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NOTIZIE EST #46 - JUGOSLAVIA/KOSOVO
17 maggio 1998

LA NATO E BELGRADO
di Andrea Ferrario

A due mesi e mezzo dal massacro di Drenica la situazione in Kosovo rimane tesa e irrisolta, ma il regime di Belgrado sembra avere incassato alcuni importanti successi. L'incontro tra Milosevic e Rugova svoltosi l'altroieri è avvenuto, su richiesta dei mediatori americani Holbrooke e Gelbard, con la rinuncia a tutte le precondizioni poste dalla parte albanese e, fino a poco tempo fa, sostenute anche dai governi occidentali e con particolare energia da quello americano. Dopo questo incontro, Milosevic ha ricevuto le lodi personali per la sua "apertura e disponibilità" da parte di Holbrooke e del segretario di stato americano Albright, mentre la leadership albanese è uscita fortemente indebolita dalla rottura verificatasi all'interno del gruppo di rappresentanti politici (G-15) formato per gestire l'apertura di eventuali trattative con Belgrado: dal gruppo (che Rugova non ha convocato per discutere l'opportunità o meno di accettare l'incontro con Milosevic) si sono dimessi leader politici di primo piano come Adem Demaqi (che guida il Partito Parlamentare), Hidejet Hiseni (che guida la Nuova Lega Democratica del Kosovo, staccatasi dalla LDK di Rugova) e Bujar Dugolli, leader degli studenti. Alle trattative hanno invece partecipato, con Rugova, l'ex-leader comunista Mahmut Bakalli, Fehmi Agani, consulente di Rugova e Veton Suroj, direttore di Koha Ditore, giornale finanziato dalla Fondazione Soros, legata all'amministrazione americana.

Nei due mesi che hanno preceduto questo incontro, inoltre, Milosevic è riuscito con successo a giocare sulle divergenze esistenti tra Europa, Russia e Stati Uniti in merito alle posizioni da adottare nei confronti della crisi del Kosovo, evitando l'imposizione di sanzioni incisive (l'unica misura di un certo peso, cioè il blocco degli investimenti esteri, è stata adotta solo la settimana scorsa e verrà con ogni probabilità revocata nei prossimi giorni). Alcune settimane fa, poi, il presidente americano Bill Clinton, in occasione della visita del premier italiano Prodi, ha per la prima volta dichiarato a chiare lettere la propria adesione alla posizione europea secondo la quale il problema del Kosovo è un problema che deve essere risolto all'interno dei confini della Serbia. In precedenza, gli americani, contrari come gli europei a ogni ipotesi di indipendenza, non avevano escluso tuttavia una soluzione che prevedesse la creazione di una Repubblica del Kosovo all'interno della Federazione Jugoslava.

Ma quello che potrebbe rivelarsi un prezioso aiuto per Belgrado, anche se a prima vista può apparire soprattutto come una minaccia nei suoi confronti, è lo stanziamento di forze NATO ai suoi confini, in Albania e in Macedonia. L'alleanza atlantica ha messo a punto, nella sua riunione del 14 maggio scorso, un piano che prevede da una parte lo stanziamento di un contingente NATO al confine tra Albania e Kosovo, "per arrestare il flusso di armi e di persone verso la regione della Serbia", mentre dall'altra prevede il posizionamento di un altro contingente del Patto Atlantico in Macedonia, "per impedire l'espandersi del conflitto anche in questo paese", mentre è stata per il momento accantonata, ma non esclusa a lungo termine, l'ipotesi dell'invio di osservatori nello stesso Kosovo (per i quali ci vorrebbe l'autorizzazione del governo di Belgrado, visto che il governo-ombra albanese del Kosovo non è riconosciuto a livello internazionale). Questi progetti dovrebbero essere formalizzati in occasione della prossima riunione della NATO che si svolgerà in Lussemburgo il 28 e 29 maggio, anche se non è detta ancora l'ultima parola perché, a quanto pare, sussistono divergenze tra i paesi membri, soprattutto riguardo alle modalità dell'invio di un contingente in Macedonia. Gli effetti di un tale piano, a un'attenta analisi, risultano tuttavia chiari: con il controllo della frontiera settentrionale albanese si arresterebbero i rifornimenti di armi all'Esercito di Liberazione del Kosovo (UCK) e si controllerebbe allo stesso tempo il Nord dell'Albania dove sono più forti i sostenitori di Berisha e dove la crisi sociale si è fatta nuovamente esplosiva. Il contingente in Macedonia terrebbe invece sotto controllo la minoranza albanese del paese, schierata politicamente con i propri connanzionali del Kosovo, e costituirebbe un importante aiuto politico al regime di Gligorov, fortemente legato alla Serbia e che tutti danno per spacciato alle elezioni politiche dell'ottobre prossimo. In generale la presenza militare NATO dovrebbe tenere sotto controllo la situazione esplosiva in tutte le regioni dell'area abitate da albanesi, in cui la situazione economica disastrosa, l'altissimo tasso di disoccupazione (ovunque dal 50% all'85%) e la forte crescita demografica potrebbero portare all'esplosione di nuove rivolte come quella dell'anno scorso. Ovviamente tale presenza militare svolgerebbe anche la funzione di esercitare pressione sulle autorità di Belgrado e sull'evoluzione della situazione politica in Montenegro, dove le imminenti elezioni politiche potrebbero riaprire un conflitto tra il filoccidentale Djukanovic, attualmente presidente, e Momir Bulatovic, ex-presidente e schierato con Milosevic a livello federale.

Rimane tuttavia il fatto che sul campo Belgrado non sembra essere riuscita a sbarazzarsi dell'Esercito di Liberazione del Kosovo. E' difficile dipingere un quadro della situazione interna nella regione, perché le uniche due fonti di notizie regolari, la Tanjug e il Kosovo Information Center, sono nelle mani rispettivamente del Ministero dell'Informazione di Belgrado e del governo ombra di Rugova, e risultano del tutto inattendibili. Tuttavia il quadro generale che danno sembra essere confermato dalle notizie occasionalmente confermate dalle agenzie internazionali: proseguono sia i cannoneggiamenti di villaggi da parte delle autorità serbe, che le azioni terroristiche contro polizia e civili da parte dell'UCK. L'intervento di forze NATO per "tenere a bada" gli albanesi e la nuova apertura di credito occidentale nei confronti di Milosevic porteranno con ogni probabilità l'UCK a tentare il tutto per tutto nelle prossime settimane.

Nella regione rimangono da segnalare due importanti notizie degli ultimi giorni, riguardanti gli aspetti militari. Il quotidiano americano "Washington Times" ha riportato il 12 maggio scorso una gravissima dichiarazione del presidente bulgaro Petar Stojanov, il quale avrebbe detto testualmente che "la Bulgaria è pronta a intervenire militarmente in Macedonia, qualora il conflitto in Kosovo si allarghi a questo paese che, nei fatti, è una provincia bulgara".

In Macedonia, invece, una delle principali industrie belliche italiane, la Alenia, è riuscita a ottenere l'appalto per la riorganizzazione del sistema di protezione radar del paese del valore complessivo di 13 milioni di dollari. Il costo verrà finanziato in parte dal governo macedone (4,5 milioni di dollari) e in parte mediante un prestito dell'Unione Europea (8,5 milioni di dollari).

(sulla base di articoli pubblicati questa settimana da: "Nova Makedonija", "Nasa Borba", MILS, Reuters, "New York Times").