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NOTIZIE EST #140 - JUGOSLAVIA/KOSOVO
9 gennaio 1999


"GRANDI MANOVRE" IN KOSOVO
a cura di Andrea Ferrario

Dopo l'offensiva di Podujevo, svoltasi nei giorni immediatamente precedenti il Natale (cattolico), la situazione in Kosovo rimane altamente tesa. Il 5 è giunto nuovamente a Belgrado e poi a Pristina Christopher Hill, per riprendere la sua "diplomazia pendolare", seguito subito dopo dal nuovo inviato OSCE, il norvegese Vollebaek, che ha sostituito il polacco Geremek. Hill ieri si è incontrato con Rugova e ha successivamente dichiarato, come riferisce Radio B92, di avere discusso con il leader albanese diverse idee per risolvere la situazione, ma che non è stata presa in considerazione alcuna modifica dell'ultima bozza di proposta statunitense. Rugova, secondo il quotidiano serbo Blic, ha annunciato che una proposta della parte albanese (ma evidentemente formulata solo dalla sua ala politica) sarà pronta la settimana prossima. Con una coincidenza assolutamente sospetta, nello stesso momento in cui si è avuta una ripresa delle missioni diplomatiche e dell'attenzione dei media nei confronti della provincia, c'è stata una nuova ondata di attentati provocatori e quelli contro obiettivi serbi hanno avuto una risonanza ancora più incisiva perché effettuati proprio alla vigilia o nel giorno del Natale ortodosso. Il 5 gennaio sono stati uccisi da ignoti due civili albanesi presso una stazione di servizio a una trentina di chilometri da Pristina. Lo stesso giorno, una granata lanciata sempre da ignoti contro un caffè serbo di Pristina, che secondo i media serbi per un miracolo non si è trasformata in una nuova strage, ha dato il via a una massiccia serie di raid contro bar e negozi albanesi in tutta la città. Ieri, dopo il funerale di un civile serbo ucciso ancora una volta da ignoti, diverse decine di civili serbi hanno organizzato posti di blocco fuori da Pristina e intorno alla capitale del Kosovo, in molti casi armati di mitra e fucili, presumibilmente le armi che la polizia di Belgrado ha distribuito loro a migliaia nel corso della primavera e dell'estate scorsa. I posti di blocco hanno paralizzato e paralizzano il traffico sulle quattro arterie principali che da Pristina conducono nel resto della provincia, in Serbia e in Macedonia. Gli organizzatori dei posti di blocco minacciano di organizzare un esodo in massa dei serbi del Kosovo se le autorità "non troveranno una soluzione entro qualche giorno". Le loro postazioni sono state visitate da Momcilo Trajkovic, un personaggio legato all'opposizione serba e che gode di importanti appoggi negli USA, sul quale torneremo più avanti (AFP, 7 e 8 gennaio; Radio B92, 8 gennaio; "Blic", 8 gennaio).

In un articolo scritto il primo dell'anno, il "Washington Post" descrive qual è la situazione in Kosovo dopo l'offensiva di Podujevo, citando alcuni particolari interessanti. Dopo avere riscontrato, come hanno fatto molti altri cronisti, che l'UCK sembra ora molto meglio organizzata di quanto non lo fosse l'estate scorsa e in possesso di armi tecnicamente più avanzate (e la stessa UCK lo ha confermato per bocca del portavoce politico Demaci), l'inviato del giornale descrive la sede dell'UCK come molto bene organizzata, con un generatore elettrico proprio, computer, fax e altro ancora. Il giornalista scrive poi che, sempre secondo le parole di Demaci, gli effettivi dell'UCK sono ormai costituiti al 70% da persone con passate esperienze militari, mentre in estate la loro percentuale era di appena il 30%. Molti hanno combattuto in Bosnia o in Croazia, come Remi, per esempio, che il "Washington Post" descrive come il comandante della zona di Podujevo, un giovane di 27 anni che ha combattuto in Croazia nell'esercito jugoslavo contro i "separatisti" di allora. L'UCK, secondo Remi, è diventata molto più selettiva nel reclutare nuovi uomini. "Tre mesi fa ho avuto un elenco di 370 studenti di Pristina che volevano arruolarsi. Ne abbiamo presi solo 60", ha dichiarato Remi ("Washington Post", 2 gennaio).

