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LE AQUILE NON VOLANO PIU': LA DISGREGAZIONE SOCIALE DELL'ALBANIA

di Tiziano Tussi

[Pubblichiamo questo articolo per gentile concessione della rivista "Il Calendario del Popolo" - Via Rezia 4, 20135 Milano - Tel. 02/55015584]

Le mire espansionistiche coloniali italiane si sono, storicamente,con facilità indirizzate verso l'Albania già dal secolo scorso,così come anche i rapporti di aiuto politico fra i due popoli. RicciottoGaribaldi, ultimo figlio di Giuseppe e di Anita da Silva, ebbe intensirapporti con il movimento patriottico albanese, già dalla fine dell'ottocento, in occasione della guerra greco-turca del1897. Lo stesso Giuseppe Garibaldi ebbe parole di apprezzamento per il movimento schipetaro nel 1864: "La causa degli albanesi è la mia, e io certo sarei felice d'impiegare quanto mi rimane di vita inpro' di quel prode popolo." [Guida, 1981]

All'inizio del secolo "in Albania cominciò una sorda lotta tra l'Austria e l'Italia nel tentativo di fare prevalereciascuna la propria influenza". [Pacor, 1968] Da lì in avanti la storia segue tappe conosciute sino all'intervento coloniale diretto dell'Italia nell'aprile del 1939, con evidenti limiti logistici delnostro esercito che si costruì da solo le difficoltà della spedizione, non avendo, in pratica, dovuto sostenere scontripesanti con l'esercito albanese che si era subito disfatto. Pochi giorni dopo l'occupazione era comunque terminata.

Il 1943, la Resistenza, la partecipazione anche di italiani allaliberazione del "paese delle aquile" con la Brigata "Gramsci", che arrivò a contare duemila effettivi e che partecipò alla liberazione di Tirana.

Da allora il nuovo potere albanese comunista, con a capo Enver Hoxha,costruisce una nuova convivenza nazionale. La storia quarantennale dellasua presenza al massimo livello del paese coincide con la storia stessa delpaese.

Rotture politiche con i "paesi fratelli" sono continue, nellaricerca di una chiara indipendenza politica. Nell'ordine: Jugoslavia,

1948, Urss, nel 1960-61 - dopo la morte di Stalin, in epocakruscioviana - e Cina, nel 1978 - dopo la morte di Mao.

Interessante risulta essere un incontro tra Milovan Gilas, allora aivertici del comunismo jugoslavo, e Stalin nel gennaio 1948.

All'epoca veniva discussa la possibilità di un progetto di unificazione tra l'Albania e la Jugoslavia ma Stalindisse a Gilas: "L'albania non mi preme in modo particolare. Non abbiamoniente in contrario se volete papparvela.." (Gilas, 1962).

Tali espressioni che veicolano comunque dei disegni egemonici sulpiccolo paese balcanico hanno sempre fatto sorgere sospetti ed avversionifierissime negli albanesi.

Ismail Kadarè ha descritto in un suo romanzo - Chi ha riportatoDurruntina? - la tenacia dell'albanese alla parola data, labessa, al rispetto di sé, che va anche oltre la morte.

Tale fierezza, tipica in popolazioni di montanari, è servitaanche per dipingere, retoricamente, i tratti salienti della società profonda del paese e del suo modo di vivere. Fierezza, indipendenza,assoluto disinteresse, tutti tratti che male si accompagnano all'attualesituazione. Come è stato possibile che un paese, povero ma decente, si sia trasformato improvvisamente, in questi ultimi mesi, in un confusissimo coacervo di bande armate che siscontrano, sparandosi, e di numerosi gruppi di uomini, donne e bambini che fuggono appena possono, sia dalle zone di guerra sia da quelle in cui nonci sono scontri.

Un'altra domanda, si tratta di una vera guerra civile?

Insomma: cosa sta accadendo in Albania?

