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NOTIZIE EST #180 - ALBANIA/KOSOVO/ITALIA
1 marzo 1999


LA DIPLOMAZIA ITALIANA VUOLE UN PROTETTORATO PER L'ALBANIA

L'idea di dare vita a qualche forma di "protettorato" per l'Albania, che circola nei corridoi della Farnesina e sulle pagine dei giornali italiani, ha causato a Tirana numerosi dibattiti e aspre reazioni. Il giornale italiano "La Stampa" in un articolo pubblicato a metà gennaio, ha citato un ministro del governo italiano ed esperti italiani di politica estera che si sono posti la domanda: "Sarebbe poi in fin dei conti un male così grande se offrissimo nuovamente all'Albania una densa copertura di sicurezza per creare le basi di un proprio stato?" Sembra che a Roma, stanchi dell'ininterrotto flusso di immigrati, siano tornati nuovamente all'idea di qualche forma di "tutela" sull'Albania, di qualche nuova missione "Alba" simile a quella che è stata inviata nella primavera del 1997 dopo la caduta dello stato albanese nell'anarchia. In realtà, l'idea di un protettorato italiano sull'Albania non è nuova. Essa trova le sue origini ancora nello scorso secolo, quando subito dopo l'unificazione l'Italia ha cominciato a puntare a un controllo dell'Adriatico, cercando in ogni modo e con tutti i mezzi di assumere il controllo del canale di Otranto. Tale controllo potrebbe in parte essere raggiunto se l'Albania dovesse rimanere uno stato debole o se venisse trasformata apertamente in un protettorato italiano.

L'Albania come stato debole è una variante che risulta gradita anche a due immediati vicini del paese fin dai tempi della Prima guerra mondiale, la Grecia e la Jugoslavia, mentre la sua trasformazione in un protettorato italiano si scontrerebbe con una loro netta opposizione. In tali condizioni, la variante di uno stato albanese povero, debole e isolato, rappresenta il contesto ideale per accontentare entrambe le parti.

La grande svolta prodottasi in Europa Orientale negli anni 1989-1991 ha cambiato i tradizionali equilibri. La disintegrazione della Jugoslavia ha creato le condizioni per un cambiamento degli equilibri dall'idea dell'"Albania, stato debole" a quella dell'"Albania protettorato", come ha sempre desiderato la diplomazia italiana del secolo scorso o dei primi decenni di questo secolo. La Grecia, che da parte sua è isolata e ha un ruolo più ridotto dopo la caduta del comunismo balcanico, non è stata in grado di fare fronte all'Italia, oggi una delle potenze più importanti. E così, per inerzia, l'idea del protettorato sta guadagnando terreno.

A tutti questi schemi di analisi politica manca un fattore importante - il fattore della dinamica della storia moderna. L'anno 1999, il penultimo di questo secolo, non è né il 1919 né il 1939. Oggi non si può parlare di una strategia unitaria, nel senso tradizionale, della diplomazia italiana nei confronti dell'Albania. Fino a poco tempo fa, nella politica italiana verso l'Albania e il Kosovo, si distinguevano in maniera più o meno evidente due linee: quella di Dini e quella di Andreatta. Il primo, che è ancora ministro degli esteri del paese vicino, viene visto a Tirana come il rappresentante di circoli finanziari con determinati interessi in Albania, ma con interessi forse ancora più grandi in Serbia. Andreatta ormai se ne è andato, ma a lui si guarda come al rappresentante di circoli politici che sono vicini alle posizioni degli USA. Non si può dire con precisione quale di queste due linee preferisca maggiormente l'idea del protettorato per l'Albania, ma sembra che il pericolo venga dai politici tradizionali, i quali, pur essendo pochi di numero, fanno molto più insistentemente chiasso, dando a volte il tono anche alla diplomazia ufficiale. Quello che caratterizza i seguaci di questa idea è la scandalosa ignoranza della realtà albanese. In un articolo pubblicato nella prestigiosa rivista italiana di politica estera "Limes", uno degli esperti, che si firma con lo pseudonimo di "Pinocchio", giunge addirittura alla conclusione che "l'Albania è una via di mezzo tra due paesi arabi, la Somalia e l'Algeria". In realtà, la Somalia, con un reddito annuo di 150 USD per abitante, senza nemmeno un chilometro di ferrovia, con una mortalità infantile del 122 per mille e una durata media della vita di 47 anni per le donne e di 43 per gli uomini, assomiglia all'Albania quanto la Sicilia può assomigliare alla California. Dall'altra parte, si traccia un segno di uguale tra l'Algeria, dove i fondamentalisti islamici sgozzano i bambini nella culla per motivi religiosi, e l'Albania che è una dei pochissimi paesi europei che non ha mai conosciuto guerre di religione nella sua storia, se non ai tempi bui del Medioevo. [...]

