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![]() NOTIZIE EST #21 - MACEDONIA
GLIGOROV E IL CORRIDOIO UMANITARIO di Budo Vukobrat Accade per la prima volta che una proposta del presidente macedone Gligorov incontri una reazione trattenuta da parte dei media che non fanno mistero della propria fedeltà al governo e non gli negano spazio quando ne ha bisogno. E' una prova del fatto che il progetto della creazione di un corridoio per l'evacuazione dei civili dal Kosovo all'Albania, nell'eventualità dello scoppio di un conflitto armato a nord della Macedonia, non è stato preceduto da alcuna campagna di preparazione di quella opinione pubblica che si raggruppa intorno ai cosiddetti mezzi ufficiali di comunicazione. Il fatto che anche i cosiddetti media indipendenti o di opposizione abbiano avuto bisogno di un certo tempo per "abboccare all'amo" di questa allettante esca, suggerisce che si tratti di una completa sorpresa. Vale la pena di ricordare i fatti: Gligorov, nel corso della sua recente visita ufficiale in Slovenia ha dichiarato che le autorità macedoni sono pronte, in caso di un conflitto armato nel Kosovo, ad assicurare un corridoio lungo il quale i civili di etnia albanese della regione potrebbero fluire verso la confinante Albania. Il corridoio andrebbe dal punto di confine di Blato, a nord della capitale macedone Skopje, attraverserebbe le più importanti città, cioè Tetovo e Gostivar, e tutta la zona popolata della Macedonia occidentale fino al confine macedone-albanese di Debar-Peskopeja. Si valuta che attraverso questo percorso un numero di persone compreso tra 200.000 e 400.000 potrebbe scappare da quello che i moderati chiamerebbero un "focolaio di guerra" e gli altri la "repressione". L'intera operazione si svolgerebbe sotto la sorveglianza di forze internazionali e di fronte agli occhi del pubblico mondiale. Sia quel che sia, la promozione della disponibilità dei macedoni di assicurare un corridoio umanitario per fare "defluire" gli albanesi del Kosovo dai loro spazi etnici, ha colto completamente di sorpresa i cittadini della Macedonia, mentre lo stesso promotore dell'idea, Kiro Gligorov, al ritorno da un viaggio a Mosca, ha "chiarito a fondo" l'intero caso, affermando: "non saremmo uno stato, un governo e un parlamento seri, se non pensassimo a come e cosa faremo nel caso in cui scoppi un conflitto armato direttamente ai nostri confini". Alcuni osservatori neutrali, come suggerisce il quotidiano "Dnevnik" di Skopje, sono propensi a credere che l'"operazione corridoio" non sia un'idea dell'ultima ora, ma piuttosto un progetto all'ordine del giorno già da qualche anno ed elaborato e concordato a livello di stati maggiori, nei suoi punti fondamentali, con i membri della NATO. [...] La promozione del corridoio suggerisce indirettamente che il nodo del Kosovo non possa essere risolto se non ricorrendo alle armi e a una repressione che porterebbe a una pulizia etnica. Nonostante il fatto che, purtroppo, un tale scenario sembri sempre più probabile, nel momento in cui tutti i fattori internazionali cercano con ogni mezzo di fare pacificare tutte le parti e di fare sedere i capi di ogni tribù al tavolo delle trattative, il corridoio di Gligorov fa l'effetto di qualcosa di fatalista e preoccupante. Sembra che così la pensino anche alcuni funzionari stranieri accreditati a Skopje, i quali, con toni diplomaticamente trattenuti, hanno ricordato che il Kosovo, fino al momento in cui non vi dovesse scoppiare un conflitto armato, è una questione interna di uno stato confinante. Anche [il presidente-ombra degli albanesi del Kosovo] Ibrahim Rugova, un uomo che è stato più volte ricevuto a Skopje con tutti gli onori e molta comprensione, ha consigliato senza mezze parole ai macedoni di non immischiarsi nelle faccende altrui in tal modo. Un sostegno completo all'idea del corridoio, almeno per ora, è venuto solo da Tirana, con la quale i rapporti bilaterali sono nelle ultime settimane all'insegna della più idilliaca armonia. Sembra tuttavia che in questo momento siano più interessanti le reazioni interne. A giudicare da quanto è noto al pubblico, l'"operazione corridoio" non è stata accolta in maniera uniforme nemmeno all'interno del partito al potere - la Lega socialdemocratica (SDSM), cioè il partito di Gligorov. Il portavoce del partito, Radmila Secerinska, non ha finora reagito duramente come molti avrebbero desiderato, ma sulle pagine del già citato "Dnevnik" ha espresso delle riserve e ha proposto come opzione prioritaria la