Da segnalare anche che l'UCK ha aperto da lunedì scorso, 4 gennaio, una propria agenzia di stampa e una propria radio. L'annuncio è avvenuto dopo che il Ministero dell'Informazione serbo aveva fatto chiudere il quotidiano in lingua albanese Bujku e aveva dichiarato che presto lo stesso verrà fatto con Koha Ditore e Zeri. Le tre testate sono le più diffuse del Kosovo e hanno spesso dato spazio all'UCK, criticando radicalmente le politiche di Rugova ("Dnevni Telegraf" e altre fonti, 5 gennaio).

Il quotidiano di Belgrado "Dnevni Telegraf" riporta alcuni passi di un servizio del settimanale sloveno "Mladina", il cui inviato in Albania ha visitato un campo di addestramento dell'UCK nel nord del paese. Secondo il giornalista sloveno, "l'UCK si sta riorganizzando e omogeneizzando con successo, avendo tratto insegnamento dalla recente sconfitta". I suoi uomini che si esercitano in questo campo "portano divise svizzere e hanno armi e una preparazione che non farebbero una brutta figura nemmeno in una esercitazione NATO". L'addestramento viene condotto da un kosovaro di trenta anni, ex ufficiale dell'esercito jugoslavo in Slovenia. Ora risiede in Svizzera ed è entrato a fare parte dell'UCK dal marzo dell'anno scorso. "Mladina" riporta anche la dichiarazione di Muhamet Bicaj, "ministro del governo kosovaro in esilio", secondo il quale "i fattori più coscienti cercheranno in futuro di istituzionalizzare le modalità di azione dell'UCK, diventato ormai un fattore reale che non si può tenere fuori dalle trattative per il futuro del Kosovo". Il giornalista sloveno afferma di avere parlato con Bicaj "in tempi recenti nell'edificio della rappresentanza del Governo del Kosovo a Tirana". E' interessante notare che la France Presse ha informato il 3 dicembre scorso che proprio Bicaj è stato nominato nuovo ministro della difesa del Governo del Kosovo, in sostituzione di Ahmet Krasniqi, ucciso nel settembre scorso nell'ambito di un conflitto interno al movimento armato albanese, del quale abbiamo riferito a più riprese ("Dnevni Telegraf", 5 gennaio; AFP, 3 dicembre).

