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NOTIZIE EST #26 - JUGOSLAVIA/KOSOVO
10 marzo 1998

DOPO LA STRAGE IN KOSOVO

Foto, fatti e testimonianze unanimi: quella compiuta negli ultimi giorni a Drenica è stata una vera e propria strage pianificata, che non ha risparmiato nemmeno i bambini e i vecchi, che ha visto la polizia portare via abitanti dei villaggi a Prishtina, per poi restituirli cadaveri (orrendamente mutilati) alle loro famiglie. Fatti che il Ministero degli Interni serbo non si preoccupa minimamente di smentire o di occultare, mentre a Belgrado Milosevic, Draskovic e Seselj lodano l'operato della polizia in una ritrovata "unità nazionale". Le grandi potenze del Gruppo di Contatto hanno adottato una serie di sanzioni unicamente di facciata, dando a Belgrado una scadenza sufficientemente lunga (15 giorni) per sistemare ogni cosa a dovere. Ecco ancora una cronaca di quello che è accaduto, con una rassegna di notizie pubblicate da "Nasa Borba" e "Nova Makedonija" [la qualità delle traduzioni risente dei tempi strettissimi per poterle pubblicare tempestivamente].

Il quotidiano di Belgrado "Nasa Borba" di oggi ha pubblicato per intero il documento finale approvato ieri dal Gruppo di Contatto. Il documento fa un quadro della situazione in sei punti, nei quali si eprime preoccupazione "per l'aumento della tensione in Kosovo e nella Repubblica Federale di Jugoslavia, nonché per l'inaccettabile uso della forza nel corso degli ultimi giorni", mentre si accusano "le autorità di Belgrado di essere ricorse nella provincia a misure repressive" senza avere prima tentato di avviare alcun dialogo. Il documento, tuttavia, aggiunge immediatamente: "Condanniamo categoricamente le azioni terroristiche dell'Esercito di Liberazione del Kosovo e di qualsiasi altro gruppo o singolo" e prosegue con una strana richiesta: "insistiamo affinché tutti coloro che al di fuori della Federazione Jugoslava, mediante finanziamenti, forniture di armi o addestramento, aiutano le attività dei terroristi in Kosovo, smettano immediatamente di farlo". Segue un elenco di misure e di prese di posizione dei paesi del Gruppo: si chiede al Tribunale Internazionale dell'Aja di cominciare a raccogliere informazioni sugli atti di violenza compiuti in Kosovo che possono eventualmente essere di sua competenza [ma in un altro articolo "Nasa Borba" riferisce che il Tribunale si è dichiarato indisponibile ad assumersi incarichi anche per gli eventi in Kosovo]; si propone una nuova missione di Felipe Gonzales, come inviato OSCE nell'area, nonché il ritorno delle missioni della stessa organizzazione, non solo in Kosovo, ma anche nel Sangiaccato e nella Vojvodina; si appoggia energicamente l'operato della Comunità di Sant'Egidio; si prevede la creazione di un gruppo internazionale, formato anche da ONG, che promuova la creazione di una società civile in Kosovo e la distribuzione di aiuti umanitari; si prende atto della legittima preoccupazione dei paesi confinanti per un possibile dilagare del conflitto e si raccomanda una proroga del mandato delle forze ONU di stanza in Macedonia o comunque di una forza militare internazionale nel paese.