(dall'articolo "Un protettorato per l'Albania", di Skender Shkupi, pubblicato da AIM, 26 febbraio 1999)


RAMBOUILLET E L'ALBANIA E... DINI

[...] Del tutto inaspettatamente, quando mancavano meno di 24 ore allo scadere del termine aggiuntivo fissato dai paesi del Gruppo di contatto, il segretario di stato americano Albright ha chiesto per telefono che a Parigi presenziasse anche il ministro albanese degli esteri Milo, insieme al pesidente della Commissione esteri del Parlamento, Sabri Godo. Albright ha insistito affinché la Tirana ufficiale esercitasse il proprio influsso su "alcuni membri della delegazione di Rambouillet" che continuavano a opporsi alla firma di un accordo se nel suo testo non fosse stato previsto il diritto a un referendum per l'autodeterminazione.

Non si può dire con precisione quale influsso reale abbia avuto l'arrivo di politici di Tirana sulla decisione presa all'ultimo minuto da parte della delegazione albanese; tuttavia, oggi non è più un segreto per nessuno che i rappresentanti dell'UCK hanno sempre mantenuto e mantengono rapporti con il governo di Tirana. Addirittura, secondo quanto scrive un giornale di Tirana, Hashim Thaci ha visitato Tirana nel luglio dell'anno scorso, quando a capo del governo c'era Fatos Nano. Inoltre, le visite in successione di Demaci, Qosja, Bukoshi, Agani, Hyseni e Surroi nella capitale della "madrepatria" due-tre settimane prima di Rambouillet hanno avuto un ruolo non indifferente nel riavvicinamento dei leader disuniti del Kosovo e nell'unificazione delle loro posizioni. Se è sicuro che i circoli ufficiali hanno poco influsso su Rugova e Bukoshi, è altrettanto sicuro che i rimanenti leader rimangono inclini ad ascoltare, o come minimo a prendere in considerazione, le posizioni dell'Albania.

E mentre il 23 febbraio si avvicinava la scadenza ultima delle ore 15, a Tirana aumentava l'ansia. Il timore che entrambe le delegazioni se ne potessero andare da Rambouillet con la stessa dose di colpa veniva considerato nella capitale albanese come una pesante sconfitta per gli albanesi. In una dichiarazione rilasciata alla stampa il premier Majko ha adirittura parlato di un "sinistro scenario che vuole rendere colpevole la delegazione albanese del mancato raggiungimento di un accordo". Negli ambienti ufficiali giornalistici circolava la voce che dietro a tale scenario vi fossero non solo le mosse della delegazione di Milosevic, ma anche le dichiarazioni dei funzionari russi e del ministro degli esteri italiano Dini, il quale ha apertamente dato la colpa alla delegazione albanese per il mancato raggiungimento di un accordo.

Il quotidiano di Tirana "Gazeta Shqiptare", finanziato da italiani, ha aspramente criticato nel suo numero di martedì il ministro italiano degli esteri. Tale giornale ha anche pubblicato uno schema delle divisioni all'interno dello stesso Gruppo di contatto. Secondo le schema tre più tre, dalla parte degli albanesi ci sarebbero gli USA, la Germania e la Gran Bretagna, mentre dalla parte dei serbi ci sarebbero la Russia, la Francia e l'Italia. "Fonti americane che hanno desiderato rimanere anonime hanno affermato che Lamberto Dini si è pronunciato apertamente dalla parte dei serbi", scrive "Gazeta Shqiptare" nell'articolo già menzionato. Tra i funzionari albanesi non si nasconde il nervosismo riguardo alle ultime prese di posizione italiane, un fatto che non si esclude possa riflettersi anche sui rapporti bilaterali che sono pieni di saliscendi continui. Ciò che è stato raggiunto a Rambouillet viene commentato in diversi modi a Tirana. Mentre gli ambienti di governo hanno accolto l'esito di Rambouillet con un limitato ottimismo, l'opposizione di Berisha lo ritiene un insuccesso.

