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NOTIZIE EST #132 - JUGOSLAVIA/KOSOVO
26 dicembre 1998


OGGI PODUJEVO, E DOMANI... ?
di Fehim Rexhepi

[E' in preparazione un numero di "Notizie Est" sugli eventi che hanno preceduto l'attacco serbo della vigilia di Natale. Intanto abbiamo tradotto il presente pezzo che riassume in maniera efficiente il contesto di quanto è avvenuto negli ultimissimi giorni - a.f.]

Il confronto di forza svoltosi ieri tra serbi e albanesi è in continuità con gli scontri verificatisi nel corso della tregua in altre parti del Kosovo. Come è noto, la tregua è stata proclamata a metà ottobre, dopo l'accordo raggiunto a Belgrado tra l'inviato americano Richard Holbrooke e il presidente jugoslavo Milosevic. A giudicare dal numero delle forze impegnate, dalla forza di fuoco messa in atto e dall'ampiezza del territorio coperto, l'operazione di Podujevo è la maggiore che le forze serbe abbiano messo in atto in condizioni di tregua. Prima di questa, la maggiore operazione in corso di tregua è stata quella condotta in svariati villaggi della regione di Decani - Djakovica. Tale operazione è stata spiegata come un'azione per catturare gli esecutori dell'uccisione di sei giovani serbi in un caffè di Pec, mentre quest'ultima è stata giustificata con la necessità di perseguire gli attentatori che nella stessa Podujevo avrebbero ucciso un ispettore della polizia serba.

La regione nella quale è stata condotta l'operazione di Podujevo si estende all'incirca lungo la linea nord-sud, per una lunghezza di circa 17 chilometri. L'intera zona, con circa una decina di villaggi, quasi tutti in pianura, è dall'estate scorsa sotto il controllo dell'UCK. Si trova immediatamente a ovest delle linee di comunicazione di importanza strategica che attraverso Podujevo collegano Belgrado e parte della Serbia a Pristina e da lì, proseguendo verso sud, a Skopje e alla Macedonia. Più a ovest quest'area confina con la zona montagnosa della Salja e Baigores, anch'essa sotto il controllo dell'UCK e che si estende fino alla linea Kosovska Mitrovica-Vucitrn, attraverso la quale l'intera area si collega con la regione di Drenica

Il fatto che la fascia nella quale sono state condotte le operazioni militari si trovi tra l'autostrada Podujevo-Pristina e la Salja e Bajgores è di grande importanza per comprendere il contesto, nonché i motivi e gli obiettivi delle stesse operazioni. Bisogna innanzitutto tenere presente che durante le offensive di questa estate le forze serbe non sono mai riuscite a penetrare in quest'area e che l'intera rete organizzativa dell'UCK in questo territorio è rimasta intatta. Si ritiene che in quest'area l'UCK sia riuscita a superare le altre aree in termini di organizzazione, professionalizzazione e preparazione militare.

Probabilmente anche per questo motivo le autorità serbe hanno deciso di dispiegare su un territorio così ristretto circa un centinaio di mezzi armati dell'esercito e della polizia, dei quali secondo gli albanesi 50 e secondo gli osservatori stranieri 40 sono mezzi corazzati, soprattutto di trasporto e carriarmati. La regione è stata sottoposta a bombardamenti soprattutto con cannoni e mortai. Si parla di almeno un albanese morto, ma per il momento non è possibile avere informazioni affidabili sulle vittime. Le fonti albanesi riferiscono che in alcune località vi sono stati scontri pesanti e che le forze locali dell'UCK hanno distrutto svariati mezzi dell'esercito e della polizia serba. Gli abitanti di alcuni villaggi albanesi sono stati evacuati in zone confinanti dove non vi sono scontri.

