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![]() UNA POTENZIALE GUERRA CIVILE di Milos Vasic A partire dal 1981 il vecchio governo del Kosovo, e dal 1989 il nuovo governo, hanno agito (o più precisamente, sono intervenuti), senza guardare davanti a sé, come dei rinoceronti in corsa, pieni di forza brutale, nella vana speranza che gli albanesi si sarebbero infine talmente spaventati da accettare ogni cosa. Ma cosa significa "ogni cosa"? Nessuno si è mai posto la domanda. Il saggio Koca Popovic ha messo inutilmente in guardia nel 1989 dal fatto che, "con un grande sforzo, degli albanesi è possibile fare degli jugoslavi. Ma non esistono sforzi in grado di fare degli albanesi dei serbi". Quali alternative hanno offerto questi due regimi - quello jugoslavo e quello serbo - agli albanesi? Quando nel 1981 vi è stata in Kosovo una violazione dell'ordine pubblico e della pace di grandi dimensioni, con vittime umane e danni alle proprietà, lo stolido governo comunista di allora è rimasto sbalordito e ha bollato immediatamente, con un atteggiamento di routine, quella che era un'acuta crisi socio-demografica come una "controrivoluzione". La crisi del Kosovo è stata erratamente identificata come tale e di conseguenza affrontata in maniera inappropriata. Nessuno era realmente interessato alle vere ragioni dei disordini, nessuno si è chiesto cosa, in realtà, gli albanesi volessero. Si pretendeva da loro che se ne stessero tranquillamente seduti, emettendo i soliti suoni moralmente e politicamente accettabili. Quando verso la metà degli anni '80 è cominciata la campagna relativa ai serbi minacciati in Kosovo, le cose hanno cominciato a mettersi tutte male. Slobodan Milosevic ha intravisto un'opportunità a lui favorevole e ha pronunciato le due famose promesse: "Nessuno ha il diritto di picchiarvi" e "Arresterò Vlasi (l'allora segretario della Lega dei Comunisti del Kosovo - n.d.t.)". Così, gli albanesi e i serbi del Kosovo si sono ritrovati in mezzo alla macchina politica di Milosevic, senza che nessuno avesse chiesto il loro parere. Oggi in Kosovo ci sono meno serbi di quanti ve ne fossero nel 1987; Azem Vlasi è stato arrestato e poi liberato con una sentenza del tribunale e nessuno si è sentito meglio dopo questa sciarada. A quei tempi tutti gli albanesi venivano accusati in blocco di "terrorismo" e "genocidio", mentre venivano adottate leggi discriminatorie. Oggi abbiamo delle vere e proprie campagne armate contro le autorità serbe del Kosovo; le previsioni si sono ancora una volta avverate. I recenti conflitti nella zona di Srbica indicano che la situazione sta fermentando. Se ci si fosse occupati di affrontare la vera situazione socio-demografica del Kosovo, se l'analisi fosse stata effettuata applicando regole militari e di polizia professionali, basate sulla costosa esperienza appresa in passato in tali situazioni, le cose ora sarebbero diverse. E' stato invece fatale lasciare passare il tempo, mentre le variabili socio-demografiche fondamentali stavano scappando di mano oltre il punto di non ritorno. Ecco qui i nudi fatti: * almeno il 60% della popolazione albanese del Kosovo (ma anche della Macedonia occidentale e dei tre comuni serbi in cui la maggioranza degli abitanti è di etnia albanese - Bujanovac, Presevo e Medvedje) ha meno di 30 anni di età, un fattore che costituisce in assoluto l'elemento chiave della crisi del Kosovo. Perché? Perché questo significa che è venuta a crearsi una concentrazione critica di giovani che in questo momento non vede un futuro per sé, mentre si trova a un età in cui desidera legittimamente un'educazione, un lavoro e una famiglia. * la società degli albanesi del Kosovo (così come quella degli albanesi della Macedonia occidentale) sta attraversando un periodo di transizione da una società agrario-tribale a una più moderna. L'esplosione demografica è il risultato della transizione, del miglioramento degli standard di vita e dell'aumentare drammatico della probabilità di vita. Invece di accordare al numero sempre maggiore di albanesi del Kosovo un'integrazione più rapida nella società jugoslava e nella sua economia, questi ultimi sono stati spinti