Seguono poi le sanzioni imposte alla Serbia (definite dal "New York Times" 'estremamente modeste'), e cioè: a) proposta al Consiglio di Sicurezza di imporre un embargo alla fornitura di armi, b) cessazione della fornitura alla Serbia di attrezzature che possono essere utilizzate per misure repressive, c) rifiuto della concessione di visti di ingresso a (non meglio precisati) funzionari della Federazione Jugoslava responsabili di azioni repressive nel Kosovo, d) moratoria ai crediti statali concessi dai paesi occidentali alla aziende che esportano o investono in Serbia, ivi incluso nell'ambito delle privatizzazioni (all'atto pratico: se la Telecom italiana, per esempio, vuole proseguire i suoi investimenti in Serbia può continuare tranquillamente a farlo, solo che a tale fine non potrà più godere di crediti statali agevolati, ma dovrà sborsare soldi propri o presi in prestito alle normali condizioni di mercato presso banche private). Le condizioni affinché queste "sanzioni" vengano cancellate sono: 1) ritiro delle unità speciali di polizia, 2) consentire alla Croce rossa, alle organizzazioni umanitarie e a rappresentanti del gruppo di contatto di accedere al Kosovo (si noti bene, al Kosovo in generale e non ai comuni oggetto delle zone repressive), 3) avvio di un dialogo con i dirigenti della comunità albanese, 4) collaborazione costruttiva con il Gruppo di contatto. In chiusura, il documento ribadisce che i paesi del Gruppo "sono favorevoli a un rafforzamento dello status del Kosovo all'interno della Federazione Jugoslava", nel senso di una maggiore autonomia. Se entro dieci giorni (il 20 marzo) queste condizioni non saranno state soddisfatte, il Gruppo di contatto si riunirà il 25 marzo per rendere le sanzioni già approvate permanenti e per considerare l'eventualità di un congelamento dei beni serbi all'estero [secondo "Nasa Borba", di valore trascurabile].

Va tuttavia notato che da oggi allo scadere (effettivo) dell'ultimatum, cioè il 25 marzo, si dovranno svolgere in Kosovo due eventi di primo piano, programmati già da prima dello scoppio delle violenze dalla comunità albanese: per il 13 è prevista la ripresa delle manifestazioni degli studenti, mentre per il 22 sono state indette le elezioni per il governo "ombra" della comunità albanese della provincia, di importanza cruciale dopo gli eventi degli ultimi dodici mesi. La situazione, quindi, continuerà a essere tesa fino ad allora, senza contare l'enorme risentimento accumulatosi in questi giorni tra la popolazione albanese.

Sempre "Nasa Borba" di oggi riporta in breve, le reazioni dei più importanti leader albanesi del Kosovo rispetto agli eventi degli ultimi giorni:

BUJAR BUKOSHI, PRESIDENTE DEL GOVERNO DEL KOSOVO IN ESILIO

"Kosovo indipendente - rivendicazione minima"

Spalato, Beta - Il presidente del governo kosovaro in esilio, Bujar Bukoshi, ha dichiarato al settimanale di Spalato "Feral Tribune" che la rivendicazione minima degli albanesi kosovari è quella di un Kosovo indipendente, perché "sotto la Serbia è impossibile dare vita a un'autonomia". Secondo le sue parole, "gli ultimi eventi hanno convinto il nostro popolo che siamo orami su una via senza ritorno". "Mai più sotto la Serbia, mai più con la Serbia", ha dichiarato Bukoshi, il quale ha continuato affermando chee il suo governo "attende decisioni politiche" da parte di Prishtina. "Se saranno tali da richiedere la formazione di un esercito, creeremo un esercito e acquisteremo armi". Avdija Ramadan, il portavoce non ufficiale dell'Esercito di Liberazione del Kosovo illegale, ha dichiarato allo stesso giornale di Spalato che "gli albanesi non hanno nulla in comune con il popolo serbo, se non il fatto che loro (i serbi) da un secolo li perseguitano". "La Serbia ha chiuso ogni via rimasta, non ci resta altro che la guerra per la liberazione dei territori kosovari che i serbi, i macedoni e i montenegri tengono sotto occupazione", ha affermato Ramadan.