Il passaggio dalla convivenza "spartana" dell'epoca comunistaall'attuale, continua, esplosione degli equilibri sociali ed economici èla chiave per interpretare ciò che accade e che potrà accadere in futuro.

Nel 1985 muore Enver Hoxha, il "sole dell'Albania". "L'ultima vestale deldogma" (il manifesto, 12 aprile), "A Tirana finisce un'epoca. E' morto Hoxha, re-dio rosso da quarant'anni" (la Repubblica, 11 aprile), "E' mortoil dittatore del paese che non c'è" (Reporter, 12 aprile), "Il futuro incerto dell'Albania dopo Hoxha"(Corriere della Sera, 12 aprile). Come si può notare il titolo piùdecente, a livello giornalistico, è quello del Corriere della Sera,mentre tutti gli altri si affannano a sottolineare l'aspetto dittatoriale del regime e l'oscuritàdel paese che rimane sconosciuto ai più. Anche "Reporter" che annoverava tra i suoi giornalisti Adriano Sofri,che chiaramente qualcosina dell'Albania doveva conoscere, sottolinea chequesto è "il più lontano dei paesi vicini, un paese di cui non si sa nulla". Non un gran chè per un giornale nazionale.

Questo inciso non è gratuito. L'ignoranza, a volte voluta, deimedia italiani di molte, troppe questioni di politica estera è una componente del nostro modo di condurre diplomaticamente i rapportiinternazionali.

Dopo la morte del leader, nel periodo dell'avvento mondiale dellaperestroika gorbacioviana, anche l'Albania rientra nel turbinio della destabilizzazione del campo comunista. Il vento che farà cadere barriere reali, muro di Berlino, e barriere mentali ed economicheben più significative entra anche nel paese più povero d'Europa. Aidisegni internazionali, che trovano in Gorbaciov la punta di diamante,l'Albania ci mette molto del suo.

Nel 1981, durante una breve permanenza nel paese, negli incontri conesponenti politici, sindacali e di associazioni sociali mi residirettamente conto, e risultava abbastanza chiaramente, che i ritardipolitici del modo di intendere la conduzione del paese, seppur piccolo e seppur povero, apparivano anacronostici e nonsarebbero potuti durare per sempre. I dirigenti albanesi non avevanopraticamente contatti di scambio "normale" con nessun altro paesesignificativo del mondo. Compravano solo se potevano pagare in contanti; il paese non aveva collegamenti ferroviari con ilresto della rete europea, gli aerei che vi atterravano erano pochi ed ilvolo più regolare era quello delle posta internazionale; il senso dell'accerchiamento era palpabile nei numerosissimi bunker disseminati dappertutto - dal punto di vista militare,assolutamente inutili -, nella ferma prolungata dell'esercito nazionale enei reiterati discorsi di fierezza indomita, di indipendenza assoluta,continuamente ricercata riandando ai momenti salienti della storia dell'Albania, in primis Giorgio Castriota,detto Skanderbeg, eroe nazionale del XV° secolo, eroe nella lotta contro i turchi, che stavano diventando ipadroni del paese. Insomma una specie di sindrome da accerchiamento dacombattere accentuando l'isolamento mondiale.

Non che la loro storia non ne desse adito ma forse era il caso dicercare di vivere nel XX° secolo rischiando nei rapporti internazionali per elevare il livello divita della popolazione. Entrare in Albania pareva di rivivere le scene del film di Bernardo Bertolucci "Novecento": la campagna italiana tra le due guerre mondiali,al massimo nei primi anni del secondo dopoguerra. Uomini e donne chepasseggiavano a piedi, al calar della sera; carretti con ogni tipo di ruote per farli funzionare; raccolta di angurie a mano, che si mangiavanocalde perché c'erano troppo pochi frigoriferi; pochi trattori, perché non se ne costruivano più dopo l'uscita dei cinesi dal paese. Dei cinesi rimanevano molti segnali:le gomme degli autocarri impiegate in ogni modo possibile; macchine industriali dallivello tecnologico bassissimo, evidentemente scarti, assieme a macchinariorusso, nelle fabbriche. Il livello di inquinamento era altissimo dovefunzionavano industrie che mancavano diogni elementare sistema di protezione per il lavoro: poche industrie, pocoinquinamento in totale. Ricordi della presenza italiana: sedie da barbieredi una ditta di Torino, probabilmente degli anni trenta; molti albanesi che parlavano italiano; la disposizione dei giardini a Tirana, nella zona delle ambasciate, cheoriginariamente dovevano disegnare un fascio littorio.

