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![]() Frammenti di Demaqi[Molto si parla negli ultimi tempi di Adem Demaqi, indicato come il leader di riferimento degli studenti che hanno organizzato le proteste di Prishtina. Noi abbiamo rintracciato due documenti che possono essere utili - anche se senz'altro non esaurienti - per tracciarne un profilo. Si tratta di un'intervista del 1989, concessa da Demaqi mentre si trovava in carcere al quotidiano di Belgrado "Borba" e ripubblicata dal quotidiano di Roma "Il Manifesto", e di una lettera dell'agosto 1997, pubblicata dal quotidiano serbo "Nasa Borba", nella quale Demaqi attacca duramente il governo recentemente eletto a Tirana] IL MIO NOME NON E' UNA BANDIERA intervista ad Adem Demaqi a cura di Dragan Vitomirovic e Tommaso Di Francesco "Il Manifesto" / 9-10 aprile 1989 INTERVISTA IN CARCERE AL LEADER SPIRITUALE DEGLI ALBANESI DEL KOSOVO Adem Demaqi, di 53 anni, è considerato il leader spirituale del movimento di protesta in atto nel Kosovo. "Libertà per Demaqi", come ha testimoniato la stessa stampa di Belgrado, era uno degli slogan più gridati dei giovani di etnia albanese durante le tragiche mainfestazioni dei giorni scorsi nella regione autonoma della Serbia. Adem Demaqi, da circa 30 anni in carcere, è un intellettuale, ha studiato letteratura comparata all'università di Belgrado ed è autore di numerosi romanzi e libri di poesia, ha lavorato per qualche tempo al quotidiano di Pristina "Rilindja". Condannato una prima volta nel 1959 per propaganda antistatale a 3 anni di galera, è stato di nuovo condannato nel 1964 per avere fondato il "Gruppo rivoluzionario per la rivoluzione albanese". E' uscito di prigione nel '74, dopo dieci anni, e alla fine del '75 è stato nuovamente incarcerato nella prigione croata di Stara Gradiska, con l'accusa di "attività antistatale". Uscirà di prigione nell'ottobre del '90. L'intervista è uscita nell'ultima settimana di marzo su "Borba", il giornale dell'Alleanza socialista della federazione jugoslava, in tre puntate. Nella prima si descrive la biografia del leader albanese, nella seconda compare l'intervista vera e propria, quasi un lungo articolato monologo, nell'ultima, infine, "Borba", propone le sue considerazioni fortemente critiche sul personaggio, mettendo in discussione la sua reale disponibilità al dialogo e all'atteggiamento pacifico. "Il Manifesto" pubblica l'intervista a Demaqi del giornalista Dragan Vitomirovic, curata da Tommaso Di Francesco, per gentile concessione della direzione editoriale di "Borba". Si tratta, anche se il giornale dà il documento in chiave duramente critica, di un segnale di glasnost di indubbio valore: è la prima volta in assoluto, infatti, che un giornale jugoslavo ha avuto la possibilità di intervistare in carcere un detenuto per motivi politici e in un momento di drammatica tensione. -------------------- Come se non vedesse l'ora, Adem Demaqi comincia a parlare. "Non posso assolutamente accettare quel proverbio serbo che dice: il sole non può risplendere per tutti. Io credo invece che la libertà sia indivisibile. La mia non libertà è in funzione della libertà. Sono molto grato ai colleghi del Comitato per la libertà di pensiero che da Ljubljana e da Belgrado hanno richiesto il mio rilascio. Loro si appellano ai sentimenti umanitari, spiegando questa richiesta con la mia cattiva salute, la perdita della vista, ma a me questo tipo di libertà non interessa. La politica non può essere diretta con la forza, l'avvicinamento verso la libertà, l'andare verso la libertà, è una necessità assoluta. La Jugoslavia, la mia matrigna, ha eretto a se stessa un monumento nero, oscuro, avendomi lasciato chiuso in galera per tutto questo tempo". Dopo queste frasi, pronunciate quasi con affanno, Demaqi si ferma. Continua come recitando una poesia imparata a memoria. "La mia prima scelta politica è stata l'irredentismo puro sulla base di quel marxismo che allora conoscevamo. Nel tempo di Rankovic (ndr - il premier jugoslavo degli anni '50-'60) la situazione per noi albanesi era pesante. Gli albanesi erano dominati, non avevano eguali diritti e ognuno di noi desiderava costruire almeno una parte di libertà con il ricongiungimento con la madre Albania. In questo periodo ho formato un'organizzazione di 300 persone, non era difficile trovare gente che volesse lottare per la libertà, eravamo giovani e ingenui e organizzavamo il lavoro illegale, di cui in realtà non sapevamo niente. Così nelle nostre file avevamo molti infiltrati e quindi tutto quello che facevamo il giorno dopo era conosciuto dalla polizia. Davamo l'assalto al cielo. Presto siamo stati catturati e condannati in modo severo. Ma dopo il Plenum di Brioni (ndr - del '66, quello in cui venne estromesso il premier Rankovic) la condanna è stata parzialmente corretta con una diminuzione della pena. Adesso non sono più convinto della necessità di un ricongiungimento