IBRAHIM RUGOVA, LEADER DEGLI ALBANESI DEL KOSOVO

"In una eventuale guerra, gli albanesi senza scampo"

Bonn, Beta-AFP - Il leader degli albanesi del Kosovo Ibrahim Rugova ha dichiarato che solo l'intervento della comunità internazionale potrà impedire una tragedia in Kosovo e ha chiesto ai paesi occidentali di esercitare serie pressioni sul presidente jugoslavo Slobodan Milosevic. In un'intervista al settimanale tedesco "Spiegel", Rugova ha dichiarato che "i servizi di informazione serbi hanno creato essi stessi le notizie sull'esistenza di terroristi organizzati e armati, al fine di avere un alibi per compiere crimini contro la popolazione albanese". "Non nego l'essitenz adi un gruppo di albanesi frustrati, ma le speculazioni sugli eserciti di liberazione e sulle loro azioni non sono reale e rimango convinto del fatto che siano frutto dei servizi segreti serbi", ha affermato Rugova. "Non ci sarà una guerra normale, percheé dal putno di vista militare non avremmo alcuna speranza, verremmo annientati nel giro di qualche giorno", ha concluso il leader degli albanesi del Kosovo.

ADEM DEMAQI, PRESIDENTE DEL PARTITO PARLAMENTARE DEL KOSOVO

"Il fiume di sangue non si ferma"

Belgrado, FoNet - Il presidente del Partito Parlamentare del Kosovo, Adem Demaqi, ha dichiarato per la trasmissione "Jutopija di Radio B92 che "fino a quando vi sarà schiavitù, ci sarà anche voglia di libertà". "Non ci sarà uno scontro armato, ma ci saranno persone che si sacrificheranno per la libertà", ha detto Demaqi, aggiungendo: "non ci sarà guerra, ma continuerà a esserci l'espressione del desiderio di libertà con metodi estremi", "fino a quando questo regime fascista serbo non ci darà un'altra possibilità di scelta". "Vogliamo annullare la schiavitù e faremo di tutto affinché questa schiavitù venga abolita", ha dichiarato Demaqi. "Gli albanesi non sono contro il popolo serbo, sono solo contro il regime serbo, che impone la schiavitù agli albanesi", ha proseguito, ribadendo che "il fiume di sangue non si fermerà" e che "gli albanesi dovranno, con il proprio sangue costringere il regime serbo a smaltire la sbornia".

LJULJETA PULJA-BECIRI, PRESIDENTE DEL PARTITO SOCIALDEMOCRATICO DEL KOSOVO

"Il regime serbo deve essere punito"

Podgorica, FoNet - Il presidente del Partito Socialdemocratico del Kosovo, Ljuljeta Pulja-Beciri, altrimenti candidato avversario di Rugova alle prossime elezioni per la nuova leadership kosovara, ha dichiarato che la comunità internazionale "ancora una volta lusinga il regime serbo, invece di punirlo per tutto quello che ha fatto". "Nel caso di uno scontro frontale, se Milosevic decide di incendiare il Kosovo, in mezz'ora la Macedonia sarebbe in fiamme. Se non fosse per il governo collaborazionista al potere in Albania, nessuno potrebbe impedire ai nostri fratelli e sorelle di aiutarci", ha affermato Ljuljeta Pulja-Beciri in un'intervista rilasciata al giornale Vijesti di Podgorica, aggiungendo che dell'attuale situazione nel Kosovo "una forte dose di responsabilità è del movimento politico albanese, con Rugova in testa a tutti".

Il quotidiano di Skopje "Nova Makedonija" ha pubblicato anche ieri, 9 marzo, come ogni giorno, le proprie corrispondenze da Belgrado, Prishtina e Tirana. In particolare, i due corrispondenti da Prishtina riporta alcuni particolari sul presunto leader dell'UCK, Adem Jashari: "Di Adem Jashari, il leader dell'UCK ucciso, si dice che nel corso del 1990 si sia addestrato militarmente in Albania e che, dopo essere tornato, abbia formato un gruppo armato illegale sul territorio di Prekaz. Jashari, per i suoi gravi crimini e per i suoi attacchi terroristici, era stato condannato a 20 anni di prigione in contumacia [...] L'UCK è il terzo livello, che con il lavoro sul terreno e con le sue azioni che compie, si pone l'obiettivo di accelerare la soluzione della questione del Kosovo. E se durante il nostro soggiorno nella provincia serba compiuto solo una decina di giorni fa i leader degli albanesi del Kosovo, un po' timidamente, prendevano le distanze dall'UCK e Rugova, sotto le pressioni internazionali, ha dovuto condannarli come terroristi, ora, dopo gli ultimi eventi, a Prishtina il clima è ben diverso. Il popolo albanese si mobilita - dice Adem Demaqi, leader del Partito Parlamentare del Kosovo (PPK) - ha capito che l'UCK gli è necessaria per difendersi. L'UCK, indirettamente, si è conquistata un sostegno anche in occasione della manifestazione di lunedì nel centro di Prishtina, organizzata dopo gli incidenti del fine settimana precedente".

