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I Balcani


NOTIZIE EST #133 - JUGOSLAVIA/KOSOVO
27 dicembre 1998


PRIMA DELL'OFFENSIVA DI PODUJEVO - 1
a cura di Andrea Ferrario

In sole 24 ore, il 3 dicembre scorso, si sono verificati alcuni fatti che hanno lasciato intendere come il periodo di relativa calma e stallo, durato più di un mese e mezzo dopo l'accordo Milosevic-Holbrooke raggiunto il 13 ottobre, potesse evolversi in breve tempo in una situazione ben più drammatica. Come abbiamo riportato nei particolari ("Notizie Est" #131) il 3 dicembre è stato ucciso a Pristina in un misterioroso agguato Hizri Tala, comandante dell'UCK responsabile della zona operativa di Lap, che copre anche Podujevo. Nello stesso giorno l'inviato americano Hill presentava una nuova bozza di pace che accoglieva, secondo i particolari resi successivamente noti, molte delle proposte di Milutinovic, limitando enormemente il grado di autonomia già dichiarato inaccettabilmente basso dagli albanesi nel novembre precedente, una proposta che Hill doveva sapere benissimo che sarebbe stata rifiutata in quanto inaccettabile per tutte le fazioni del movimento albanese e la cui presentazione deve avere quindi presumibilmente avuto secondi fini politici. Sempre il 3 dicembre, il governo kosovaro in esilio ha nominato un nuovo "ministro della difesa" che sostituisce il capo delle Forze Armate della Repubblica del Kosovo (FARK) Ahmet Krasniqi, ucciso nel settembre scorso anch'egli in circostanze misteriose, nell'ambito di quello che è stato un evidente scontro interno all'UCK, che ha visto opporsi le FARK, con una linea più conciliante verso l'occidente e politicamente più in linea con Rugova, alle presunte ali più radicali dell'Esercito di Liberazione del Kosovo, (Si vedano a proposito "Notizie Est" #82, #84, #85, #97, #103, #107). Il 3 dicembre vi è stato anche il primo della serie di eccidi di questo mese, quando al confine con l'Albania, nei pressi di Gorozup, le forze di sicurezza serbe hanno ucciso otto albanesi i quali, secondo le autorità serbe, stavano trasportando armi in Kosovo (AFP, 3 dicembre).

Il 12 dicembre il "Washington Post" ha effettuato quella che fino a oggi rimane una delle più che rare interviste a Milosevic, l'unica da quando è scoppiato il conflitto in Kosovo. Il chilometrico testo integrale (più di 30 cartelle) dell'intervista è stato pubblicato dall'organo del Partito Socialista Serbo ("Politika", 12-13 dicembre 1998). L'intervista non contiene particolari novità e l'unica parte ripresa ampiamente dai media internazionali è quella nella quale Milosevic minaccia di intervenire contro la NATO, qualora le sue forze di estrazione dovessero entrare in territorio jugoslavo per salvare i verificatori OSCE. Nella seconda parte dei materiali su Podujevo citeremo qualche retroscena politico di questa intervista.