con la madre Albania, nel caso in cui il processo di eguaglianza degli albanesi si sviluppi con successo nel Kosovo e con gli altri popoli della Jugoslavia. Sono addirittura pronto a dare la vita per la matrigna Jugoslavia, nonostante sia vecchio e in cattiva salute, se la Jugoslavia fosse attaccata. Io voglio molto bene al mio popolo, ma non sono un nazionalista, perché il nazionalista odia gli altri popoli. Io non solo non odio i serbi, ma rispetto questo popolo eroico, perché da lui abbiamo imparato molto. Per secoli abbiamo vissuto insieme e non credo che siano stati i popoli a venire in conflitto, ci hanno fatto entrare in lotta gli jagke (ndr - i nobili locali), i re e i principi. Se potessi essere nella condizione di scegliermi un vicino sceglierei un serbo. Io sono uno studente belgradese: ho studiato letteratura comparata a Belgrado. I miei professori erano soprattutto serbi, rispettavo il professor Raskovic, Mitrjevic, Giuric e altri". Si ferma. Approfittiamo della pasua per ricordargli che lui era d'accordo che si premesse sui serbi e i montenegrini del Kosovo affinché se ne andassero, emigrassero, e questo finché il loro numero non cadesse al di sotto del 10 per cento. Ma lui ci interrompe con decisione. "Questa è una menzogna infame. Io, in nessuna parte del programma del Movimento rivoluzionario per l'unità degli albanesi ho mai affermato una cosa del genere. Ricordo che ho concluso il programma con queste parole: leviamo in lato la fronte con la convinzione che dopo questo difficile e freddo inverno verrà la primavera con molti fiori e gemme. Per ogni giovane albanese del Kosovo deve essere chiaro che se il popolo serbo fosse stato contro gli albanesi, nella storia avrebbe avuto i modi e i mezzi per distruggere il popolo albanese. E' noto che i serbi nella storia hanno lottato proprio contro chi voleva distruggere gli albanesi. Bisogna superare questo nodo. Coloro che sono contro il nostro popolo sono anche contro il popolo serbo (il leader della borghesia di prima della guerra Pasic, i re, i principi). Oggi colpevole di tutto questo è la burocrazia, contro gli albanesi e i serbi che insieme aspettano in fila per avere pane nero. Preferirei che qualcuno ammazzasse mio figlio piuttosto che un serbo. Ma quando si parla delle aggressioni nei confronti dei serbi e dei montenegrini nel Kosovo, va detto che il numero di queste aggressioni non è certo superiore a quello in altre parti della Jugoslavia, ma siccome si tratta di persone di diversa nazionalità bisogna comunque condannarle decisamente. Ogni popolo ha i suoi maniaci, e questi sono un vergogna per qualunque popolo, anche per quello albanese". Gli chiediamo come si sente quando legge che i manifestanti portano il suo nome come un vessillo sugli striscioni: si sente un leader nazionale, una leggenda o un martire? "Sono una persona umile, non so quello che gli altri pensano di me. Il mio nome è stato gridato sia nelle prime manifestazioni della fine del 1988 sia ora: penso che chiedessero semplicemente la mia liberazione. Sono stato condannato, completamente innocente, nel '74, solo a causa della mia concezione dei rapporti sociali relativi al mio popolo. Allora la burocrazia ha organizzato di sana pianta una buffonata, ha inventato una organizzazione di persone che erano state già condannate in precedenza, persone che io non ho mai conosciuto. Lo scopo era di togliermi dalla scena politica, quindi loro hanno fatto di me un martire e non mi è difficile sopportare questa cosa. Io sto bruciando come una candela, ma la candela brilla e così svolge la sua funzione". Come funziona il nocciolo duro del movimento di Demaqi? "Non esiste un centro" - risponde lui - "non c'è nessun nocciolo duro. La ribellione dell'81, e sottolineo ribellione perché questo è stata e non controrivoluzione, ha dimostrato che il nostro movimento opera sul principio della farina e dell'acqua. Le azioni sbagliate della burocrazia nazionale e della polizia hanno moltiplicato le azioni di protesta i cui protagonisti venivano arrestati e così quelli che venivano dopo scendevano in piazza per chiedere la loro liberazione e così di seguito. La farina e l'acqua si trasformano nella pasta che lievita e allora potete immaginare quale possa essere la scelta politica di tutte le migliaia di persone passate per le galere in questi anni. Io nel Kosovo sarò sempre dalla parte dei serbi e dei montenegrini perché loro qui sono in minoranza, ma sarò sempre in Jugoslavia dalla parte del mio popolo, il popolo albanese.". Gli ricordiamo le numerose istituzioni politiche e culturali della nazionalità albanese del Kosovo e l'enorme aiuto di tutta la comunità jugoslava della provincia. Demaqi ci interrompe. "Al popolo albanese tutto questo non è stato regalato, l'ha conquistato. Ma se i dirigenti del Kosovo fossero stati i veri dirigenti del popolo albanese, questi stessi mezzi sarebbero stati utilizzati per il popolo