Da Belgrado riferisce Tatjana Stankovic: "Domenica il presidente della Serbia Milan Milutinovic ha ricevuto l'intero corpo dirigente del Ministero degli Interni, guidato dal vicepresidente del governno e dal Ministro degli Interni del paese, Vlajko Stojlkovic, complimentandosi con loro per la decisa lotta contro il terrorismo e i separatisti del Kosovo e Metohija". La giornalista riferisce poi della riunione in parlamento: "L'intervento dell'unico deputato del parlamento federale (Sulejman Uglianin) che si è opposto alla commemorazione, con un minuto di silenzio, dei soli poliziotti uccisi e non di tutte le vittime è stato seguito da una tempestosa reazione da parte del presidente del Consiglio dei cittadini Milomir Minic, un alto funzionario del Partito Socialista Serbo, che ha minacciato Ugljanin di espulsione dalla sala per offesa allo stato. Tutti gli altri deputati sono rimasti in silenzio, dando evidentemente per scontato che tutti gli albanesi sono separatisti e terroristi. In particolare, solo alcuni minuti dopo, dei deputati eletti per la maggior parte senza il consenso della popolazione albanese della Federazione Jugoslava (con l'eccezione del Montenegro) hanno dichiarato che vista la difficile situazione nel paese, del terrorismo nel Kosovo e del separatismo nel Montenegro, che aumenta sempre di più, è loro intenzione dimenticare le divergenze, dando il proprio sostegno ai socialisti. Fino a qualche giorno fa esisteva addirittura la possibilità che Milosevic fosse costretto a indire elezioni anticipate per la federazione, nel caso non fosse stato approvato il bilancio di fronte all'opposizione sempre più forte dei partiti montenegrini di Djukanovic e di Kilibarda e di quello serbo di Seselj. Al momento del voto nel Consiglio delle Repubbliche, si è scoperto che i radicali di Seselj avevano unito i propri voti a quelli dei sostenitori di Milosevic, Bulatovic e Draskovic. Seselj non l'ha negato, in seguito, e la sua spiegazione è stata: non vi è per i radicali una questione più importante del Kosovo. Di fronte a un presidente della Federazione Jugoslava che ha difeso le stesse posizioni dei radicali, secondo i quali il Kosovo è esclusivamente una questione interna della Serbia, invitando la comunità internazionale a non immischiarsi, rifiutando allo stesso tempo ogni dialogo con i terroristi, che patrioti sarebbero mai i radicali se in un momento così decisivo e grave mettessero in questione lo stato unitario, portando il paese a nuove elezioni! - queste sono state le parole di Seselj. Una spiegazione simile è stata data da Vuk Draskovic e così tutti gli avversari si sono trovati alla stessa distanza di sicurezza - al presidente della Jugoslavia non è rimasto che fregarsi soddisfatto le mani: con un colpo ha dimostrato che l'omogeneizzazione attraverso la questione nazionale presso i serbi non è una cosa ormai dimenticata, e con l'altro ha inflitto una sconfitta a[l presidente montenegrino] Djukanovic, dandogli una dimostrazione del fatto che non ha una forza sufficiente a minacciare in maniera diretta il suo potere". Tatjana Stankovic continua poi scrivendo: "Mentre i media statali continuano a cantare una canzone per la lotta contro il male più grande, il terrorismo, stimolando l'eccitazione nazionale con le immagini dei famigliari in lacrime dei poliziotti uccisi (un copione già visto nel 1991 e nel 1992), i media indipendenti riportano le testimonianze dei corrispondenti stranieri, che hanno avuto la fortuna, o meglio il coraggio, di entrare nei villaggi albanesi e di visitarne le rovine".

