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LA PRIVATIZZAZIONE DELLA POLITICA IN SERBIA

di DIANA JOHNSTONE

"Nazionalista" è l'epiteto preferito, ma in realtà la posta in gioco è il mercato

 

[Segnaliamo che l'articolo è stato pubblicato alcuni mesi fa e più precisamente nel marzo '97 - n.d.t.]

Belgrado - Nell'interessarsi tardivamente alla democrazia serba durante le dimostrazioni di protesta dello scorso inverno, i media occidentali sono riusciti a lasciare largamente intatti i loro stereotipi, insistendo sul presupposto che l'approccio più appropriato, quando si tratta di Serbia, è quello di sottoporla a un esame per il suo "nazionalismo" con una severità alla quale ben pochi altri paesi sulla faccia della terra sono stati sottoposti. Ogni giorno della settimana, molto più "nazionalismo" viene esibito negli Stati Uniti, per non parlare della Gran Bretagna, della Francia, della Turchia ecc., che nella piccola Serbia con i suoi 8 milioni di abitanti, assillati da pressanti problemi.

Ma naturalmente, poiché è stato stabilito dal consenso dei media nella grande innocente entità chiamata "comunità internazionale" - per definizione libera dai peccati del nazionalismo - che la Serbia deve essere il prototipo di un nazionalismo pericolosamente aggressivo nel corso del ventesimo secolo, è obbligatorio adeguarsi a degli standard speciali.

A un primo sguardo, Belgrado non sembra essere all'altezza della sua reputazione di centro del nazionalismo estremo. Le bandiere serbe sono raramente esposte, anche negli edifici pubblici. Durante le dimostrazioni di protesta degli studenti, sono state preferite le bandiere dell'Unione Europea, degli Stati Uniti e perfino della Germania. Nonostante i più di 600.000 rifiugiati dalla Croazia e dalla Bosnia-Erzegovina, quattro anni di sanzioni economiche senza precedenti e un'inflazione galoppante che nel 1993 ha raggiunto livelli peggiori della leggendaria inflazione della Repubblica di Weimar, che ha portato all'ascesa al potere di Hilter, la città non risulta assolutamente depressa e trascurata. La gente è sorprendentemente tranquilla, sicura e decisa. Ci sono pochi mendicanti. Il trasporto pubblico e il cibo sono abbondanti. I giornali e le riviste dell'opposizione sono esposti a ogni angolo della strada e vendono come torte appena sfornate. Il tabloid Blitz, di proprietà tedesca, è il quotidiano più diffuso del paese.

La ricerca obbligatoria del nazionalismo serbo può per fortuna contare su una fonte sicura: le accuse rivolte agli opponenti politici dai serbi che danno interviste ai media occidentali. Chiamare il proprio avversario politico "nazionalista" è sicuramente il modo più sicuro per essere presi sul serio da un giornalista straniero.

Altrimenti, il nazionalismo no è esattamente quello a cui pensano i belgradesi. Tutti concordano che il principale problema politico è quello dell'economia. E tutti concordano sulla necessità delle privatizzazioni. La domanda non è se, ma come - e per opera di chi. E' questo il problema centrale in tutti i paesi in transizione dal socialismo di stato al capitalismo.

In tutta l'Europa Orientale, la "rivoluzione" contro il sistema comunista è avvenuta dall'alta in basso, guidata dai leader di partito e dai manager che vedevano migliori opportunità di perpetuare e migliorare i loro vantaggi abbandonando il sistema di comando centralizzato. Ma la Jugoslavia aveva già un'economia sintonizzata sul mercato e un'istituzione del tutto speciale: il "socialismo autogestito". Questo, e le sanzioni economiche, hanno reso il problema delle privatizzazioni più scottante nella Jugoslavia post-disintegrazione (Serbia e Montenegro) che altrove.