chiusura dei confini settentrionali. Questo modo di prendere le distanze da un eventuale conflitto armato sembra essere quello più conveniente anche alla maggior parte dei politici di opposizione e degli esperti di sicurezza. UN CONFINE POROSO L'opposizione, da parte sua, otterrà lo stesso risultato ottenuto da Gligorov con la sua proposta, cioè quello di provocare direttamente il vicino settentrionale, con le sue accuse rivolte a quest'ultimo di volere una pulizia etnica violenta, accuse che vengono comunque rivolte agli estremisti di entrambi i campi, sia quello albanese, chee quello serbo. La Macedonia, in particolare, ha ancora un confine indefinito a nord [sono in corso trattative con la Serbia - n.d.t.] ed è una pura illusione pensare che la polizia (o l'esercito) della Serbia in una situazione come quella dipinta impedirebbe agli albanesi di entrare in Macedonia anche al di fuori del corridoio. A occidente poi, e questo è stato dimostrato in una quantità innumerevole di occasioni, il confine è a tale punto poroso, che non potrebbe in alcun modo impedire alle persone "accompagnate" in Albania attraverso il corridoio di tornare in Macedonia, se necessario anche lo stesso giorno. Tutto il discorso dell'opposizione è incentrato su come, con una soluzione come quella del corridoio, si aiuterebbe unicamente l'importazione di popolazione albanese, modificando così l'equilibrio etnico da lungo tempo esistente in Macedonia. Anche se a prima vista sembrerebbe non essere così, il famigerato corridoio non ha impressionato più di tanto nemmeno gli albanesi locali. Al contrario! La testimonianza più emblematica di questo fatto è la reazione di Arben Xhaferi e di Menduh Taci, i due leader del Partito democratico degli albanesi all'opposizione. Xhaferi - che qui viene considerato un politico decisamente radicale - dopo avere fatto freddamente osservare che "noi siamo per una soluzione pacifica del problema del Kosovo", ha affermato che l'idea del corridoio non fa che provocare una psicosi di guerra e aumentare la sensazione di instabilità. Taci è ancora più esplicito e afferma che l'idea nei fatti è "fascistoide, perché si inserisce nel progetto serbo di pulizia etnica del Kosovo". Vale la pena di ricordare che il politici albanesi locali anche prima delle più recenti iniziative hanno espresso la propria risoluta intenzione di aiutare in ogni modo possibile, anche, se del caso, con un impegno diretto sul terreno, i propri connazionali (che in molti casi sono anche parenti) nel Kosovo, qualora dovesse scoppiare un conflitto armato. Il senso di appartenenza a uno stato, dunque, non impedirebbe loro di rispondere al richiamo dell'appartenenza etnica, allo stesso modo in cui nemmeno per i membri della minoranza serba in Macedonia, se si deve credere seriamente alle parole del presidente del Partito Democratico serbo di Macedonia, Dragisa Miletic, costituirebbe un impedimento a correre in aiuto dei propri fratelli dall'altra parte del confine. Con o senza corridoio, a giudicare da tutto, la Macedonia sarebbe comunque coinvolta in un conflitto armato nel Kosovo. Al potere di qui non rimane che cianciare vanamente o prepararsi seriamente a ogni situazione. O, più probabilmente, entrambe le cose. UN MESSAGGIO Considerando la situazione in questo contesto, gli osservatori che non sono inclini a drammatizzare eccessivamente gli eventi ritengono probabile che Kiro Gligorov, da buon politico esperto quale è, non si sia affatto lasciato scappare un segreto di stato, ma che piuttosto abbia voluto mandare un messaggio a un indirizzo a lui noto. La promozione dell'idea del corridoio viene messa in relazione con il cessare del mandato delle attuali forze di pace in Macedonia [un contingente ONU, a composizione prevalentemente americana, del quale è stato recentemente deciso il ritiro nel luglio prossimo - n.d.t.]. Le autorità macedoni ritengono evidentemente che anche solamente il pericolo di un conflitto alle proprie frontiere settentrionali dovrebbe essere sufficiente per fare installare qui una nuova forza di intervento, anche al prezzo di mettere in questione in determinati ambienti la capacità del paese di difendersi da solo. Alcuni fatti relativi a queste posizioni la Macedonia non si preoccupa nemmeno di tenerli nascosti e, basandosi sull'attuale disposizione delle forze e sugli attuali sviluppi internazionali, alcuni ambienti dello stato stanno soccombendo sempre più alle categorie emozionali, a scapito di quelle politiche. (da "Vreme", 7 febbraio 1998) |