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![]() BOSNIA: GLI AIUTI DANNO FORZA AL SEPARATISMO di Nebojsa Vukadinovic Un anno dopo Dayton è chiaro che le considerazioni politiche hanno preso il sopravvento sulla razionalità economica. Ogni entità ha sviluppato proprie reti di comunicazione e dispone di fonti di energia proprie. Nel paese circolano tre monete diverse - oltre al marco tedesco - nonostante la creazione di istituzioni comuni come la Banca Centrale, che dovrebbero promuovere l'unificazione. In prima fila sono comparsi la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e l'Unione Europea, in contrasto con il ritiro delle Nazioni Unite. Tuttavia, questi soggetti stanno agendo in un contesto bilaterale e seguono una propria logica, spesso dettata da considerazioni internazionali. I paesi che hanno investito di più nel processo di mantenimento della pace nel corso degli ultimi quattro anni, come la Francia e la Gran Bretagna, sono molto meno coinvolti nella ricostruzione. La guerra ha profondamente trasformato il paesaggio economico del paese. Le aree sviluppate del centro sono state marginalizzate, a vantaggio delle aree meno sviluppate. Quindi i primi progetti di ricostruzione mirati a ristabilire i vecchi modelli economici integrando l'attività economica delle diverse entità hanno avuto invece la tendenza di accentuarne la separazione. Il processo di ricostruzione può anche essere inquadrato nel contesto delle politiche di assistenza internazionali che promuovono la trasformazione sistemica dei paesi dell'Europa Centrale e Orientale. L'entusiasmo dei paesi donatori all'inizio del processo era basato sulla speranza che i primi flussi di aiuti avrebbero incoraggiato le forze interne passibili di portare a una crescita. Ma il 1996 ha rivelato un evidente divario tra le concezioni neoliberali dei soggetti esterni di influenza e la realtà politica bosniaca. Gli effetti della guerra. Fin dal 1992 varie missioni di esperti hanno cercato di valutare gli effetti della guerra. Secondo le stime della Banca Mondiale la popolazione è diminuita di circa 1 milione, da un totale di 4,39 milioni prima della guerra: un milione di persone ha lasciato il paese, mentre ci si attende che circa 200.000-300.000 torneranno. La guerra ha causato circa 200.000 morti. Dei 3,4 milioni abitanti attuali della Bosnia, all'incira due terzi vivono nella Federazione Bosniaco-Croata e un terzo nella Repubblica Serba (RS). L'attuale struttura della popolazione è il risultato della pulizia etnica messa in atto fin dal 1992. La ricostituzione del mosaico etnico prebellico sembra estremamente improbabile a breve termine. E' difficile valutare l'ammontare complessivo dei danni di guerra. Secondo stime della Banca Mondiale ammontano a $15 miliardi, mentre varie autorità bosniache ritengono citano cifre intorno ai $150-200 miliardi. Il Prodotto Nazionale Lordo (PNL) pro capita è diminuito da USD 1.900 nel 1990 a USD 500 nel 1995. All'inizio del 1996, la produzione industriale non era superiore al 5-19 per cento dei livelli di produzione del 1990 e la produzione interna di cibo copriva solo una porzione molto piccola del fabbisogno. Molte aziende hanno ereditato una buona dose di sprechi dal vecchio sistema. Inoltre, lo stato ha accumulato arretrati di pagamento originati dalla sua porzione del debito estero della ex-Jugoslavia. Alla fine del 1995, il debito totale della Bosnia ammontava a USD 3,229 miliardi (che includevano USD 703 milioni in prestiti multilaterali, USD 521 milioni dovuti al Club di Parigi dei creditori governativi, e USD 1112 milioni al Club di Londra delle banche commerciali). Come il costo dei danni, la somma necessaria per la ricostruzione è difficile da stimare. Le autorità di Sarajevo citano una cifra di USD 47 miliardi, mentre i paesi donatori hanno stanziato USD 5,1 miliardi per il triennio 1996-99, di cui USD 3,7 miliardi sono destinati alle aree della federazione croato-musulmana e USD 1,4 miliardi alla Repubblica Serba. Evidentamente le autorità bosniache hanno sperato in un aiuto molto più sostanziale, ma i donatori sono stati prudenti. Hanno contato sul fatto che i meccanismi