La Jugoslavia di Tito aveva stabilito tre categorie di proprietà economica: privata, statale e sociale. Il punto nuovo era il terzo, il settore "sociale", affidato all'"autogestione". Qui, i dirigenti venivano eletti dai dipendenti, i cui interessi dovevano essere presi in considerazione, così come i fattori di mercato, in misura maggiore di qualsiasi altro paese socialista. Questo settore sociale include ancora le principali fabbriche, come l'acciaieria di Smederevo, l'industria elettrica di Nis e l'area politicamente più delicata: quella delle telecomunicazioni, che include il servizio postale e la televisione.

Un errore fatale del socialismo autogestito è consisto nel fatto che, senza il controllo democratico delle principali decisioni di investimento, la tendenza è stata quella di incentivare gli interessi egoistici locali delle aziende. E in effetti, la natura centrifuga del sistema autogestito ha contribuito alla catastrofica disintegrazione finale della Jugoslavia.

Il debito estero, e le conseguenti misure di "aggiustamento strutturale" imposte dal FMI negli anni '80, hanno spinto l'economia jugoslava verso la privatizzazione. Ideologicamente, la privatizzazione è stata giustificata in tutta l'Europa Orientale in nome della teoria della "società civile", che ha avuto una fioritura nella sinistra libertaria occidentale prima del crollo del comunismo. L'espressione economica ideale della società civile, dal punto di vista della sinistra, non era un tempo il capitalismo senza limiti, ma piuttosto "l'autogestione dei lavoratori", uno dei concetti favoriti della sinistra europea occidentale, fino a non molto tempo fa. Teoricamente, era proprio quello che aveva la Jugoslavia.

"Insegnavo ai lavoratori le virtù del socialismo autogestito e le illustravo agli amici occidentali di sinistra che venivano qui ammirati", ricorda Anna storcendo il naso. "Ora me ne vergogno. Forse poteva funzionare in Svezia, ma no altrove e di sicuro non qui. I lavoratori non erano interessati a gestire niente. Non dovevano assumersi responsabilità. Venivano pagati regolarmente - non necessariamente molto, ma almeno lavoravano meno. C'è un detto, da noi, che suona così: 'Non riuscirete mai a pagarmi così poco come lavoro'".

Le persone istruite cercano perlopiù di avere un posto in una impresa privata, ma non vedono come. Le sanzioni e l'inflazione hanno prosciugato i risparmi e ridotto i salari e le pensioni alla mera sussistenza. Il figlio di Anna, dopo avere preso parte alle proteste studentesche del 1991 e del 1992, si trova a New York dopo avere ottenuto la sua "carta verde"; altri circa 200.000 giovani hanno lasciato la Serbia per evitare di combattere una guerra civile alla quale si opponevano - una percentuale molto più alta dei giovani in età di leva americani che sono emigrati in Canada per non combattere in Vietnam. Anna stessa, un'economista in pensione, ha lavorato brevemente come cuoca a Miami ed è alla ricerca di un'altra opportunità simile.

La Costituzione del 1992 protegge il terzo settore, stabilendo che deve essere "trattato in maniera uguale" agli altri tipi di proprietà. La coalizione al governo, composta dal Partito Socialista Serbo (SPS) del presidente Milosevic e dal suo partner minore, la Sinistra Unita Jugoslava (JUL), afferma che ciò significa che un'impresa di proprietà sociale non dovrebbe essere venduta ai fini della privatizzazione di per se stessa, ma solo nel caso in cui non vada bene e la privatizzazione ne potrebbe migliorare le prestazioni. Indicano come esempio imprese a proprietà sociale che secondo loro vanno bene. Gli esponenti dell'opposizione sostengono che si tratta di un pretesto per proteggere i dirigenti delle imprese a proprietà sociale, che sono la vera base di potere di Milosevic. E' per questo che non le può privatizzare, indipendentemente da quello che dice o che vuole.