Nella dichiarazione diffusa dal governo albanese solo qualche minuto dopo la fine delle trattative a Rambouillet, oltre a salutare con favore l'accordo politico, si dice che "questo Accordo diventerà realtà solamente mediante gli strumenti militari e politici della NATO e dell'OSCE". Il presidente Meidani ha inviato una lettera di congratulazioni dai toni molto moderati alla delegazione albanese a Rambouillet. Da parte sua, Berisha, che nel corso della durata della conferenza ha chiesto come unica soluzione l'indipendenza del Kosova, non ha esitato a dichiarare immediatamente che il "Gruppo di contatto ha dato la vittoria a Milosevic. Ritengo e continuerò a ritenere che l'indipendenza sia la migliore soluzione per il Kosova", ha detto Berisha. Tuttavia, Berisha ha comunque espresso il proprio appoggio alla delegazione albanese a Rambouillet anche per evitare "una crisi nella rappresentanza degli albanesi". [...] [Berisha, in un suo comunicato ufficiale diffuso nei giorni scorsi, ha chiesto apertamente agli albanesi del Kosovo di firmare l'accordo così come è, cioè senza referendum per l'autodeterminazione e con il disarmo dell'UCK, auspicando che Demaci ponga fine alla propria opposizione a una tale soluzione - si veda ATA, 24 febbraio 1999]

(dall'articolo "A Rambouillet gli albanesi vincono 0 : 0", di Remzi Lani, pubblicato dalla AIM, 25 febbraio 1999)


RUGOVA, DEMACI E L'UCK

Il presidente kosovaro Rugova ha dichiarato ai giornalisti venerdì 26 febbraio: "L'accordo temporaneo è mirato a fermare gli spargimenti di sangue in Kosovo e a consentire alle sue istituzioni di funzionare... nonché ad aprire nuove prospettive al Kosova e al suo popolo. Vogliamo che l'accordo venga firmato nel più breve tempo possibile e che truppe NATO vengano dispiegate al più presto al fine di offrire sicurezza a tutta la gente del Kosova e della regione". Il rappresentante politico dell'UCK Demaci ha invece affermato: "Se l'UCK e il quartier generale faranno l'errore di accettare [l'accordo], opererò una scissione e me ne andrò per la mia strada. Ma finora ho il sostegno del quartier generale e dei comandanti dell'UCK". Demaci ha inoltre detto che i delegati in Francia avevano un mandato per negoziare un accordo di pace, e non per formare un nuovo governo. "Quello che hanno fatto va contro le nostre raccomandazioni". Demaci ha dichiarato che la resistenza armata dell'UCK proseguirà e che i ribelli lavoreranno a un nuovo progetto con nuove persone sotto la direzione dell'UCK, che sarà la principale forza politica e militare del Kosovo. "Ora staremo a vedere cosa succede. Penso che il 15 marzo non accadrà nulla di buono. Si tratta di un progetto fallito", ha detto egli, aggiungendo: "Sono contro gli elementi internazionali che cercano di ingannarci imponendoci una falsa autonomia, che non farà altro che fare proseguire gli spargimenti di sangue e la schiavitù degli albanesi, senza risolvere il problema e rimandandolo solamente nel tempo" (Reuters, 26 febbraio).

Secondo voci non confermate a partire dall'inizio di marzo e su invito del Segretario di Stato USA Albright, una delegazione dell'UCK visiterà Washington per discutere dell'eventuale firma di un accordo per il Kosovo. Inoltre, per oggi, 1° marzo, è previsto l'arrivo a Pristina del mediatore statunitense Hill e di quello europeo Petritsch, che dovrebbero recarsi successivamente a Belgrado (Kosovapress, 28 febbraio)

(traduzioni e titoli di A. Ferrario)