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![]() NOTIZIE EST #43 - BALCANI / 2 L'EMBARGO ALLA JUGOSLAVIA: UN CRIMINE PIANIFICATO [Concludiamo il mini-speciale sulle sanzioni contro la Jugoslavia, con questa seconda parte, dedicata alle loro ripercussioni nei paesi confinanti - a.f.] LE RIPERCUSSIONI DELL'EMBARGO ALLA JUGOSLAVIA NELL'AREA BALCANICA "I paesi balcanici sono ormai abituati a vivere in una situazione di embargo che per gli occidentali risulterebbe fatale. Abbiamo fatto esperienza con questo tipo di misure e sappiamo che non aiutano mai a risolvere i problemi della regione", ha dichiarato recentemente il ministro degli esteri rumeno Andrei Plesu, quando nel Gruppo di Contatto per l'ex-Jugoslavia si è cominciato a parlare dell'eventuale imposizione di un nuovo embargo alla Jugoslavia. E il suo paese, in effetti, ha fatto una dura esperienza delle ripercussioni delle sanzioni. Secondo i dati ufficiali, infatti, la Romania durante il periodo 1992-1996 ha subito un danno complessivo di circa due miliardi di dollari per l'embargo internazionale alla Jugoslavia, e questo nonostante il fatto che la sua posizione geografica, a differenza di quella di altri paesi balcanici, le abbia evitato i danni derivanti dall'interruzione delle vie di comunicazione con l'Europa Centrale e Occidentale. Le sanzioni applicate nel 1992 contro la Jugoslavia, inasprite negli anni successivi, fino alla cancellazione di buona parte di esse, ma non di tutte, nel 1996, sono venute in un momento particolarmente delicato per tutti i paesi confinanti con la federazione serbo-montenegrina, dove il processo di stabilizzazione politica, a differenza di quanto è avvenuto nell'Europa Centro-Orientale, è giunto solo tra la fine del 1991 e l'inizio del 1992. Già nel 1991 paesi come Bulgaria e Macedonia avevano pagato (e stanno ancora pagando oggi) duramente gli effetti dell'embargo contro l'Iraq, imposto nel 1991. La Bulgaria, per esempio, aveva un credito commerciale di circa 2 miliardi di dollari con l'Iraq, che non ha mai potuto ricuperare, né in denaro, né in petrolio (come avveniva in passato), poiché Baghdad si rifiuta di farlo, visto che Sofia aderisce alle sanzioni. Danni di tipo simile hanno subito anche Romania e Macedonia, che avevano importanti rapporti commerciali con il paese mediorientale. La "comunità internazionale" aveva assicurato ufficialmente agli stati balcanici la fornitura di aiuti per fare fronte alla situazione, ma questa promessa non è mai stata mantenuta. Eppure gli stati occidentali non esitano a fornire centinaia di miliardi di crediti agevolati alle proprie imprese che partecipano alle privatizzazioni in corso nei paesi balcanici. Le sanzioni adottate nel 1992 contro la Jugoslavia hanno avuto nella regione effetti ancora più dirompenti. Uno dei paesi più colpiti è stata la Macedonia, che oltre agli effetti degli embarghi contro l'Iraq e la Jugoslavia, ha risentito pesantemente anche del blocco impostole negli stessi anni dalla Grecia. Ecco cosa scrive Josif Djockov, del giornale "Nova Makedonija": "Le sanzioni contro la federazione jugoslava hanno causato alla Macedonia più di tre miliardi di dollari di danni diretti e un ammontare non definibile di danni indiretti. Nonostante tutte le promesse di aiuto, il nostro paese è rimasto solo alle prese con la sua pesante situazione economica, dovuta anche al blocco imposto dalla Grecia, che ha causato danni per 900 milioni di dollari, proprio nel momento in cui venivano avviate le riforme per il processo di transizione. Tutto questo ha portato a una stagnazione del complesso dell'economia le cui conseguenze si fanno sentire ancora oggi. "[...] Bisogna tenere presente che [la Jugoslavia è un partner economico fondamentale della Macedonia], l'anno scorso, infatti, gli scambi tra i due paesi hanno toccato i 510 milioni di dollari, con un attivo del nostro paese pari a 68 milioni di dollari". "Quello che preoccupa ancora di più, di