"Si tratta essenzialmente di una lotta di potere per la proprietà tra la borghesia 'rossa' e la borghesia 'bianca'", sono le parole con cui la sociologa Vera Vratusa mi ha spiegato la situazione. "Il partito di sinistra JUL è il cuore della borgesia 'rossa'. L'attuale legge in vigore sulle privatizzazioni dà agli amministratori delegati il potere di adottare decisioni chiave in merito alla privatizzazione. La grande maggioranza di essi erano membri del SPS, prima delle ultime elezioni municipali di novembre, oggetto delle contestazioni. Ora che è stata adottata una legge speciale che riconosce le vittorie dell'opposizione nelle maggiori città, in seguito alle lunghe settimane delle dimostrazioni di protesta, i dirigenti vengono sostituiti con membri della coalizione di opposizione Zajedno nelle città in cui ha assunto il potere. Ora utilizzeranno le leggi adottate dal SPS per la propria clientela e per mettere le mani sulla ex-proprietà sociale".

Il governo di Milosevic aveva già adottato un programma di privatizzazioni nel 1991-1992. Quasi il 40 per cento delle proprietà pubbliche è stato venduto, ma il programma è stato sospeso in seguito alle sanzioni e alla comparsa di un'inflazione galoppante. I dipendenti avevano comprato azioni con uno sconto enorme e con pagamento dilazionato, sistema che, con l'arrivo dell'iperinflazione, ha significato che non hanno pagato praticamente nulla. La gente ha ritenuto che ciò non fosse corretto e quindi la vendita è stata sospesa e drasticamente cambiata nel 1994 con una nuova legge che prevedeva la rivalutazione di tutte le proprietà e delle azioni, tenendo conto dell'inflazione.

Nel 1994, il noto economista Dragoslav Avramovic, successivamente candidato del Partito Democratico all'opposizione [poi dimessosi - n.d.t.], ha preso il posto di presidente della Banca Centrale fermando l'inflazione, legando il nuovo dinaro al marco tedesco (vale a dire che non poteva essere emessa più valuta di quella coperta dalle riserve in marchi tedeschi).

Il Partito Democratico chiede una rapida privatizzazione di tutte le imprese di piccole e medie dimensioni. "Dato che nel paese non esiste un capitale, il metodo principale deve essere quello dei voucher", afferma il principale economista del partito, Miroljub Labus. Un'impresa di proprietà sociale verrebbe in tal modo privatizzata distribuendone le azioni in forma di vouchers, tra i cittadini serbi. In parte essi andrebbero ai dipendenti, in parte ai fondi pensionistici; una terza parte verrebbe offerta, e accettata se desiderata, come "conversione del debito" ai titolari di depositi congelati (che secondo le stime dovrebbero ammontare a una cifra compresa tra $4 e $5 miliardi), ai quali il sistema bancario - distrutto dalle sanzioni e dall'inflazione - non è in grado di fare fronte. Una quarta e ultima parte dei beni nazionali verrebbe distribuita agli altri cittadini.

E in tutto questo, come si inseriscono i lavoratori? Questa vendita di proprietà statali verrà utilizzata almeno in parte per fornire un ammortizzatore sociale destinato ai dipendenti che perdono il posto di lavoro con la privatizzazione? Assolutamente no. "Non ci sono soldi per un ammortizzatore sociale,", afferma Labus. Comunque, "a causa delle sanzioni, le nostre aziende inefficienti sono già in stato fallimentari. Le sanzioni hanno introdotto un aggiustamento strutturale forzato, ottenendo lo stesso risultato che hanno ottenuto le privatizzazioni all'Est". Il governo ha smesso di pagare i sussidi alle ditte che per continuare ne avevano necessità.

