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![]() NOTIZIE EST #48 - JUGOSLAVIA/KOSOVO KOSOVO IN GUERRA, AFFARI PER GRECIA E ITALIA Nel Kosovo sud-occidentale, ma anche in altri punti della provincia, lo scenario è ormai da svariati giorni quello di una guerra aperta tra Esercito di Liberazione del Kosovo (UCK) e unità del Ministero degli Interni serbi e dell'esercito jugoslavo, per il controllo del territorio. Riportiamo qui sotto una rassegna di quanto hanno pubblicato vari giornali e agenzie negli ultimi giorni. Il "Times" di Londra, uno dei pochi giornali con un corrispondente nell'area, ha così descritto la situazione nel suo numero del 1° giugno: "Venerdì (29 maggio) gli scontri si sono intensificati nella zona a ovest di Pristina, dove i serbi hanno cominciato a bombardare e bruciare i villaggi disposti lungo il più importante asse di comunicazione est-ovest della provincia, la strada che da Pristina conduce a Pec, la principale città di frontiera del Kosovo dalla quale si diramano le strade che accedono a Montenegro e Albania. Ieri alcune case del villaggio di Lapusnik erano in fiamme. Un'inquietante terra di nessuno è venuta a crearsi intorno al villaggio, il primo a occidente del posto di blocco di Komoran, che è l'ultima barriera di sicurezza dei serbi lungo la strada, al di là del quale c'è l'aeroporto e poi Pristina stessa. Venerdì sera le unità speciali di polizia di Komoran hanno dichiarato di avere liberato la strada. [...] Ma avvicinandosi a Lapusnik dall'area sud-occidentale controllata dall'UCK si ha un'impressione del tutto diversa. [...] L'incrocio a ovest di Lapusnik è diventato un punto di intersezione delle forze dell'UCK. Convogli di camion continuano a percorrerlo, trasportando carichi di terra e rocce per i frenetici lavori di costruzione di strade dei guerriglieri, che cercano di creare delle vie di comunicazione che li colleghino alla regione centrale di Drenica e alle aree occidentali di Decane. Un'intensificazione drammatica della guerra è praticamente inevitabile, dato il numero decisamente superiore di soldati dell'UCK, molti dei quali sono profughi provenienti dai villaggi in fiamme di cui ora pullula la campagna. Ma nonostante la situazione si sia deteriorata, Ibrahim Rugova e altri leader degli albanesi del Kosovo si sono impegnati a continuare i negoziati per porre fine alle violenze etniche nella regione, dopo avere incontrato il segretario di stato americano Madeleine Albright. [...] Più si incontrano uomini dell'UCK e più se ne scoprono le radici cosmopolite. Abbiamo incontrato molti sloveni e croati, mentre le autorità serbe affermano da lungo tempo che tra le file dell'UCK vi siano combattenti bosniaci". Le operazioni militari nell'area erano tuttavia cominciate già una decina di giorni fa, come racconta Tom Walker, corrispondente del Times, nel suo servizio del 25 maggio, prima di essere fermato dalla polizia serba ed espulso dalla zona: "Le forze di sicurezza serba hanno cominciato la più grande operazione nei Balcani dopo la fine della guerra bosniaca. I membri dell'etnia albanese vengono sistematicamente 'ripuliti' dai villaggi del Kosovo occidentale, le loro case vengono bombardate e incendiate, nel tentativo da parte di Milosevic di stringere l'Esercito di Liberazione del Kosovo (UCK) in una tasca di territorio sempre più stretta. Nel corso del fine settimana [quindi già il 23-24 maggio - N.d.T.] interi villaggi erano in fiamme, mentre quelli che si sospetta siano i centri di comando dei guerriglieri dell'UCK stanno cercando di collegare l'area occidentale di Decane e quella centrale 'liberata' di Drenica. A Dolovo, a sud del fiume Bistrica, ci siamo ritrovati tra 20 case in fiamme [...]. Al di sopra della collina, echeggiando dalle due valli successive nel cuore della regione di Decane, e cioè da Jablanica, Glogjane e Rznic, proveniva il suono di artiglieria pesante e armi automatiche. 