fronte all'eventualità di nuove sanzioni, è il fatto che è molto difficile trovare in breve tempo un mercato alternativo per i nostri prodotti. Non bisogna dimenticare che anche la struttura delle nostre esportazioni verso la Jugoslavia è tale da non consentire una deviazione del flusso verso altri mercati. Il problema è quello dell'eccessivo rincaro delle merci a causa dell'allungamento delle rotte di comunicazione che possano portare a un mercato di sbocco. Lo stesso vale anche per le importazioni da parte del nostro vicino settentrionale, dal quale riceviamo i macchinari e le materie prime più importanti per la nostra economia. L'aggiunta di un'ulteriore distanza di trasporto renderà decisamente più cara la nostra produzione, un fatto che può mettere in questione il volume complessivo della nostra attività economica". "[...] Con l'adozione delle sanzioni da parte dell'ONU, il nostro paese è stato tagliato fuori da tutte le vie di comunicazione più dirette con i mercati europei. Attraverso la Serbia passa l'80 per cento del nostro traffico commerciale. Le vie alternative, trovate durante il periodo dell'embargo, hanno comportato un rincaro dei prezzi delle merci che esportiamo pari al 40 per cento. L'alto prezzo dei nostri prodotti ha chiuso alla Macedonia le porte di mercati con i quali il nostro paese ha una lunga tradizione di scambi". [...] La diminuzione della produzione industriale [qualora venissero applicate nuove sanzioni] avrebbe ripercussioni negative anche sul piano sociale e porterebbe a un ulteriore impoverimento della popolazione, causato dalla diminuzione del livello di sfruttamento delle capacità produttive e dalla stagnazione degli scambi commerciali [...], due fenomeni che porterebbero sicuramente a una diminuzione del livello di occupazione. Bisogna inoltre tenere conto anche del fatto che la stagnazione dei potenziali tecnico-tecnologici dei quali attualmente dispone la nostra industria [porterebbe] a un arretramento di molti anni delle potenzialità della nostra economia". "Durante il periodo delle sanzioni, gran parte delle nostre imprese produttive che in passato erano tecnologicamente dipendenti dalle importazioni dalla Jugoslavia, sono state costrette a fermare la produzione. Molte imprese, ancora oggi, dopo due anni, risentono delle conseguenze di quel periodo e sono costrette a chiudere o comunque non riescono a riprendersi". "[Con le sanzioni] si sviluppano inoltre il contrabbando e l'economia sommersa, che comportano grandi guadagni per le persone che si trovano nella posizione giusta per sfruttare l'occasione, senza tuttavia che lo stato ne ricavi alcuni vantaggio, anzi, causandogli danni". Un altro paese durissimamente colpito dall'embargo del 1992-1996 è stata la Bulgaria. Il quotidiano macedone "Nova Makedonija", stima che i danni subiti dal paese siano compresi tra i 3 e i 6 miliardi di dollari, mentre il quotidiano serbo "Nasa Borba" parla di 7-9 miliardi. Indipendentemente dall'ammontare esatto dei danni, chi abbia vissuto la situazione del paese in quegli anni non può certo dubitare della loro enorme entità. Secondo il ministro degli esteri bulgaro Nadezda Mihajlova, "i soldi che la Bulgaria ha perso durante i quattro anni dell'embargo, sarebbero sufficienti per coprire tutti gli impegni che ci derivano dal debito estero per almeno tre anni". La Bulgaria ha sofferto pesantemente dell'interruzione dei rapporti commerciali con la Jugoslavia, che era uno dei suoi più importanti partner economici, e, come la Macedonia, dell'interruzione della via di trasporto più breve verso l'Europa Centrale e Occidentale. Inoltre, come scrive il "Nasa Borba", la Bulgaria, come gli altri paesi confinanti con la Jugoslavia, è stata classificata a livello internazionale come "paese a rischio" per gli investimenti, vedendo così venirsi a vanificare molti progetti economici e subendo un aumento dei tassi d'interesse da pagare sui prestiti ricevuti. Ma uno degli