Le spiegazioni della parte serba, sia quelle ufficiali che quelle non ufficiali, sono in una certa misura contraddittorie e reticenti. Gli organi di polizia hanno comunicato che le loro forze si sono ritirate e che l'intera operazione è stata terminata intorno a mezzogiorno [del 24 dicembre - a.f.]. Contemporaneamente, richiamandosi a fonti del governo serbo, all'OSCE la notte scorsa hanno comunicato che le unità dell'esercito, invece, non si erano ancora ritirate. Fonti governative e della polizia hanno dichiarato che si è trattato di un'operazione di polizia locale messa in atto per arrestare gli attentatori che hanno ucciso l'ispettore di polizia. L'esercito, invece, ha dichiarato ufficialmente nello stesso momento che sul terreno sono state condotte delle normali esercitazioni militari. Nel corso delle esercitazioni l'esercito sarebbe stato oggetto di un attacco durante il quale sono stati feriti due suoi soldati.

Si tratta delle solite spiegazioni delle autorità serbe che sono state date anche in occasione di ogni azione od operazione armata da esse condotta in Kosovo da ormai più di un anno. Nello stesso modo sono state spiegate tutte le azioni repressive e violente contro gli albanesi del Kosovo nel corso degli ultimi 18 anni. Le ultime due azioni armate, quella nella regione di Decani - Djakovica, condotta a metà dicembre, e quella di oggi a Podujevo, costituiscono due classici esempi di come questa falsariga non sia assolutamente credibile. L'operazione con veicoli corazzati e di altro tipo condotta nella regione occidentale di Decani - Djakovica è stata condotta, secondo quanto si dice, al fine di catturare gli esecutori della strage compiuta nel caffè di Pec. Che invece si è trattato di un'occasione per compiere una vendetta o, più probabilmente, per intraprendere un'azione dagli obiettivi puramente militari e politici è dimostrato come minimo da due fatti. In primo luogo, tale regione si trova a più di 30 chilometri da Pec. In secondo luogo, fin dall'inizio del conflitto in Kosovo è noto quale importante caposaldo le zone occidentali del Kosovo siano per l'UCK, che ne detiene in parte ancora oggi il controllo. Durante questa azione sono stati uccisi due albanesi. Vi sono stati arresti, molti abitanti hanno nuovamente dovuto abbandonare i loro villaggi, ma non vi è ancora stata alcuna dichiarazione ufficiale secondo la quale si possa dire con una buona dose di certezza che sono stati arrestati gli effettivi esecutori del massacro della strage del caffè di Pec, se si eccettuano le regolari campagne propagandistiche dei media governativi che attribuiscono la colpa automaticamente a ogni persona arrestata. In particolare, la concentrazione di forze serbe è stata evidente fin da prima, l'attacco era atteso ogni ora, almeno nell'ultima settimana, e l'ispettore della polizia è stato ucciso giusto tre giorni prima dell'inizio delle operazioni.

Dovrebbero essere più credibili sia le spiegazioni specifiche sia quelle generali, soprattutto per quanto riguarda gli avvenimenti negativi sul terreno e nel campo della diplomazia. In Kosovo dovrebbe teoricamente essere in vigore una tregua che non è stata firmata dalle parti in conflitto e per la quale non sono state stabilite nemmeno le regole minime di comportamento e le responsabilità per la sua osservazione. A giudicare da ogni cosa, non erano giustificate le aspettative secondo cui tale trega avrebbe retto esclusivamente in virtù delle minacce e delle pressioni dall'esterno. Ora si può anche dire che non si è tenuto conto del fatto che tale confusione avrebbe potuto spingere le parti in conflitto a realizzare i propri obiettivi militari e politici anche nelle condizioni di tregua.

Il tentativo degli osservatori stranieri, ovvero dei verificatori, di riempire un vuoto di tali dimensioni mediante trattative a voce o di altro tipo con i comandanti locali dell'UCK e le unità della polizia serba non hanno avuto, a causa delle notevoli deficienze della tregua, speranze di successo concrete. Il primo e, come si riteneva, più sostanziale accordo locale di tregua era stato raggiunto proprio per la regione dove è stata condotta l'operazione di ieri. Non può essere casuale il fatto che l'accordo locale di tregua, considerato come il più stabile di tutti, sia stato violato con lo scoppio di quelli che vanno considerati i più gravi scontri osservati in Kosovo dopo la proclamazione del cessate il fuoco a metà ottobre.