'Cosa si aspettava, è la guerra', dice il comandante delle forze speciali, le cui truppe hanno circondato la nostra vettura. Sulle porte e sulle pareti delle case distrutte sono stati tracciati con la vernice nera la croce ortodossa serba e lo slogan che la accompagna: "Solo l'unità può salvare i serbi". Milosevic sta terminando il decennio così come lo aveva cominciato, spingendo il suo popolo disorientato e isolato in una guerra che non può vincere. Prima era per una 'Grande Serbia' impossibile da mantenere; oggi è per una Serbia più piccola, frantumata dalle forze della demografia. [...] La battaglia di Decane è continuata del tutto inosservata per quasi una settimana, con la maggior parte delle strade dell'area dei combattimenti interrotte e i media internazionali distratti dai colloqui di pace tra serbi e albanesi. Questi colloqui si sono ora rivelati uno spettacolo da parata senza senso, una manipolazione cinica da parte di Milosevic - coronata in parte da successo - per ottenere la cancellazione di parte delle sanzioni internazionali [che secondo l'International Herald Tribune di oggi sarebbe stata chiesta dagli Stati Uniti, mentre gli europei erano favorevoli a un loro proseguimento - N.d.T.]. [Le operazioni delle unità serbe] seguono un modello previsto dagli esperti militari occidentali dell'area: dopo bombardamenti incessanti da una certa distanza, gruppi speciali d'élite serbi entrano in ogni villaggio completando le uccisioni e attendendo il successivo bombardamento dell'artiglieria prima di procedere in avanti. Più ci si avvicina al fronte e più professionali sono i combattenti. [...] In precedenza siamo stati a Citak, un villaggio più di 30 km. a nord di quest'area, dove gli abitanti terrorizzati, che passano le notti nascosti nei boschi, sono venuti allo scoperto per mostrarci quelle che un tempo erano le loro case e ora sono un cumulo di rovine, bombardate da una serie di raid di elicotteri giovedì scorso [il 21 maggio - N.d.T.]. [...] Il numero delle vittime albanesi non è noto e non ci sono elementi che facciano pensare che la fine delle operazioni sia prossima. Il suo scopo evidente è quello di spingere il nucleo delle unità dell'UCK a sud di Decane, per intrappolarle tra le unità speciali serbe che avanzano e quelle dell'esercito jugoslavo che sorvegliano il confine occidentale verso l'Albania. Data la tattica serba, l'eventuale stanziamento di truppe NATO nell'Albania settentrionale difficilmente sarebbe d'aiuto: la loro presenza non potrebbe servire che a intrappolare gli albanesi in fuga, tagliando allo stesso tempo i loro rifornimenti di armi. [...] L'elemento fondamentale che rimane ancora sconosciuto, è l'effettiva forza e organizzazione dell'UCK. Sulla strada principale tra Pristina e Pec, l'UCK ha disposto delle piccole unità di uomini, per la maggior parte in abiti civili, pronti a tendere imboscate ai veicoli militari o della polizia di passaggio, utilizzando bazooka e granate a razzo. Il grande vantaggio degli albanesi è quello della supremazia dal punto di vista numerico; sabato sera su entrambi i lati della strada sono comparsi centinaia di giovani uomini che sembravano scavare delle trincee. Se l'UCK riuscirà infine a tagliare tutte le vie di comunicazioni principali della regione, la posizione dei serbi diventerà disperata". Episodi di violenza si sono tuttavia avuti negli ultimi giorni nell'intero Kosovo e alcuni di questi lasciano intendere un netto ampliamento del raggio di azione dell'UCK: per la prima volta è stato assaltato un treno - è accaduto sulla linea tra Pristina e Pec, dove un commando albanese ha rapito (alcuni dicono ucciso) un poliziotto; nei giorni scorsi c'è stato uno scontro a fuoco tra la polizia e due giovani albanesi in divisa dell'UCK, rimasti uccisi, nel centro di Mitrovica, una città nel nord del Kosovo, mentre alcuni giorni prima c'erano stati scontri praticamente ai sobborghi della 'capitale' Pristina. Le autorità serbe lamentano numerose vittime di imboscate da parte dell'UCK, quasi sempre poliziotti, ma in alcuni casi anche pacifici civili, in tutte le aree della regione, mentre continuano le operazioni delle unità speciali nell'area di Drenica, nel centro del paese, praticamente