Durante l'embargo economico, i licenziamenti erano proibiti. Ma il giugno scorso, con le sanzioni parzialmente cancellate, la maggioranza di sinistra in Parlamento ha adottato una "legge sui rapporti di lavoro", che dà praticamente ogni potere ai dirigenti e ai proprietari. E' ora diffusa la paura che nel momento in cui le imprese diventeranno private, i dirigenti licenzieranno la manodopera in eccedenza. Nei prossimi mesi, in virtù di questa legge, potrebbero essere cancellati fino a 400.000 posti di lavoro. Ciò lascia pensare che lavoratori i quali in precedenza avevano votato per Milosevic a causa della paura di perdere i loro posti di lavoro, potrebbero diventare un fattore imprevedibile nelle elezioni presidenziali di quest'anno.

L'elemento centrale della privatizzazione, dice Labus, deve essere semplicemente quello di "creare un quadro legale per le imprese. Il problema è quello della corruzione che si sviluppa attraverso gli stretti contatti tra il governo e le imprese. Il commercio estero, in particolare, offre delle grandi opportunità per la corruzione, dato che è il governo ad assegnare le licenze di esportazione. Dobbiamo rompere il nesso tra lo stato e il commercio. Quello che importa è il controllo, chi gestisce le imprese e l'influenza esercitata dal partito di governo. Dato che le aziende di proprietà sociale sono la vera base del potere del SPS, si tratta di un problema politicamente molto delicato".

Con le sue priorità, la piattaforma del Partito Democratico costituisce chiaramente un programma "borghese", adatto a un partito di centro-destra che va fiero dei suoi contatti internazionali con i partiti conservatori al potere in Germania, Gran Bretagna e Francia, con Forza Italia in Italia, con il Partito Democratico negli Stati Uniti. Zoran Djindjic, l'attuale leader del Partito Democratico Serbo e il nuovo sindaco di Belgrado, ha utilizzato il tedesco che ha perfezionato studiando teoria della "società civile" presso il filosofo Jurgen Habermas, per cercare di ottenere supporto dal governo conservatore di Bonn.

"Riteniamo che la gente accoglierà con favore il metodo dei voucher", dice Labus. "E' questa la questione politica essenziale: la gente deve considerare il metodo corretto". Potrebbe essere mai questo il nucleo internazionalmente inaccettabile del "nazionalismo" dell'opposizione serba? A quanto pare nessuno, nell'ambito della politica serba, ha dichiarato apertamente la necessità di svendere l'economia al più basso offerente estero. Tutti sembrano essere più preoccupati dalla prospettiva di una rivolta popolare di fronte a misure considerate ingiuste.

Le dimostrazioni dell'inverno scorso hanno acceso una prudente speranza, a Belgrado, che la Serbia possa riconquistarsi l'accesso all'Europa e all'Occidente. Ma forse la "comunità internazionale" sa qualcosa che i serbi non sanno. Il 12 gennaio, la Reuters scriveva da Sarajevo che l'alto rappresentante internazionale in Bosnia, cioè l'ex-primo ministro svedese Carl Bildt, ha dichiarato che la Serbia "si trova sull'orlo del disastro finanziario", e il funzionario del Tesoro americano David Lipton, ha messo in guardia i serbi di Bosnia dal non seguire la Serbia "nel suo tragitto verso il basso lungo la valle dell'economia - una valle di disperazione e isolamento".

Dal momento del crollo del comunismo i paesaggi politici hanno cominciato a essere confusi. La destra estrema è abbastanza facile da identificare: si tratta del Partito Radicale Serbo (SRP) di Vojislav Seselj. Per provarlo, basta citare il fatto che Jean-Marie Le Pen, il leader del Fronte Nazionale Francese, è stato recentemente ospite di Seselj a Zemun, la roccaforte del SRP appena fuori da Belgrado in direzione nord-ovest. La Forza del Fronte Nazionale in Francia è maggiore di quella del SRP in Serbia. Le Pen ha lodato la comunità di valori che unisce i nazionalisti di tutti i paesi, una nozione bizzarra se si considerano le devastazioni che i nazionalisti serbi e croati hanno così di recente scatenato gli uni contro gli altri nella vicina Croazia. Ma ha il suo grano di verità: i nazionalisti si rafforzano a vicenda. In questo, Le Pen, i cui seguaci hanno tradizionalmente dato la preferenza alla destra estrema croata, antiserba, non sono meno coerenti di altre, più rispettabili, forze politiche europee, il cui antinazionalismo si è mostrato estremamente selettivo.