Comunque il paese stava in piedi, con forte ritardo sulla mediaeuropea, ma stava in piedi.

Gli albanesi andavano in ferie, mangiavano, si vestivano, avevanotelevisori - dai quali ascoltavano senza difficoltà le nostre trasmissioni -, case, assistenza sanitaria diffusa, una mole dilibri scolastici e di propaganda, a poco prezzo, scrittori conosciuti ancheall'estero, pochi ma significativi; stampavano dischi e francobolli, bevevano latte dalla centrale dellatte del paese. Ma non avevano davanti a loro alcuna reale possibilità di sviluppo, di evoluzione futura.

Non appaia strano l'elenco che faccio, un poco alla rinfusa, delle"cose" che si trovavano in Albania. Ora per esempio non funziona più la centrale del latte. Si munge e si beve direttamente, dalle capre,almeno stando alle notizie della stampa internazionale. Funziona, peraltro, la fabbrica della Coca-Cola.

Nelle scuole non ci sono più libri. Mille e duecento scuoleitaliane sono gemellate con altrettante scuole albanesi che naturalmentenon avrebbero bisogno di un gemellaggio così cospicuo (chissà poiperché, da parte nostra) se vi fosse una situazione normale, di normalescolasticità, che vi era nel periodo comunista.

Insomma quel poco che c'era, non esiste più.

Come è stato possibile? Evidentemente i limiti interni, sopraricordati ed i disegni di politica internazionale hanno ben agito alriguardo.

Dopo il 1985 ed un breve periodo in cui Ramiz Alia, il delfino diHoxha, prosegue nel solco già tracciato, si cominciano ad avvertire i primi scricchiolii. Anche perl'Albania si parla di perestrojka. Anche la voglia di religione sirisveglia. Il paese che era in maggioranza islamico (poi venivano gli ortodossi e poi i cattolici) dal 1967 si configuravacome l'unica nazione ufficialmente atea, con tale miscredenza scritta nellacostituzione comunista. Naturalmente la fragile infrastruttura non potevaresistere in un mondo comunista gorbacioviano. Già dal 1990 si sfalda politicamente. Pressioni di ogni tipo, sia estere che interne, trovano impreparati ed incapaci la nuova leadership che percercare di mantenere il proprio potere apre ai "democratici" ed ai rapportiinternazionali con il mondo capitalista. E da quel momento si srotolano le solite tappe cheportano questo paese, così come gli altri paesi dell'est Europa, ad esplodere letteralmente. Siscambia ambiguamente un cambiamento di regime e di vita sociale conl'arrivo della "vera" democrazia.

La dirigenza al potere, oramai completamente ossificata, senzapiù nemmeno il carisma del grande capo, morto da alcuni anni, non riescepiù a spendersi verso la popolazione, che evidentemente è stanca di viveremale, quando nei paesi vicini - basta guardare la televisione - si naviga nel "bengodi". Manifestazioni popolari "spontanee" si susseguono ed i dimostranti logicamente se laprendono con i simboli del vecchio regime - le statue di Stalin e di Hoxha.Nello stesso momento anche Kadarè se ne va in Francia dove chiede asilo politico e dove risiede tuttora.

Un altro tassello per la velocizzazione del repentino cambio dellecose.

