morti all'anno. Per cercare di cambiare il profilo nazionale del proprio popolo, etta agisce come un "costruttore di cultura", cercando di creare una "nuova tradizione". 150 faide sono state pacificate a partire dal 1990, e i partecipanti a questo movimento sono convinti di potere pacificare molti di casi rimanenti (da 450 a 550) e che le tregue resisteranno anche dopo l'indipendenza del Kosova. Un altro tentativo di riformare l'identità nazionale è stato condotto da un piccolo gruppo di donne urbane, il "Motrat Qiriazi", che hanno deciso di correggere alcune disparità nella vita famigliare nel Kosova. A differenza delle repubbliche settentrionali, il Kosova non ha mai avuto un movimento delle donne attivo. Gli intellettuali cittadini sono rimasti indifferenti rispetto ai problemi sociali della campagna. Ma le violenze e la repressione che hanno fatto uscire le loro vite dai normali binari, hanno politicizzato e rese attive queste donne. Il loro primo progetto, una campagna di alfabetizzazione in villaggi selezionati, ha sensibilizzato le organizzatrici rispetto alle ineguaglianze e ai fanatismi della famiglia albanese, spingendole a cercare di modi di lavorare per produrre un cambiamento sociale effettivo, per la democrazia nella famiglia. Molti albanesi, sebbene consci degli evidenti "difetti" del loro carattere nazionale, rimangono scettici di fronte ai tentativi di singoli individui di distanziarsi dai dettami del passato. Sono convinti che il potere della rreth, il cerchio sociale, trascinerà il passato nel futuro. Alcune persone deridono l'attivismo sociale come privo di importanza e fuori luogo nel contesto della crisi nazionale, facendo proprio un nazionalismo che perdona tutto, ignorando i problemi della complessità interna e della disfunzione e ritenendo che l'indipendenza politica fornirà automaticamente, una volta giunta, anche la modernità. La demokracia, il simbolo chiave e l'idea guida nell'Europa Orientale, è una parola magica per gli albanesi. La maggior parte di essi ritiene che una volta liberati dall'egemonia serba, la democrazia metterà radici come una cosa naturale, e i problemi sociali frutto della dipendenza dagli ideali del passato si risolveranno anch'essi. La domanda chiave è se i cambiamenti di atteggiamento negli atteggiamenti e il nuovo attivismo che sono emersi nel Kosova come risposta al conflitto politico perdureranno oltre questo periodo di ribellione nella ex-Jugoslavia. Il nuovo movimento delle donne metterà radici? Le tregue nelle faide terranno? In che misura le consuetudini e i valori del passato perderanno la loro presa sulla mente degli albanesi negli anni a venire? Che influenza eserciterà il futuro politico su questi processi? La liberazione dall'egemonia serba, l'autonomia nella Jugoslavia o l'unione con l'Albania ispireranno un nuovo ordine sociale libero dalla tirannia della tradizione? Oppure un'inondazione di cambiamento politico e la conseguente paura dello sconosciuto, dell'ambiguità sociale, porteranno le masse a radicarsi nuovamente nella struttura sicura della legge consuetudinaria? Saranno restii a rinunciare al "reddito psichico" che ottengono rimanendo aggrappati al passato? La sconfitta del movimento di liberazione del Kosova e l'ulteriore soggiogazione al governo serbo catalizzeranno una nuova ondata di fatalismo e compiacenza, una rinnovata acquiscenza all'eredità del passato? Una rinnovata minaccia di una presenza serba ostile continuerà a spingere le famiglie a isolare le proprie donne di fronte a quella che viene percepita come una minaccia nella sfera pubblica? Oppure gli eventi che si sono verificati a partire dal 1989 hanno irrevocabilmente cambiato la percezione da parte degli albanesi delle loro vite e della loro obbedienza al passato? [...] Oggi stiamo assistendo alla lotta disperata di un futuro incerto e alla speranza di un nuovo ordine sociale, nel momento in cui gli albanesi si trovano sulla soglia del cambiamento. (da "Anthropology of East Europe Review", n. 11, 1993) |