economici interni avrebbero generato le risorse necessarie per la crescita. Ma la situazione politica presenta il maggiore ostacolo a una vera ripresa economica. I soggetti donatori Vari tipi di donatori sono impegnati nello sforzo di ricostruzione: stati, organizzazioni internazionali, fondazioni private, associazioni e circa 300 NGO. I principali donatori si sono incontrati molte volte per definire i rispettivi campi di azione, per identificare misure da adottare e per determinare come ciascuno avrebbe contribuito. Ogni paese partecipante ha le proprie motivazioni e la propria logica ispiratrice, ma il punto di riferimento rimangono gli accordi di Dayton. L'UE avrebbe preferito il piano Owen-Stoltenberg, ma le autorità statunitensi non parteciperebbero mai a un processo di cui non sono gli autori. Per quanto riguarda altri partecipanti, il contributo del Giappone, ammontante a USD 130 milioni per il 1996 può essere largamente attribuibile al suo desiderio di diventare membro del Consiglio di Sicurezza dell'ONU. Tra gli stati europei, l'Olanda ha conquistato il primo posto con USD 101,72 milioni per il 1996. L'opinione pubblica di questo paese è stata particolarmente sensibile agli eventi militari e all'impotenza delle forze internazionali quando le cosiddette aree protette, particolarmente Srebrenica, sono state conquistate. Uno spirito simile spiega l'impegno della Svezia, che è pari a USD 29,69 milioni. L'Italia partecipa con USD 62,86, un fatto che può essere spiegato dalla prossimità geografica e dal desiderio di svolgere un ruolo strategico nella regione. La partecipazione della Gran Bretagna (USD 33,6 milioni) mostra che anche questo paese vuole essere presente nei Balcani. La Germania, che contribuisce con USD 39,25 milioni, è degna di nota perché offre rifugio a centinaia di migliaia di rifugiati dalla ex-Jugoslavia. Dato il suo coinvolgimento fin dall'inizio della crisi jugoslava, ci si sarebbe aspettati un impegno più sostanziale. Ma la Germania contribuisce anche al bilancio dell'UE. La Francia non vuole recedere da un processo in cui ha avuto già una partecipazione significativa. Il suo impegno diretto è relativamente piccolo, ma il suo contribuito ai USD 367,12 milioni stanziati dalla Commissione Europea è notevole. Il contributo limitato dei paesi islamici ha sorpreso gli altri paesi, ma essi comunque partecipano alle conferenze e la collaborazione bilaterale e commerciale sul terreno consente loro una notevole libertà di azione. La Russia partecipa indirettamente postponendo il rimborso del debito dovuto dalla Bosnia. La modestia del suo contributo riflette la sua disapprovazione della regolazione del conflitto guidata dagli Stati Uniti. Tra le organizzazioni internazionali, la Banca Mondiale e l'Unione Europea occupano il primo posto, non solo per quanto riguarda le somme stanziate, ma anche per le risorse organizzative e informative che hanno dispiegato. Il debole contributo della Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo (EBRD) riflette la politica generale di questa istituzione, che è quella di affrontare principalmente le esigenze che trovano origine nella transizione a una economia di mercato. Le sue attività sono soprattutto in supporto del settore privato. In cerca di stabilità Finanziando la ricostruzione, i donatori segnalano alla popolazione e ai leader della Bosnia che vogliono instaurare la stabilità. Ma anche se la ricostruzione dovesse rendere possibile lo sviluppo economico, non si avrebbe per questo automaticamente la stabilità. In base agli accordi di Dayton, la Bosnia è diventata uno stato fatto di due entità, ognuna in possesso del diritto di stabilire relazioni speciali con la Serbia, in un caso, e la Croazia nell'altro. Nelle istituzioni del governo centrale, gli accordi danno il diritto di veto a ciascuno dei tre popoli. Ciò ha portato alla paralisi istituzionale ai più alti livelli dello stato. Inoltre, l'instabilità di Mostar ha dimostrato la fragilità della Federazione Croato-Bosniaca. Gli accordi di Dayton, tuttavia, rappresentano un punto di svolta nella crisi bosniaca. Rendono chiara l'incapacità dell'UE e dell'ONU di