Si formano partiti politici diversi da quello comunista, partiti"democratici", con a capo Sali Berisha. Un suo piccolo ritratto lo troviamo in un libro di Besnik Mustafaj, giovane scrittore albanese, esponente di quel partito, sin dalle fase iniziali, attuale ambasciatore albanese in Francia. "O Sali, Sali Berisha/con duedita ci hai insegnato. /Quando cresceremo ancora un po'/diventeremo democratici. Anche questa infantile canzonetta,con le sue ingenue parole, aiuta a capire quale straordinario grado dipopolarità ha raggiunto Sali Berisha. In così breve tempo. Conosciuto e rispettato in tutto il paese... egli fu il soloche disse a Ramiz Alia che l'Albania aveva bisogno del pluralismo."[Mustafaj, 1993] Bel ritrattino, oramai completamente fuori luogo.

Per le elezioni del parlamento, fine marzo del 1991, molte disegni capitalistici si appuntano già sull'Albania. In una intervista al Corriere della Sera, del 29 marzo, uncapitalista albanese, che vive in Svizzera, prefigura un futuro di sviluppocapitalistico, che lui vorrebbe "non traumatico", per poter fare affarinell'industria turistica. I dirigenti comunisti albanesi, che in questi frangenti di inizio anni '90, si tramutano in"socialisti" con alla testa Alia e Fatos Nano cercano di tenere in piediciò che sta sfuggendo loro di mano, aprendosi sempre di più agli interessi esteri. Così facendo avvicinano ancora di più la loro fine.

In una intervista apparsa sul Corriere della Sera del 16 maggio 1991, Nano afferma: "Io non sono stalinista, non sono maoista, non sono un comunista alla Pol Pot. Sono soltanto un vero albanese.. andiamo verso l'economia dimercato...vogliamo che tutte le religioni del nostro Paese vivano in armonia."

Ma sicuramente i capitalisti sono sempre più bravi dei vecchiburocrati, più bravi e più svelti. Nello stesso anno il potere si apre all'opposizione. Comincia la fuga massiccia dei profughi verso l'Italia ed inizia la grande manovrainternazionale di "aiuti" ufficiali e di penetrazione individuale del capitalismo italiano nelpaese: la cosiddetta "operazione Pellicano". Gli aiuti portati al di làdell'Adriatico dal nostro governo aprono molte possibilità, per affaristi e uomini politici italiani legati a quel traffico, diarricchirsi in breve tempo. Un titolo de "il manifesto" - 31 ottobre 1991,ma ancora il 19 dicembre - recita "L'affare Albania". Vengono snocciolatenumerose cifre riguardanti i profitti derivati dal giro internazionale degli "aiuti"alimentari. Altro titolo: "Finiscono al mercato nero gli aiuti italiani aTirana" (Corriere della Sera, 27 novembre 1991).

Più il paese si apre, più arrivano profughi in Italia -impressionante l'ondata dell'agosto 1991 -, più gli imprenditori italiani, soprattutto pugliesi e marchigiani, entrano inAlbania.

"E' partita la seconda conquista italiana dell'Albania" (Corriere dellaSera, 11 novembre 1992). Nello stesso articolo un imprenditore leccesedice: "La Germania si sta prendendo Boemia ed Ungheria, per Slovenia e Croazia siamo arrivati troppo tardi, come al solito. In Russia ci hanno provato tutti ma è andata quasi sempremale. La Polonia è un terreno molto difficile. A noi italiani restal'Albania, e anche qui dobbiamo fare in fretta prima che ce la soffino".

Quindi l'esplosione e l'implosione del paese cominciano ad apparire non più tanto oscuri. Gli interessi di geopolitica internazionale e locale dannola "linea" da seguire.

Ma non tutto va sempre liscio.

Una riflessione di Paolo Rumiz, che ha scritto un bellissimo libro sulla questione jugoslava, può servire per capire ancora meglio anche la situazione albanese. Usando lasua analisi sulla perversione dello smembramento etnico in Jugoslavia, traducendola in albanese possiamo dire che lo scompaginamento delpaese per riportare la "democrazia" in presenza di scopi nascosti e nonammessi - profitto capitalistico - porta nient'altro che a "più banditismo, più corruzione, più sradicamento, più squilibri sociali, più armi, più primitivismo, repressione, censura, fondamentalismo, povertà, odio." [Rumiz, 1996]L'elenco è assolutamente adattabile anche al caso albanese.