Che piaccia o meno, la sinistra serba ora consiste del SPS al governo e della JUL, il suo piccolo "think tank" - una coalizione di partiti di sinistra guidata dalla moglie di Milosevic, Mirjana Markovic. La JUL si dichiara antinazionalista e si vanta di avere staccato Milosevic dalla destra estrema, di cui aveva avuto bisogno per la precedente maggioranza parlamentare, consentendogli di firmare gli accordi di Dayton.

"L'Occidente non capisce che Milosevic doveva fare un accordo con i nazionalisti per prevenire la guerra civile tra serbi", afferma il portavoce internazionale della JUL, prof. Vladimir Stambuk. "Nei fatti, non è mai stato a favore di una "Grande Serbia". La prova è che in una Serbia ampliata perderebbe il potere, perché la maggior parte dei serbi della Bosnia-Erzegovina sono cetnici - voterebbero per Karadzic". Stambuk è rimasto meravigliato dal fatto che sofisticati esperti occidentali siano stati incapaci di individuare questo punto di vista di Milosevic, nonostante appaia ovvio a molti, a Belgrado.

La storia balcanica è un campo minato di conflitti che non sono assolutamente tutti "etnici". Il conflitto del 1941-1945 tra i cetnici filomonarchici, guidati dal gen. Draza Mihajlovic - il primo movimento di resistenza armata contro i tedeschi nazisti in Europa - e i partigiani comunisti ha lasciato delle divisioni tra i serbi, che alcuni temono possano portare a una guerra civile in Serbia. Nel 1946, dopo il trionfo di Tito, Mihailovic è stato giustiziato come traditore. Allo scopo, ufficialmente, di promuovere "la fratellanza e l'unità" tra i serbi e i croati, agli scolari jugoslavi è stato insegnato di considerare come uguali i cetnici con gli ustascia fascisti croati sostenuti dai nazisti, che hanno perseguito una spietata pulizia etnica dei serbi in Croazia e in Bosnia-Erzegovina, seguendo la formula: "Ucciderne un terzo, convertirne un terzo, espellerne un terzo".

Il professor Stambuk, il quale rispete insistentemente di essere uno "jugoslavo e non un serbo", rappresenta chiaramente la parte partigiana, che secondo lui continua la tradizione della dinastia Obrenovic, che ha regnato in Serbia nel diciannovesimo secolo, pronta a fare concessioni agli imperi ostili, cioè a quello ottomano o a quello absburgico, al fine di preservare l'interesse nazionale. Milosevic vuole conciliare l'Occidente, sottolinea. Ma, a quanto sembra, praticamente è quello che vogliono tutti, in Serbia. [...]

Durante le dimostrazioni di protesta, il "supporto" dato dall'Occidente [all'opposizione] è sembrato prendere la forma di rinnovate minacce di isolare la Serbia e di rovinarne l'economia in maniera più decisa. Dopo Dayton, c'è stata l'impressione, in Serbia, che l'occidente appoggi Milosevic. Le cose sono cambiate, e oggi l'opposizione spera che gli Stati Uniti e l'Europa mostrino maggiore comprensione per gli interessi essenziali di una futura Serbia di "centro-destra", piuttosto che per quella marchiata come "comunista". Il fascino discreto della borghesia - funzionerà?

Diana Johnstone, ex-redattore europeo di In These Times, è stata addetto stampa dei Verdi nel Parlamento Europeo dal 1990 al 1996.

[da: "The Nation", 24 marzo 1997]