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![]() NOTIZIE EST #130 - EUROPA/KOSOVO UNGHERIA: CAMPI DI CONCENTRAMENTO PER I PROFUGHI KOSOVARI Nel freddo corridoio di una caserma ungherese, una bambina di cinque anni cerca disperatamente di aprire una porta chiusa a chiave che potrebbe portarla alla libertà. Elli e la sua famiglia, tutti albanesi del Kosovo, nei primi mesi di quest'anno hanno visto il proprio villaggio messo a fuoco dalle forze speciali serbe. Come centinaia di loro compatrioti, stanno ora passando un altro inferno, rinchiusi all'interno di uno delle più degradanti prigioni d'Europa. Migliaia di adulti e bambini sono costretti a passare il Natale in condizioni terrificanti presso i cosiddetti rifugi collettivi come quello di Gyor, poco meno di cento chilometri a ovest di Budapest. I detenuti, per la maggior parte provenienti dal Kosovo, sono vittime della nuova determinazione di alcuni stati dell'Unione Europea che, di fronte ai fenomeni migratori, cercano di deviare un crescente flusso di profughi provenienti dalle guerre dei Balcani. Molti finiscono così in stati ex socialisti, come l'Ungheria. A un primo sguardo, la caserma di Gyor non sembra proprio una prigione. La sua attuale funzione sarebbe quella di sede regionale delle guardie di frontiera ed è circondata da giardini. L'impressione di un edificio ordinato e ben mantenuto viene distrutta, tuttavia, non appena la porta si apre e si entra in una piccola ala dell'edificio in cui i profughi sono confinati giorno e notte. "Quello che sta per vedere è certamente inumano e ingiusto", ha ammesso Kandor Sadoz, un capitano delle guardie di confine responsabile del rifugio. Circa 200 profughi sono ammassati in otto stanze da letto costruite per ospitare 50 persone. Dietro a una porta interna chiusa a chiave, i bambini se ne stanno schiacciati dietro le inferriate, stringendo il metallo con le loro dita. Sono guardati a vista da guardie armate di bastoni di legno e di lacrimogeni. Un puzzo di orina e di feci quasi insopportabile proveniente dai lavatoi completamente chiusi riempie l'aria. La maggior parte di coloro che sono internati a Gyor sono amareggiati e confusi per il loro destino. Ebie Piveci, 40 anni, ha vissuto in Germania per otto anni, lavorando come spazzino e riuscendo ad affittare un appartamento tutto per sé, prima di tornare in Kosovo in autunno per fare fuggire i suoi bambini dalla guerra. La sua famiglia è stata fermata dalla polizia di frontiera mentre era appena entrata in Austria diretta verso la Germania ed è stata riportata indietro, in territorio ungherese, a Gyor. "Pensavo di essere sicuro in Germania, non mi attendevo alcun problema al ritorno", racconta Piveci, mostrando il suo tesserino della previdenza sociale e del servizio sanitario tedesco. "Mi hanno respinto e ora siamo rinchiusi a chiave in questo inferno. Nessuno ci dice cosa succederà dopo. Non mi stanno nemmeno ad ascoltare". Un suo compagno albanese del Kosovo, Arsim Zojulahu, di 20 anni, che racconta di essersi nascosto in una foresta per settimane, dopo che il suo villaggio è stato distrutto, è detenuto nel campo da più di 100 giorni, dopo avere cercato di passare il confine verso l'Austria. "Sto contando ogni ora che passo qui", dice. "Mi trattano come un criminale". In teoria, i "rifugi comunitari" gestiti dalle guardie di confine sono destinati a offrire un alloggio solo temporaneo. Gli immigranti dovrebbero rimanervi in attesa per uno o due mesi, mentre la loro identità e il loro status vengono riscontrati. Sebbene molti vengano poi rimandati al loro paese di origine, quelli che hanno qualche speranza di potercela fare vengono inviati in centri di accoglienza per i profughi - nei quali le condizioni sono notevolmente migliori - mentre le loro domande vengono esaminate. Nei fatti, molte persone, come Zojulahu, sono costrette a