"Ci hanno condotti nella casa della famiglia Nebihu. A loro la polizia serba ha ucciso il figlio e la nuora, che era agli ultimi mesi della maternità"; la giornalista macedone prosegue descrivendo la scena orrenda dei cadaveri sfigurati ancora nella casa e poi aggiunge: "Nella casa a fianco è lo stesso [...], mentre di fronte c'è la casa della famiglia Ahmeti, alla quale hanno ucciso dieci uomini. Sono stati arrestati e portati a Prishtina e da lì sono tornati solo i loro corpi massacrati [...]. I contadini sopravvissuti parlano di case incendiate, di proprietà distrutte, di violenze alle giovani albanesi [...]. Le autorità di Belgrado ostentano un'assoluta noncuranza di fronte a questi reportage e a tutti ripropongono la stessa immagine dell'appoggio unanime della cosiddetta opposizione serba, che preferisce interessarsi alle favole del patriottismo e della pacificazione tra partigiani e cetnici [...]. Ora si dice che nemmeno il parlamento federale ha il diritto di occuparsi del Kosovo, perché non deve immischiarsi negli affari interni della Serbia, principio che però non vale più quando il capo dello stato federale, Slobodan Milosevic, tratta sul Kosovo con mediatori internazionali - dietro tutto questo c'è solo il tentativo di ingannare il popolo serbo, che si cerca di aggirare con la favola che il Kosovo è il mito, la storia, la culla della sua civiltà, mentre in realtà non è che un poligono per gli scambi e gli intrighi politici. Alla luce di tutto questo, quelli che sostengono Milosevic e la sua politica, come fanno a non vedere che proprio grazie a essa il Kosovo è da lungo tempo un problema internazionalizzato e che ormai il prossimo passo di cui si parla è un'azione coordinata di NATO, UE, OCSE..."



DRENICA: UN SECOLO FA CONTRO I TURCHI

Dal settimanale di Belgrado "Vreme" una testimonianza sulle tradizioni di ribellione dell'area di Drenica, teatro degli ultimi violenti scontri:

"Anche il potere ottomano di un tempo ha avuto problemi quando ha cercato di imporre la propria amministrazione a Drenica. Nel suo libro "Kosovo - descrizione di una terra e di un popolo", lo scrittore e commediografo serbo Branislav Nusic [vissuto a cavallo tra i due secoli e per lungo tempo ambasciatore serbo a Prishtina] ha descritto cosa terrorizzava alla fine del secolo scorso i funzionari regionali turchi:

'Nel villaggio di Lause, che doveva essere la sede del funzionario regionale, era già stato costruito il suo palazzo in vista del suo trasferimento e il funzionario appena nominato aveva appena cominciato a svolgervi il proprio incarico, quando il 14 gennaio 1891 si sono radunati 2000 albanesi armati e hanno spedito al funzionario l'ordine di andarsene insieme a tutti i suoi impiegati, altrimenti avrebbe avuto di che pentirsene. Il funzionario ha fatto immediatamente le valigie e si è trasferito a Mitrovica, gli albanesi hanno incendiato il suo palazzo e tutti gli altri edifici statali, radendoli al suolo. Quando altri funzionari incaricati dal governo sono venuti per svolgere indagini (in realtà per cercare un compromesso) sui fatti accaduti, i capi albanesi si sono recati da loro e gli hanno detto: da cinquecento anni a Drenica non c'è nessuna autorità e nessuno ne sente il bisogno - così sarà sempre finché siamo vivi!'

'E così ancora oggi in quel paese non c'è alcuna autorità, Drenica non paga imposte e per lei non valgono le leggi sulla terra".

(selezione, traduzione dal serbo e dal macedone e redazione a cura di A. Ferrario)