A livello diplomatico, l'evento principale è stato l'esplicito attacco contro l'UCK da parte del Ministro della Difesa francese Richard, il quale ha dichiarato: "Il principale fattore di destabilizzazione oggi è l'UCK e non i serbi... e se gli scontri proseguiranno e aumenteranno, gli accordi (tra gli USA e Holbrooke) non saranno più validi e dovremo tornare alle minacce militari messi in atto in precedenza". Egli ha inoltre affermato che la "forza di estrazione" NATO in Macedonia, comandata dal suo paese, dovrà essere aumentata da 1.850 uomini a 5.000 uomini. "Dovremo stazionare decine di migliaia di soldati sul posto se vogliamo impedire all'UCK di prendere il controllo del territorio e gli alleati non vogliono che ciò accada", ha detto Richard. "Dovremo quindi adottare altre soluzioni, come tagliare i canali di finanziamento all'estero dell'UCK e rimettere in atto minacce militari". Finora in Macedonia sono arrivati solo 500 soldati della "forza di verificazione" NATO. Richard ha infine affermato che non è da escludersi un ritiro dei "verificatori" OSCE se la situazione dovesse farsi più pericolosa (Reuters, 2 gennaio). In un'intervista concessa il 6 giugno all'"International Herald Tribune" il comandante delle truppe NATO in Europa Wesley Clark, ha preso esplicitamente le distanze dalle dichiarazioni di Richard, affermando che è stata la cancellazione da parte di Belgrado dell'autonomia del 1989 che "ha fatto sprofondare il Kosovo in un ciclo di repressioni, che ha portato alla resistenza da parte dei kosovari e all'eccessiva reazione delle autorità serbe". Egli ha sottolineato che i kosovari "sono costretti a continuare la loro lotta perché non possono rischiare nuovamente la catastrofe di cadere ancora una volta sotto le repressioni di Belgrado". Le autorità serbe, ha concluso Clark, "stanno violando gli impegni presi nei confronti della NATO". Ma in un'altra dichiarazione resa lo stesso giorno, Clark ha subito corretto il tiro: "La responsabilità politica fondamentale è di Belgrado... ma anche l'UCK è una parte del problema e non la soluzione. Hanno certamente provocato i serbi e sono quindi senz'altro corresponsabili degli ultimi scontri". Da rilevare anche le dichiarazioni del presidente uscente dell'OSCE, il polacco Geremek, secondo il quale una nuova guerra scoppierà presto se non verrà avviato un dialogo politico e a tale fine non bisogna prestare eccessiva attenzione alle ali più estreme del movimento separatista albanese. Geremek ha inoltre aggiunto che gli interlocutori vanno cercati nella società civile e che è importante che il popolo serbo non venga incolpato per la politica che ha causato il conflitto in Kosovo (Radio B92). Sempre sul piano della diplomazia, proprio mentre lo statunitense Hill è tornato sul campo, il sempre più attivo ambasciatore francese in Macedonia, Jacques Huntzinger, si è messo al lavoro per cercare di organizzare una riunione tra leader albanesi moderati ed esponenti della guerriglia da tenersi nei prossimi giorni. "Sono in atto sforzi congiunti della Francia e degli Stati Uniti", ha dichiarato Huntzinger. Dalla Germania, Christian Pauls, responsabile per il Kosovo e la Bosnia del ministero degli esteri tedesco, citato da "Nova Makedonija", ha fatto sapere che Bonn, nel corso della sua presidenza dell'UE, prevede di mettere a punto una soluzione del problema del Kosovo insieme alla Russia con la quale, secondo la sua opinione, le differenze sono minori di quanto a volte appaiono. Radio B92, infine, informa che lunedì 11 si riuniranno gli esperti dell'UE per discutere della situazione nel Kosovo: si "esaminerà la posizione" dell'inviato speciale dell'Unione, Petritsch, e si discuterà dell'eventuale creazione di una "missione di democratizzazione" da inviare in Jugoslavia, sotto la direzione dell'ex premier spagnolo ed ex inviato OSCE Felipe Gonzales (RFE/RL, 6 gennaio; Reuters, 6 gennaio; "Nova Makedonija", 6 gennaio; Radio B92, 8 gennaio).

Intanto, il ministro degli esteri norvegese e attuale presidente dell'OSCE ha dichiarato che fino a oggi, a tre mesi dagli accordi Milosevic-Holbrooke, sono arrivati in Kosovo solo 600 dei 2.000 verificatori previsti, perché alcuni paesi fino a oggi non hanno mantenuto i propri impegni riguardo al numero di uomini che sarebbero stati inviati. Vollebaek ha rifiutato di dire quali paesi hanno inviato meno verificatori di quelli previsti. Secondo un elenco ufficiale dell'OSCE, al primo posto tra i verificatori vi sarebbe l'Italia, con 203 uomini, seguita dalla Germania, con 187, dalla Gran Bretagna, con 158, dagli Stati Uniti, con 143, e dalla Russia, con 121. Si tratta nella quasi totalità di militari, anche se disarmati e in abiti civili. William Walker, il capo della missione OSCE in Kosovo, ha dichiarato che possono bastare anche solo 1.500 verificatori e il giorno dopo gli ha fatto eco il ministro degli esteri tedesco Scharping, il quale ha affermato che il numero definitivo dei verificatori sarà in ultimo di 1600, "ma non per colpa della Germania, che assolverà i propri impegni". La "timidezza" dell'OSCE si è fatta più forte dopo l'offensiva di Podujevo, che è stato un esempio concreto, ma localizzato, di quella che potrebbe essere in un futuro imminente una situazione generalizzata. Inoltre, la Reuters cita le dichiarazioni di un diplomatico occidentale anonimo, secondo il quale a ottobre Holbrooke avrebbe preso l'impegno di stanziare in Kosovo i verificatori e successivamente in Macedonia la forza di estrazione, senza consultarsi con OSCE e NATO (Reuters, 6 e 7 gennaio; AFP, 8 gennaio).