passare periodi molto più lunghi nel campo di Gyor. Dopo averne provato tutte le durezze, spesso accettano volontariamente di tornare indietro. I gruppi per la salvaguardia dei diritti umani affermano che le condizioni in atto a Gyor stanno diventando sempre più diffuse in tutta l'Europa centrale e orientale, in conseguenza del fatto che i paesi dell'Europa occidentale rifiutano l'accesso a un numero sempre maggiore di profughi e immigrati sprovvisti di visto d'immigrazione. Molti di essi vengono spediti indietro in "paesi terzi sicuri" come l'Ungheria, senza che venga fatto alcun tentativo di verificare le circostanze che li hanno portati a emigrare. Questi paesi, sempre propensi a farsi in quattro per fare favori all'Unione Europea, hanno accettato di prendere indietro i rifugiati nonostante le loro risorse disperatamente inadeguate. "Molti paesi dell'UE vogliono che anche la Russia diventi un 'paese terzo sicuro'", dice Saul Takahashai, un operatore di Amnesty International che si occupa di profughi. "Le conseguenze di tutto ciò per i profughi sono atroci". Ma non sono solo i paesi ex socialisti che riservano un simile trattamento ai profughi. In Svizzera, uno dei paesi più ricchi d'Europa, i profughi che cercano asilo vengono rinchiusi in uno di cinque rifugi nucleari sotterranei, prima di essere trasferiti in campi militari abbandonati. Secondo le nazioni unite circa 70.000 albanesi del Kosovo hanno raggiunto l'Europa occidentale quest'anno e stanno attendendo di stabilirvisi. Altri 170.000 che sono stati costretti ad abbandonare le loro case vivono ancora in Kosovo e fanno aumentare i timori di un nuovo flusso di rifugiati. I responsabili di Gyor e degli altri campi ungheresi sostengono di fare del loro meglio per aiutare i profughi e di non potere fare molto di più. "Sembra di vedere un film al contrario, dove ora è l'Occidente a costruire una nuova cortina di ferro", dice un funzionario del ministero dell'interno. Per gli internati, che affermano di essere sottoposti a un trattamento durissimo da parte dei soldati, di ricevere scarso cibo e di non avere spazio sufficiente per muoversi, le condizioni sono pressoché intollerabili. "Vivere qui vuol dire essere trattati come delle bestie", dice Prizvan, 21 anni, un albanese del Kosovo. "Ho cercato di fuggire dalla guerra e sono finito qui in questa prigione, per essere picchiato dalle guardie". (dal "Sunday Times" del 20 dicembre 1998 - traduzione dall'inglese di A. Ferrario) REPUBBLICA CECA: I PROFUGHI DAL KOSOVO IN CONDIZIONI TRAGICHE Il quotidiano ceco "Lidove Noviny" segnala che nella città di Plzen, nella Boemia occidentale, vi è una situazione drammatica per i profughi dal Kosovo. Molte famiglie rom della città affittano infatti posti letto nei loro appartamenti nelle zone-ghetto della città a profughi dal Kosovo che cercano di entrare in Germania. In molti casi si è arrivati alla presenza di 10-15 persone in una sola stanza e secondo i giornali locali vi sarebbe il rischio di epidemie. Negli ultimi mesi sono state fermate complessivamente 47.000 persone che cercavano di attraversare di nascosto il confine tra Repubblica Ceca e Germania, 16.000 delle quali erano albanesi del Kosovo. La Repubblica Ceca ha recentemente firmato con la Germania un accordo in base al quale si impegna a prendersi carico degli emigranti respinti dalla polizia tedesca, in cambio di finanziamenti da parte di Berlino. A sua volta la Germania ha firmato l'anno scorso un accordo con il governo di Belgrado, in base al quale quest'ultimo si è impegnato a ad accogliere decine di migliaia di profughi kosovari dei quali è in corso l'espulsione dalla Germania. Migliaia di essi sono stati già inviati in aereo a Belgrado, dove alcuni di essi sono stati arrestati dalle autorità serbe, mentre molti altri si sono dati alla macchia. (fonte: "Dnevni Telegraf", 21 dicembre 1990) |