Dopo che entrambe le parti hanno rifiutato il piano di Hill (quella albanese con particolare durezza: sia Demaci che Agani hanno chiesto che l'inviato americano venisse richiamato per incompetenza) il 14 dicembre si è avuto un improvviso scoppio di violenza, costato la vita complessivamente a più di 40 persone. Nelle vicinanze di Gorozup, dove una decina di giorni prima erano già stati uccisi otto albanesi, l'esercito jugoslavo ha ucciso 36 albanesi che, secondo le autorità, stavano penetrando in Kosovo dall'Albania con armi e soldi. Secondo l'esercito jugoslavo essi "avevano cercato di attraversare il confine in diversi e nutriti gruppi per un periodo durato cinque ore prima dell'alba. L'esercito jugoslavo non ha subito alcuna vittima" (AFP, 14 dicembre). Anche se l'UCK due giorni dopo ha riconosciuto che il gruppo faceva parte dell'organizzazione (si parla di 140 persone, alcune delle quali rientrate in Albania), rimangono poco chiari alcuni particolari relativi a quanto accaduto, in primo luogo la disproporzione tra l'altissimo numero delle vittime albanesi e il fatto che le forze jugoslave non lamentino nemmeno un ferito. A tale proposito la Reuters cita la testimonianza di un membro della missione dei verificatori OSCE: "140 membri dell'UCK stavano entrando in Kosovo con armi e rifornimenti... Si sono imbattuti in un posto di guardia dell'esercito jugoslavo, uno di loro è stato ucciso istantaneamente e quindi il gruppo ha cambiato direzione per tornare in Albania... Ma dopo avere cambiato direzione sono caduti in un'imboscata e almeno 25 di essi sono statu uccisi sul colpo, mentre sette sono stati fatti prigionieri... La nostra sensazione iniziale è che si sia trattato di una normale operazione militari [sic]" (Reuters, 15 dicembre). Il Washington Post ha scritto che: "funzionari occidentali che hanno visto i corpi o loro fotografie prese da vicino, hanno affermato ieri che molte delle vittime sono cadute per colpi sparati alla testa o in faccia. Molti dei funzionari hanno affermato che le vittime probabilmente sono state uccise deliberatamente e da breve distanza e non durante un combattimento; per altri si tratta di un'imboscata organizzata molto bene da esperti cecchini dell'esercito jugoslavo [...] Impossibile verificare la questione fino a quando l'esercito jugoslavo non consentirà di accedere ai sette membri del gruppo arrestati. 'I prigionieri sono la chiave di tutto', dice un funzionario. Ma la Jugoslavia non ha dato la propria disponibilità a consentire un tale accesso" ("Washington Post", 17 dicembre; sul divieto di contatti con i prigionieri anche "Nova Makedonija" 22 dicembre). Negli stessi giorni i verificatori hanno protestato perché l'esercito jugoslavo impedisce loro di verificare voci secondo le quali quest'ultimo starebbe ammassando centinaia di uomini nelle zone di confine ("Daily Telegraph", 15 dicembre).

Lo stesso giorno, a Pec, uno dei maggiori centri del Kosovo, nella zona settentrionale vicino al confine con il Montenegro, sei giovani ragazzi serbi vengono uccisi in un attentato nel caffè "Panda". Anche per questo fatto di sangue vi sono alcuni particolari contraddittori. I primi due giorni tutte le agenzie, citando quanto riferito da autorità serbe e verificatori OSCE, parlano di un attentatore mascherato (per esempio, AFP, 14 e 15 dicembre). Solo due giorni dopo, senza spiegazioni, la versione comincia a parlare di due attentatori mascherati (AFP, 16 dicembre), che nei giorni immediatamente seguenti diventano due attentatori che indossavano divise dell'UCK. L'organizzazione condanna ufficialmente l'attentato e ne prende le distanze, affermando che "l'UCK non ha alcun interesse a condurre questo tipo di operazioni, contrarie alle leggi della guerra e alla politica dell'UCK" e inoltre che "l'UCK non ha mai effettuato un'operazione di questo tipo", un fatto che non corrisponde a verità, visto che il primo attentato rivendicato dall'organizzazione è stato nel maggio 1996 proprio un assalto contro un caffé frequentato da serbi; da allora, tuttavia, l'UCK non ha più condotto tale tipo di azioni e ha completamente cambiato tattica. Per Demaci, la strage è stata compiuta dal regime serbo "per compromettere la causa dell'UCK agli occhi dell'opinione pubblica mondiale" (AFP, 16 dicembre). Nello stesso comunicato l'UCK condanna l'accordo tra Milosevic e Holbrooke come "nulla più che un proseguimento della guerra nei Balcani" (Reuters, 17 dicembre). Belgrado dà il via immediatamente a retate e azioni militari in vaste aree del Kosovo settentrionale e anche occidentale, lontano dal luogo della strage. Due albanesi vengono uccisi e altri 34 arrestati a Glodjane, vicino a Decani, a più di 30 km. da Pec. Gli osservatori seguono solo in parte queste azioni e si fermano nei maggiori centri abitati, ma nei villaggi sono in corso altre operazioni, anche con bombardamenti (Reuters, 17 dicembre). Della strage di Pec, oltre al numero delle vittime, ha destato particolare impressione la loro giovane, in alcuni casi giovanissima, età. L'oltraggio suscitato dalla strage, sia in Serbia che internazionalmente, è tornato particolarmente comodo alle autorità di Belgrado, che lo hanno sfruttato a piene mani nell'ambito della campagna propagandistica già lanciata a inizio mese, anche a livello internazionale, riguardo ai 100 serbi del Kosovo risultanti scomparsi. Come vedremo nella seconda parte del presente servizio, le potenze occidentali avranno parole di comprensione per il regime di Belgrado e approveranno molte delle sue azioni repressive; va tenuto conto inoltre che i fatti sono avvenuti alla vigilia di un importante viaggio di Holbrooke, annunciato alcuni giorni prima, che ha fatto convergere nuovamente i riflettori dei media internazionali sul Kosovo. Infine, non risulta che alcuna inchiesta sia stata aperta sulla strage di Pec e, se è stata aperta, nessuno si è preoccupato di fornire informazioni sul suo andamento, nemmeno il Media Centar serbo nelle sue conferenze stampa quotidiane, e questo nonostante le decine di arresti di "terroristi".