Un altro avvenimento importante degli ultimi giorni è stato il viaggio di Adem Demaci a Tirana. Demaci è stato accolto ufficialmente come leader dell'UCK dal primo ministro Majko, dal ministro degli esteri Milo e dal presidente della repubblica Mejdani. Milo in particolare ha ribadito che "il conflitto in Kosovo deve essere risolto tramite la diplomazia e con un'azione decisa della comunità internazionale" e Demaci ha affermato: "siamo ancora più determinati a continuare a cercare una soluzione, ma senza interrompere per un momento la nostra resistenza non pacifica contro coloro che non capiscono che è il momento di lasciare da parte armi, terrore, uccisioni". Infine, il governo di Tirana ha emesso una dichiarazione con la quale si afferma che "Demaci ha accettato l'idea di tenere una riunione con i rappresentanti politici più importanti del Kosovo, al fine di mettere a punto una strategia comune per risolvere la crisi e il problema nazionale". Il giorno dopo la partenza di Demaci, tuttavia, il governo di Tirana ha ufficialmente invitato Rugova a visitare l'Albania per discutere della situazione nel Kosovo. Il portavoce del ministero degli esteri ha detto che non si tratta del primo invito rivolto a Rugova, ma che finora egli non ha mai risposto (Reuters, 5 e 7 gennaio).

A proposito di Rugova, Demaci ha reso delle dichiarazioni che lo riguardano alla rivista "Parlament" di Novi Pazar. Le sue dichiarazioni sono state riportate dal quotidiano di Belgrado "Danas", secondo il quale Demaci ha dichiarato che alcuni ambienti della politica kosovara che si raggruppano intorno a una fazione della Lega Democratica del Kosovo (LDK) e intorno a Ibrahim Rugova, stanno rendendo impossibile la necessaria unità tra il fattore politico e quello militare degli albanesi. La LDK si è rifiutata di commentare le dichiarazioni di Demaci e ha anche negato di avere ricevuto alcun invito a partecipare a una riunione dei rappresentanti politici albanesi. Demaci ha inoltre dichiarato a "Parlament" che "la gioventù albanese che ha aderito all'UCK non ha preso le armi perché odia il popolo serbo, ma perché desidera la libertà, desidera sentirsi di casa a casa propria e vuole fare parte di un'Europa libera e giusta", aggiungendo che gli albanesi, "nella misura in cui ciò dipende da loro" non consentiranno mai che il loro "scontro con un regime che ricorre alla violenza per mantenersi al potere" si trasformi in un conflitto tra due nazioni. Secondo Demaci, trattative tra gli albanesi e i serbi per il Kosovo, "che rispettino la volontà degli albanesi", non sono possibili senza un intervento NATO. Criticando la politica di Rugova, Demaci ha inoltre detto che tutti gli albanesi sono per un Kosovo "libero e indipendente", ma che il leader della LDK "continua a cullare l'illusione che ci libererà qualcuno dall'estero". Egli ha inoltre affermato: "la nostra politica fino a oggi è stata basata sull'illusione che il regime serbo accetterà una politica pacifica e ci siamo sempre illusi che questa politica sarebbe stata premiata dai fattori internazionali. Resosi conto che si trattava di una politica catastrofica, il popolo albanese, per mezzo dell'UCK, la ha rifiutata. Nel frattempo, nonostante a tutti sia diventato chiaro che si tratta di una politica improduttiva, si continua a cercare di imporla al popolo albanese attraverso Rugova", ha detto Demaci, aggiungendo che un Kosovo indipendente sarebbe un fattore di stabilità nei Balcani. ("Danas", 8 gennaio).