Dopo che sono passate diverse scadenze entro le quali si era affermato che sarebbe stato raggiunto un accordo politico tra albanesi e serbi e dopo che esse sono state più volte rimandate nel tempo, nel corso della tregua si è fatto chiaro che non ha avuto alcun successo nemmeno la missione diplomatica di intermediazione dell'ambasciatore americano Christopher Hill. Si può dire direttamente che è questo tipo di mediazione in generale che non ha ottenuto alcun risultato per risolvere la crisi del Kosovo. A quanto pare ora si sta cercando di trovare altre modalità di mediazione, ma le posizioni in merito non si sono ancora cristallizzate né coordinate.

Questo corso degli avvenimenti incide direttamente sul ruolo della missione dei verificatori. Si ha l'impressione che essi stessi non abbiano per nulla le idee chiare. Le loro dichiarazioni rese pubbliche dimostrano come essi stessi si trovino in Kosovo nel ruolo di un apparato spinto a viva forza sul terreno in funzione innanzitutto delle azioni e delle necessità della diplomazia internazionale. Contemporaneamente, la limitazione del loro ruolo unicamente a tale funzione nasconde il pericolo di una strumentalizzazione pragmatica. Non sarà possibile sfuggire a ciò se non si faranno sforzi per superare la tendenza già in atto ad adattare gli eventi sul terreno alla necessità e alle priorità strettamente contingenti della diplomazia internazionale. Un tale adattamento dei fatti non può aiutare più di tanto la diplomazia e potrebbe facilmente compromettere la stessa missione di verifica nel suo complesso.

Non bisogna tuttavia dimenticare il fatto che il profilo della missione non è ancora stato definito con chiarezza. La mancanza di chiarezza è dettata anche dalla stessa situazione e probabilmente l'evoluzione dei fatti inciderà indirettamente su una più precisa definizione del suo ruolo. Si ha l'impressione che in questo momento la missione dei verificatori stia andando verso la trasformazione in una missione per il rispetto, il mantenimento e l'imposizione del cessate il fuoco. Tale ruolo si è fatto più evidente proprio durante l'operazione di Podujevo. I verificatori hanno direttamente sorvegliato la situazione e probabilmente con i propri consigli e le proprie richieste nascoste hanno contribuito a creare la necessità per una o entrambe le parti di ritirarsi sulle posizioni di partenza. Si tratta esattamente dei buoni servizi nascosti che si fanno nella maniera più discreta possibile.

L'operazione di Podujevo è stata fino a oggi la maggiore violazione della tregua in Kosovo, ma anche un fatto che può essere istruttivo per tutti. Nei centri nevralgici occidentali, in particolare presso la NATO, è stato condannato come uno sfogo che non si deve più ripetere. Il segretario generale della NATO Solana ha ricordato che è ancora in atto la minaccia di bombardamento. Da queste reazioni Belgrado ha potuto concludere che le ultime critiche indirizzate dall'Occidente contro l'UCK non vanno considerate come un semaforo verde per la messa in atto di operazioni militari o di altro tipo, soprattutto non contro la popolazione albanese. Un insegnamento importante per Belgrado è anche il fatto, confermatosi nel corso delle operazioni di Podujevo, che l'UCK rimane un fattore che non è possibile sottovalutare sul terreno.

I fatti di dicembre fanno capire all'UCK che è necessario evitare i comportamenti che suscitano critiche da parte dell'Occidente e quelli che le autorità serbe possono sfruttare come pretesto per sferrare delle azioni politico militari di minori o maggiori dimensioni. Nonostante la retorica e le aspre minacce, la dirigenza dell'UCK è cosciente che la tregua, per quanto instabile, è nel migliore interesse dell'UCK e degli albanesi del Kosovo. Per questo la formulazione contenuta nel comunicato di ieri del Quartiere Generale dell'UCK secondo cui la tregua ha perso senso dopo l'operazione di Podujevo, non deve essere interpretata come il rifiuto della disponibilità a osservare il cessate il fuoco. Nel peggiore dei casi, ciò può significare che i membri dell'UCK, come ha detto un loro rappresentante, risponderanno agli attacchi serbi.

(da AIM, 25 dicembre 1998 - traduzione dal serbo-croato di A. Ferrario)