trovare una soluzione al conflitto, confermando allo stesso tempo la necessità che queste due entità rimangano coinvolte. Ma gli accordi di Dayton corrispondono anche a una visione americana del mondo, una visione che stabilisce nessi tra pace, principi di mercato, libertà religiosa e democrazia. Nonostante le rispettive differenze, i donatori hanno sottolineato l'importanza di rispettare il contesto di Dayton. Nel luglio 1996, Carl Bildt ha dichiarato: "Durante gli ultimi tre mesi è stata la prospettiva del ritiro dell'assistenza economica che in molti casi ha portato le parti a rispettare gli accordi". L'estensione a due anni degli obiettivi inizialmente con scadenza a un anno riflette l'incertezza della comunità internazionale e la fragilità delle fondamenta su cui viene costruita la pace. Fin da Dayton, le principali riunioni dei donatori mirate a pianificare e a implementare il quadro generale della ricostruzione si sono tenute a Bruxelles. I serbi di Bosnia, che hanno protestato per il mancato invito alla prima conferenza, sono stati invitati alla seconda, ma hanno scelto di non partecipare. Ciò indica l'instabilità delle nuove istituzioni comuni e la difficoltà nel coordinare gli obiettivi economici interni (valuta comune, politica macroeconomica, banca centrale) con gli aiuti economici esterni. La suddivisione dei compiti Visto il vasto numero di enti governativi di assistenza e di istituzioni multilaterali impegnato nello sforzo di ricostruzione, è stato necessario mettere a punto dei programmi di ricostruzione congiunti. Questi dividono i settori di attività tra varie entità a carattere generale e specializzate. Ma la convergenza degli sforzi internazionali è una conseguenza anche della competizione tra le organizzazioni internazionali stesse. La Banca Mondiale svolge il ruolo principale nella ricostruzione strutturale e settoriale, in collaborazione con l'UE e con enti specializzati. Il FMI interviene in un contesto più ampio, in collaborazione con le relative autorità delle entità, per preparare le future politiche macroeconomiche. Ha anche assunto un ruolo guida nello sviluppo di un sistema fiscale. L'Ente degli Stati Uniti per lo Sviluppo Internazionale (USAID) ha dato aiuti soprattutto alla federazione. La sua priorità è stata quella di assistere le imprese private di Sarajevo o di luoghi in cui sono dispiegate truppe americane, anche se prevede di aumentare i propri finanziamenti alla Repubblica Serba. Ogni paese coinvolto ha i suoi meccanismi per aiutare le proprie aziende a ottenere contratti per vari aspetti della ricostruzione. Le varie riunioni dei donatori operano un'armonizzazione tra le strategie dei paesi donatori e le esigenze di ricostruzione, assegnando priorità tra le varie aziende straniere. Tra speranza e realtà Nonostante la lenta distribuzione dei fondi, le riunioni dei donatori hanno messo in moto un processo irreversibile. L'economia ha sentito i primi effetti della ricostruzione nel 1996: la produzione è ripresa, i salari sono aumentati e la distribuzione delle merci è migliorata. Tuttavia la differenze regionali sono aumentate, la demobilitazione non è stata seguita da un massiccio aumento dei posti di lavoro e si sono verificati scioperi. Le relazioni istituzionali tra le varie entità e all'interno della federazione rimangono instabili. L'impatto e i limiti del processo di ricostruzione non vengono ancora pienamente compresi Il contesto giuridico di Dayton ha posto delle fondamenta, ma sono intervenuti altri fattori: le promesse dei donatori, gli accordi di coordinazione, le aspettative, l'implementazione dei progetti, gli sviluppi politici interni e gli interessi strategici degli attori internazionali. Problemi esistenti a ciascuno di questi livelli hanno rinfocolato lo spettro di un nuovo conflitto. Persistono quindi i dubbi in merito alla rilevanza degli accordi di Dayton, che sono il pilastro su cui poggia la ricostruzione. L'immagine della ricostruzione soffre della fragile base su cui si appoggia. -------------------- Nebojsa Vukadinovic è ricercatore presso la Fondation Nationale Française de Sciences (da "New Europe", 24-30 agosto 1997) |