Abbiamo accennato sopra a Momcilo Trajkovic, il leader del Movimento di Resistenza Serbo del Kosovo, che si è notevolmente attivizzato nelle ultime settimane. Trajkovic è un personaggio estremamente inquietante: nel 1990 era vicepresidente del parlamento serbo e come tale ha assunto i poteri esecutivi per la provincia del Kosovo, dopo che con leggi speciali le autorità serbe avevano chiuso il parlamento provinciale di Pristina, abolendo d'autorità l'autonomia politica del Kosovo. Trajkovic, che ha sempre conservato le sue posizioni scioviniste, ha aderito ora alla nuova coalizione dell'opposizione serba guidata da Milan Panic. Gode di importanti appoggi negli Stati Uniti, dove si è recato più volte in visita ufficiale, l'ultima delle quali a dicembre, nell'ambito di un'iniziativa organizzata dal Congresso americano, di fronte al quale ha pronunciato un discorso. In un articolo del corrispondente da Belgrado di "Nova Makedonija" si scrive che Trajkovic ha annunciato la formazione, il 16 gennaio prossimo, di un Consiglio Nazionale del Kosovo e Metohija a Leposavic. "Nel caso in cui al popolo serbo del Kosovo e Metohija verranno imposte decisioni inaccettabili, i serbi si opporranno con ogni metodo democratico e daranno vita a un'autonomia serba con la richiesta di unirsi alla Serbia", hanno dichiarato gli organizzatori, i quali hanno precisato che per loro è inaccettabile ogni autonomia con la quale venga limitata la sovranità e l'integrità territoriale della Serbia e che non accetteranno alcun grado di autonomia in base al quale il sistema giudiziario e la polizia dovessero essere sottratti alla Serbia, perché, secondo loro, ciò porterebbe a un nuovo esodo di serbi dal Kosovo. Gli organizzatori hanno chiesto che la crisi del Kosovo venga risolta mediante trattative dirette tra i rappresentanti legittimi del popolo serbo del Kosovo e quelli degli albanesi. Secondo Trajkovic, "Milosevic non doveva accettare che le unità dell'esercito e le forze speciali di polizia si ritirassero dal Kosovo prima di avere garantito il disarmo del movimento terrorista albanese. Di quello che succederà e di quello che sta succedendo saranno ugualmente responsabili il nostro stato e la comunità internazionale. Se lo stato non è in grado di difendere fisicamente i serbi del Kosovo, bisogna evacuare tutti noi serbi e fare definitivamente i conti con il terrorismo albanese". Trajkovic ha anche annunciato per l'11 gennaio delle massicce proteste dei serbi in tutto il Kosovo, al fine di esercitare pressione su tutti i fattori politici. Anche "Danas" riporta dichiarazioni di Trajkovic, precisando che i lavori del Consiglio Nazionale del Kosovo e Metohija verranno organizzati dal già esistente Comitato Ecclesiastico-Popolare del Kosovo e Metohija. Uno degli organizzatori, Marko Jaksic, ha affermato che è necessaria "una lotta unitaria dei serbi del Kosovo e Metohija nell'ambito del sistema giuridico della Serbia" e che sarà "molto pericolosa ogni soluzione parziale del problema del Kosovo senza che vi siano consultazioni con tutte le forze che svolgono un ruolo nella provincia". ("Nova Makedonija", 6 gennaio; "Danas", 8 gennaio).