in un ghetto etnico (e linguistico). Ciò dà per garantita un'esplosione. Un processo naturale, come un'esplosione demografica, non può essere arrestato attraverso misure amministrative. Le scuse meschine, scioviniste, del tipo "si stanno moltiplicando solo per sorpassare i serbi", sono prive di sostanza sia moralmente, che politicamente e legalmente. Quando le cose raggiungono il punto di ebollizione, dal punto di vista di un'opinione pubblica serba comunque dominante, c'è solo una soluzione: quella di Seselj e di Arkan - spingere gli infedeli via dal suolo serbo, o riempirli tutti di bastonate. Ci si è già provato una volta, con risultati negativi. La scena politica serba non ha saputo offrire nulla di meglio - un fatto sconsolante. Le favole di una divisione meccanica che provengono dal circolo di Dobrica Cosic non sono serie. * l'opinione politica degli albanesi non è per nulla uniforme, come invece lascia intendere la tesi suicida dei nazionalisti serbi. L'opinione politica rappresentata da Ibrahim Rugova fino a oggi, che include la maggioranza della Lega Democratica del Kosovo, si trova in una situazione di crisi; la pressione degli albanesi giovani, in possesso di un'educazione e impazienti, che sono stanchi dell'attendismo politico di Rugova, diventa sempre più forte. Rugova, vanitoso e sterile [...], si considerà già un personaggio storico; non capisce che non c'è più tempo e che i giovani non hanno intenzione di attendere fino a quando la Repubblica del Kosovo pioverà dal cielo in gremo a Ibrahim. I loro anni stanno passando e hanno tutto da perdere. Questi tre elemnti costituiscono quello che la moderna teoria della guerra di controinsurrezione e dei conflitti di bassa intensità - che si basa una costosa esperienza - considera come le condizioni sufficienti e necessarie per dei conflitti di ampio raggio e sanguinosi che possono essere definiti guerre civili. Abbiamo una situazione socio-demografica che sta diventando insopportabile; abbiamo un governo che sta cinicamente e completamente ignorando gli sviluppi politici e i problemi reali della maggioranza di una popolazione e che si affida solo e unicamente alla repressione brutale; abbiamo una risorsa umana ideale (giovani senza un futuro) per il reclutamento di combattenti per un movimento di resistenza; abbiamo una motivazione psicologico-politica per quella che viene percepita come una "guerra di liberazione nazionale", abbiamo una società repressa, per definizione solidale, che condivide una stessa lingua esotica e che difficilmente può essere infiltrata; abbiamo una tradizione di guerra e di contrabbando di ogni cosa, perfino di armi e, come se non fosse abbastanza - abbiamo un evidente desiderio da parte di facoltosi emigranti albanesi di fornire finanziariamente supporto alla guerra nella loro patria. Infine, come è ormai chiaro - abbiamo un'organizzazione combattente illegale, i cui membri vengono arrestati e processati e le cui azioni stanno continuando e fortemente progredendo in intensità. Sono venute quindi a crearsi tutte le condizioni per una guerra civile aperta - una lunga, sanguinosa guerra civile il cui risultato andrà quasi certamente a sfavore dell'attuale governo. Ma non preoccupiamoci: non siamo stati coinvolti nella guerra, fino a oggi, abbiamo avuto delle brillanti vittorie in Slovenia, con il piano Vance (se vi ricordate: la RSK e così via) e a Dayton. Vedremo perfino il giorno in cui il presidente Milosevic comparirà in TV con la buona nuova che finalmente è riuscito a sbarazzarsi di quella testa calda del Kosovo: se ne vanno, che dio sia con loro, presto ci scambieremo degli ambasciatori e firmeremo una serie di accordi sui dazi, sul traffico stradale e su quello ferroviario, sulla cooperazione legale, sulla cooperazione tra gli uffici per gli affari interni, sulla doppia cittadinanza e così via. Gli uccisi, i feriti, i picchiati, i traumatizzati, gli arrestati, gli ingiustamente trattati, gli esiliati e le altre vittime di questo "conflitto di bassa intensità" verranno considerate come un danno collaterale inevitabile del grande progetto statale. (da "Vreme", Belgrado, 27 novembre 1997) |