Nei giorni successivi la tensione continua a rimanere altissima. Il 18 dicembre viene trovato morto il vicesindaco di Kosovo Polje, Zvonko Bojanic, rapito in precedenza da uomini armati con l'uniforme dell'UCK (Reuters, 18 dicembre). Intanto le azioni compiute a Decani, ufficialmente per arrestare gli autori della strage di Pec, si rivelano chiaramente un pretesto per conquistare militarmente altre zone. A Glodjane, per esempio, dove il giorno prima erano stati uccisi due albanesi, si insedia un contingente delle forze speciali jugoslave con due carriarmati. "Staremo qui fino a quando i terroristi avranno finito di spararci. Faremo una bella pulizia", dichiara un ufficiale di polizia. Nel paese vi sono case colpite da colpi di mortaio (UPI, 18 dicembre). Il 19 dicembre l'Albania accusa l'esercito jugoslavo di essere entrato nel suo territorio fino a un villaggio dove sue unità avrebbero sparato, senza causare vittime (Reuters, 19 dicembre). Sempre il 19 dicembre unità delle forze speciali serbe, ufficialmente alla ricerca degli assassini del vicesindaco di Kosovo Polje, prendono posizione nel villaggio di Vasiljevo. Lo stesso giorno fonti albanesi dicono che ingenti unità militari serbe si stanno dirigendo da Pristina verso nord, in direzione di Podujevo (Reuters, 19 dicembre). Tale notizia verrà confermata nei giorni successivi da numerosissime fonti. Il bollettino dei verificatori OSCE scrive il 20 dicembre che "un gruppo di battaglia corazzato dell'Esercito Jugoslavo sta effettuando un'esercitazione e si è stanziato al cmpo aereo di Dumos, vicino a Podujevo. Il gruppo di battaglia è formato da nove carriarmati T-55, quattro veicoli da trasporto corazzati M-80, due veicoli leggeri da combattimento, tre veicoli con cannoni antiaerei e 200 soldati. La mattina del 21 lo stesso gruppo di battaglia si muove per attaccare postazioni dell'UCK nell'area (KDOM Daily Report, rispettivamente 20 e 21 dicembre). UPI e Reuters segnalano il 21 dicembre che un convoglio dell'esercito serbo (comprendente 9 carriarmati) è entrato a Podujevo. Una parte di tali forze si dirige poi verso il vicino villaggio di Dobrotin, una roccaforte dell'UCK, sparando sul centro abitato per circa un'ora e mezza. Ancora lo stesso giorno, il 21 dicembre, a Podujevo è stato trovato ucciso Milica Jovic, un ispettore della polizia serba. La sua uccisione è stata seduta stante attribuita dalle autorità serbe all'UCK, sebbene non vi sia alcuna testimonianza in tal senso (l'aggressione è avvenuta in una strada secondaria alle primissime ore del mattino). Tale uccisione è stata presa a pretesto per l'offensiva condotta nelle vicinanze di Podujevo dal 24 dicembre, ma nei fatti già avviata il giorno prima dell'omicidio, come abbiamo visto.

Sempre il 21 dicembre, il comandante della NATO Wesley Clark si è incontrato a Belgrado per due ore con il capo di stato maggiore dell'esercito jugoslavo Ojdanovic, al fine di concordare con lui le modalità delle operazioni di monitoraggio aereo del Kosovo, che verranno condotte dalla NATO in collaborazione con l'esercito di Belgrado. Infine, l'ultima visita in Kosovo prima dell'offensiva del 24 dicembre a Podujevo è quella dell'Alto Commissario dell'ONU per i rifiugiati, Sadako Ogata, che ricorda come in Kosovo vi siano ancora 175.000 profughi che non sono rientrati nelle loro case e che sono costretti a vivere in condizioni difficilissime presso parenti o conoscenti (Reuters, 22 dicembre).

(continua)