Si è chiuso per il momento il capitolo di un'indagine indipendente dalle parti in conflitto sui vari casi di crimini di massa denunciati questa estate in Kosovo, da Orahovac, a Klecka a Gornje Obrinje, tanto per citare i nomi più noti. Dopo avere rifiutato l'invio di una missione del Tribunale Internazionale dell'Aja, il governo serbo ha scelto di invitare un team di professori finlandesi con finanziamento dell'Unione Europea, garantendo loro libero movimento in un numero limitato di località scelte dallo stesso governo serbo. Ma nemmeno queste "garanzie" sono state sufficienti. Non appena il team si è recato verso Gornje Obrinje, dove secondo le denunce sarebbe stata sterminata un'intera e numerosa famiglia albanese, la polizia serba ha fermato all'improvviso il team di professori imponendo loro di essere accompagnati da una pattuglia e da un magistrato noto per i processi politici contro esponenti albanesi. La cosa rendeva impossibile la visita del sito perché si tratta di una zona esposta a punti di controllo dell'UCK che sparano sui poliziotti che si avvicinano. I professori, che avevano precedentemente preso accordi da una parte con l'UCK per accedere liberamente al sito e dall'altra con le autorità serbe per potersi muovere liberamente da soli, hanno chiesto di potere procedere senza essere scortati, cosa che è stata loro fisicamente impedita dai poliziotti serbi, presenti numerosi giornalisti. Dopo che le autorità serbe hanno comunicato che la polizia si sarebbe comportata così anche in future occasioni, il team finlandese ha ritenuto impossibile potere proseguire la propria indagine ed è rientrato in Finlandia (AIM, 6 gennaio).

In conclusione, va segnalata la continua "parallelità" tra l'evoluzione del conflitto in Kosovo e quella della crisi irachena. Già l'anno scorso la radicalizzazione degli scontri in Kosovo si era prodotta proprio in coincidenza dell'inasprirsi della crisi irachena e molti avevano predetto che vi sarebbe stata un'offensiva serba all'ombra degli attacchi americani contro l'Iraq, che erano previsti per la notte di luna piena di fine febbraio, il 28 e, mentre i bombardamenti USA sono stati evitati all'ultimo secondo, l'offensiva serba si è regolarmente svolta. Non si può non notare che le nuove tensioni e le nuove offensive del dicembre scorso sono maturate e si sono svolte nuovamente in coincidenza con la crisi irachena. A tale proposito va notato che nei Balcani prosegue e si fa più evidente lo svolgersi di un conflitto indiretto tra Francia e Stati Uniti, che ha un suo analogo nel contesto mediorientale. Non a caso in questi giorni vi sono stati nuovi duri attacchi verbali della Francia agli USA per la sua politica irachena e sono trapelate informazioni sul ruolo di spionaggio svolto dagli ispettori ONU statunitensi (si vedano gli articoli pubblicati dal "New York Times", 7 e 8 gennaio). Il conflitto Francia-USA è sempre più preoccupante ed è in atto ormai in una zona estremamente ampia, che va dai Balcani, al Medio Oriente e all'Africa. Ma intorno al conflitto in Kosovo si possono individuare altre linee di conflitto "interoccidentale" che vanno ad aggiungersi alle già complicate diverse linee delle parti dirette del conflitto (tra albanesi moderati e albanesi radicali, ma anche all'interno di ciascuna delle due fazioni e nelle loro relazioni con Tirana; in maniera "congelata", ma potenzialmente esplosiva, tra socialisti, radicali e jul-isti serbi, nonché tra questi e l'opposizione e inoltre tra le diverse opposizioni a caccia di un eventuale sostegno occidentale): vi è un conflitto tra le diverse linee di Stati Uniti ed Europa, che al suo interno è anche un conflitto da una parte tra Congresso e Amministrazione e dall'altra tra i diversi stati europei (e conflitti interni agli stessi governi degli stati europei, come è risultato evidente sotto il governo dell'Ulivo in Italia e durante la rivolta albanese); all'interno di questo conflitto si inserisce a più riprese la Russia, come continuo elemento di disturbo; su queste linee di conflitto si inserisce la lotta tra NATO e OSCE per chi deve avere maggiore voce nella politica europea, che si traduce anche in lotte interne alle due organizzazioni, in particolare all'interno della NATO. E' chiaro che gueste "guerre nascoste" rendono ancora più difficile la già più che ardua individuazione di una risoluzione pacifica del conflitto in Kosovo.