La vendetta dei nuovi potenti, la loro voglia di arricchirsi infretta nonbada a nulla, non coglie ostacoli e problemi sociali. Tutto deve essereraso al suolo per potere permettere, a chi ha le possibilità, diguadagnare, tramite loro, velocissimamente.

Ecco rientrare in questa smania il processo a Nexhmie Hoxha, la moglie diEnver, condannata a nove anni di prigione per aver stornato dal bilancio statale ben... 17 milioni di lire in cinque anni. Ridicolo! Con quei soldipoteva al massimo pagare il pranzo ed il caffè agli ospiti che giungevano nel paese a discutere con idirigenti albanesi. Sono infatti poco più di tre milioni all'anno: ancheper la povera Albania una cifra davvero incomprensibile.

Si capisce bene allora anche l'ultima truffa delle finanziarie dopol'elezione di Berisha e del parlamento dell'anno scorso.

Occorreva dare ai capitalisti di casa nostra, ma non solo a loro, chepagano la mano d'opera albanese un dieci/venti volte in meno di quella italiana, la certezza che tutto sarebbe continuato. Ma quando si esageranon si può pretendere che il gioco riesca sempre. L'ultimo scandalo finanziario - inpratica una truffaldina catena di Sant'Antonio, dove pagano quelli che virestano invischiati - ha fatto scattare la rivolta popolare istantanea. Ilterreno, come si è potuto ben vedere, era ben arato ed il paese vive ora la situazione chetutti sappiamo.

Ma come finirà non è dato sapere. Quarantacinque anni dicomunismo, non hanno lasciato tracce evidenti; sei sette anni di"democrazia" hanno fatto di peggio. La delinquenza è sicuramenteaumentata: droga, armi e prostituzione a mille, trasportata anche in Italia, che esporta là i suoidelinquenti pugliesi; una fiorente organizzazione import-export. Quando maisorgerà "l'uomo nuovo albanese"? (titolo di un famoso libro di GilbertMury) Il futuro quindi può essere solo oscuro.

Certo se i dirigenti albanesi, Enver Hoxha, in testa avessero seguito sul serio quello che loro stessi scrivevano: "il nostro realismo socialista nonsi presenta affatto sotto forme statiche, irrigidite; esso è inebollizione, in permanente e continuo sviluppo grazie alla lotta di classe, la lotta del nuovo contro il vecchio... Il presente apre la strada al futuro." (Hoxha, discorso del 21dicembre 1968)

Bibliografia dell'articolo:

Milovan Gilas, Conversazioni con Stalin,Feltrinelli, Milano, 1978.

Francesco Guida, Ricciotti Garibaldi ed il movimentonazionale albanese, in Archivio storico italiano, 1981, n° 507,dispensa I.

Ismail Kadaré, Chi ha riportato Durruntina?,Longanesi, Milano, 1986.

Besnik Mustafaj, Albania. Tra crimini e misfatti,Garzanti, Milano, 1993.

Gilbert Mury, Albania terra dell'uomo nuovo,Mazzotta, Milano, 1971.

Mario Pacor, Italia e Balcani dal Risorgimento allaResistenza, Feltrinelli, Milano, 1968.

Paolo Rumiz, Maschere per un massacro, EditoriRiuniti, Roma, 1996.

Mario Rigoni Stern, Quota Albania, Einaudi, Torino,1981.

Corriere della Sera: 12 aprile 1985, 29 marzo 1991,27 novembre 1991, 11 novembre 1992.

il manifesto: 12 aprile 1985, 31 ottobre 1991, 19dicembre 1991.

la Repubblica: 11 aprile 1985.

Reporter: 12 aprile 1985.