aspetti più eclatanti avutisi in Bulgaria in quegli anni (e presente anche negli altri paesi della regione, seppure in maniera più limitata) è l'enorme aumento delle attività criminali e mafiose legate al contrabbando di petrolio, armi e materie prime verso la Serbia. I gruppi mafiosi che ai tempi delle sanzioni effettuavano i loro regolamenti di conti sparandosi per la strada, ora si sono trasformati in imprese o gruppi finanziari del tutto legali, guidati da eleganti manager in doppiopetto, che possiedono il controllo del mercato del paese. Uno di questi gruppi ha sostenuto per anni le disastrose politiche economiche del Partito Socialista Bulgaro, ma di fronte alla crisi politica e alle manifestazioni dell'anno scorso non ha esitato fare votare al proprio consiglio di amministrazione [sic] una dichiarazione di sostegno alla formazione di un nuovo governo di destra! Gli effetti delle sanzioni si sono fatti sentire anche in paesi più distanti, come l'Ungheria, la Russia (che sostiene di avere subito per gli embarghi contro Iraq, Libia e Jugoslavia danni complessivi per 16 miliardi di dollari) e l'Ucraina (secondo Radio Europa Libera, le sanzioni avrebbero provocato di riflesso la perdita del posto di lavoro per 30.000 lavoratori del settore trasporti). L'Istituto Statale Austriaco per l'Europa Orientale e Sudorientale ha calcolato che gli embarghi a Iraq, Libia e Jugoslavia hanno provocato nel solo 1992 complessivamente $356 miliardi di danni in tutta l'Europa Orientale. E' difficile credere che chi ha deciso e organizzato l'applicazione delle sanzioni non ne abbia previsto anche le conseguenze, sia economiche, che politiche. Riguardo a queste ultime, in particolare, va notato che i loro effetti sono stati particolarmente negativi. Oltre ai danni economici diretti, vi è stato infatti anche un danno politico indiretto, dovuto al fatto che le attività economiche sono state sottratte, in un momento di transizione cruciale, al controllo dello stato, il quale, totalmente privato di entrate fiscali, ha visto indebolirsi drasticamente la propria capacità di intervento. Allo stesso tempo, grazie all'enorme giro d'affari legato al contrabbando, si sono consolidate potentissime strutture di potere, sia in Serbia, Montenegro e Kosovo che nei paesi confinanti, legate più o meno direttamente a forze politiche (dal Partito Socialista Serbo a quello bulgaro, dal Partito Socialdemocratico di Gligorov al Partito Democratico di Berisha) che hanno svolto un ruolo fondamentale nel tenere sotto controllo la situazione interna in questi anni. Ora però queste strutture di potere economico-finanziario si sono rese più autonome e, riciclatesi nella maggior parte dei casi come aziende legali, puntano a ottenere il controllo dei processi di privatizzazione e di ammissione nelle strutture occidentali (UE, NATO), se necessario anche abbandonando i loro vecchi protettori. E' probabile che questa conseguenza sia stata ritenuta come accettabile o addirittura desiderabile dagli stati occidentali che hanno voluto e ottenuto l'applicazione delle sanzioni. Gli stati balcanici hanno infatti una struttura economica e sociale molto più fragile di quella dei paesi dell'Europa Centro-Orientale, come la Polonia, la Repubblica Ceca o l'Ungheria, e una transizione al capitalismo in condizioni "normali" avrebbe potuto avere esiti politicamente e socialmente esplosivi. La creazione, grazie alle sanzioni, di potenti gruppi politici ed economici al di fuori di ogni controllo pubblico ha senz'altro contribuito a creare e consolidare una nuova classe politico-imprenditoriale in grado ora di gestire la transizione da una posizione di forza. (traduzioni e selezione a cura di A. Ferrario, da vari articoli apparsi su "Nova Makedonija" e "Nasa Borba" tra marzo e aprile, e inoltre dal libro "Economic Decline and Nationalism In The Balkans", di M. Zarkovic Bookman, Philadelphia, 1994)
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