albanese e per tutti gli altri popoli". Il discorso tocca ora i temi più attuali, come la modifica della costituzione della Serbia e della Jugoslavia. Qui Demaqi è categorico. "Dopo il Plenum di Brioni del '66 la situazione per il popolo albanese era migliorata. Un passo avanti è stato fatto con la costituzione del '74. Ho impressione che oggi l'autonomia del Kosovo si stia restringendo, il che non è bene. La repubblica del Kosovo è stata proclamata e questo è un fatto compiuto che si è profondamente impresso nella coscienza degli albanesi del Kosovo. Quando la repubblica comincerà a vivere realmente, a funzionare, è soltanto un problema di tempo e di condizioni. Nessun provvedimento, nemmeno decisioni di terrore politico e di repressione brutale, possono fermare il popolo albanese". Tempo fa lei scriveva, le interessa ancora la letteratura? Ho scritto un romanzo sulle faide intitolato [illeggibile - n.d.t.]. L'ho pubblicato nel '58, quando ancora lavoravo nel settore edizioni del quotidiano "Rilindja", ho pubblicato una raccolta di poesie. L'epigrafe del mio romanzo dice: non a coloro che sono capaci di usare la spada della vendetta, ma a coloro che sono capaci di porgere la mano della pacificazione. Penso che questo motto mostra nel migliore dei modi la mia idea sul terrore e sulla violenza. Adesso non scrivo più nulla". Gli chiediamo se ha cambiato idea su Enver Hoxha. "No, sono rimasto un grande ammiratore di Enver. In casa tenevo un grande ritratto di Enver, non l'ho mai nascosto e spesso mi sono fatto fotografare vicino al suo ritratto". Chi viene a trovarla in carcere? "Ho un figlio che studia medicina e una figlia che ha finito in questi giorni la facoltà di elettrotecnica. Loro su mia richiesta non mi vengono a trovare. Mi viene a trovare solo mia sorella due o tre volte all'anno. Ho una casa a Pristina, dove andrò. Venitemi a trovare quando sarò un uomo libero". NANO E I SUOI NON SI MERITANO ALCUN FESTEGGIAMENTO lettera di Adem Demaqi (Presidente del Partito Parlamentare del Kosovo) 2 agosto 1997 Dopo gli sviluppi politici in Albania e dopo i molti pensieri e fatti che abbiamo ascoltato e letto in questi giorni, sento il bisogno di chiarire la mia posizione personale in merito a quanto è accaduto. A chi è dotato di ragione e vuole pensare, a chi ha occhi e vuole vedere, a chi ha orecchie e vuole ascoltare è già del tutto chiaro che coloro che rappresentano il nuovo potere in Albania non si meritano alcun festeggiamento. Non si meritano alcun festeggiamento, perché queste persone dall'ardente sete di potere hanno completamente dimenticato metà del proprio stesso popolo sotto la schiavitù più selvaggia. Non si meritano alcun festeggiamento, perché queste persone, al solo fine di aprirsi la strada verso il potere, non hanno esitato a mettere il proprio paese sotto il protettorato della Grecia. Non si meritano alcun festeggiamento coloro che con l'aiuto di bande criminali e mafiose hanno distrutto le fondamenta del proprio paese, hanno annientato le più alte istituzioni del proprio stato e alla fine hanno accettato di diventare marionette nelle mani di coloro che vogliono tenere noi, tormentato popolo albanese, sotto condizioni di dominazione, discriminazione e annichilimento sul nostro stesso spazio balcanico. Non meritano alcun festeggiamento coloro che per fini carrieristici preparano per il proprio paese, per il proprio popolo, ma anche per se stessi, ancora un piano quinquennale di orrore, fatto di sofferenze, di disillusioni, di miseria, di stragi e di terribili devastazioni. Gli albanesi che credono che i politici nanoisti riusciranno a togliere l'Albania da questa sventurata posizione e aiuteranno seriamente l'altra metà dei propri fratelli a liberarsi dalla schiavitù annientatrice, commettono un errore spaventoso e amaro o, quel che è ancora peggio, sono vittime di un'autoillusione. Per quel che riguarda Sali Berisha, dopo tutto quello che è successo, tra le altre cose in conseguenza anche dei suoi numerosi errori oggettivi e soggettivi, egli è tenuto a contribuire ancora con una decisione politica di importanza chiave. Se riuscirà a dimostrare di fronte a tutto il mondo che questi errori non sono stati da lui compiuti per fini carrieristici, dovrà rinunciare con urgenza a continuare a dirigere il Partito Democratico, ma nel suo ulteriore agire politico dovrà lavorare senza risparmiarsi affinché chi si assumerà la direzione del partito non ripeta mai più i suoi stessi grossolani errori. Se Sali Berisha non avrà la forza di prendere una tale decisione, si tratterà di una prova sufficiente per trarne la conclusione che anche lui non è stato per nulla migliore di quei carrieristi che si sono impadroniti del potere. Se ciò accadrà, anche lui subirà lo stesso destino che hanno subito e che subiranno tutti i carrieristi, gli speculatori e i manipolatori sulla scena politica albanese. (da "Nasa Borba", 2 agosto 1997) |