tagliata fuori dal mondo, e in questi giorni sono state tagliate le comunicazioni telefoniche (anche quelle mobili) in quasi tutto il Kosovo, con l'eccezione delle aree nord-orientali. E' questo il quadro dipinto praticamente da tutti gli organi di stampa che hanno inviati nella regione, come le agenzie Reuters, AP, AFP, la BBC e giornali come il "Financial Times", "Nasa Borba" e "Nova Makedonija". Le autorità serbe e i loro organi di stampa, come l'agenzia Tanjug e il Media Center di Pristina, nonché il quotidiano "Politika", forniscono solo laconici comunicati sulle imboscate tese dall'UCK (tre poliziotti uccisi negli ultimi quattro giorni) e sulle operazioni "antiterroristiche" nella zona di Decani, durante le quali "sono stati liquidati dozzine di terroristi", senza fornire alcun altro particolare. Stamattina il Media Center ha comunicato che le operazioni sono terminate e che la zona è terminata. Infine, il corrispondente del "Times" di Londra, mentre scriviamo, segnala che fortissimi scontri sono iniziati oggi anche nell'area di Drenica, a Glogovac, dove le unità della polizia hanno aperto un altro fronte, e a Poklet. Intanto prosegue il flusso di profughi verso l'Albania. Il corrispondente del "Washington Post" da Tropoje, nel nord dell'Albania, scrive il 31 maggio: "I kosovari che sono giunti a piedi in città oggi descrivono fughe caotiche attraverso i monti. 'Tutti cercavano di scappare ieri', racconta Izepe Gacaferi, che narra di avere camminato per 12 ore da Junik a Tropoje. 'Non abbiamo fatto che scappare, circondati dalla polizia e con le pallottole che sfrecciavano ovunque', racconta Gacaferi, di 23 anni, che è scappata con il marito, altri parenti adulti e due bambini. Sono scappati sui monti quando il bombardamento è cominciato, alle sei del mattino. Si sono nascosti per 20 ore nei boschi e poi hanno cercato di dirigersi verso l'Albania. 'Eravamo tutti confusi, non sapevamo quale sentiero prendere. 'Xhem Gjocas, un ex operaio tessile di 31 anni di Junik, dice che la città si è fatta particolarmente affollata dopo le operazioni della polizia serba di due mesi fa. A Junik abitano circa 10.000 persone, ma recentemente vi erano giunti circa 5.000 profughi. 'Migliaia di persone si sono nascoste sui monti e attendono', afferma Gjocas, aggiungendo: 'Ci sono malati e anziani. Sono tutti rimasti dietro di noi'. Anche i pastori che pascolano nell'area raccontano lo stesso." L'AP riporta oggi la testimonianza di un altro profugo kosovaro: "Usano la stessa tattica applicata in Bosnia: prima bombardano il villaggio per farci fuggire dalle nostre case, poi arrivano e bruciano le case per non farci tornare più". Il responsabile ONU in Albania parlava ieri di 1.500 profughi giunti nelle zone settentrionali del paese, ma il flusso prosegue ininterrotto. "Vi è particolare preoccupazione per le popolazioni di Junik, 10.000 abitanti, e di Decani, 20.000 abitanti, che sarebbero rimaste quasi completamente distrutte dai bombardamenti", ha dichiarato alla Reuters, secondo la quale dai monti al confine si possono vedere i villaggi in fiamme nella vallata sottostante. Per venerdì 5 giugno è previsto il secondo incontro tra una delegazione serba e una albanese, dopo quello del 15 maggio scorso tra Rugova e Milosevic. Il suo svolgimento non è sicuro, anche se stamattina il portavoce del governo-ombra del Kosovo ha parlato in termini che lasciano intendere che per il momento l'incontro non è cancellato. Da segnalare anche che fra alcuni giorni si svolgerà a Istanbul un vertice dei ministri degli esteri dei paesi balcanici, che dovrebbe proseguire i lavori avviati dal vertice di Creta del novembre scorso, durante il quale si era avuto un colloquio tra Milosevic e il premier albanese Nano che aveva visto quest'ultimo usare per la prima volta toni molto concilianti sul problema del Kosovo. Nei giorni scorso la NATO ha approvato un vasto programma di manovre militari ai confini col Kosovo (in Albania e Macedonia), ma non ha confermato il progetto che prevedeva lo stanziamento di truppe - a parte le diversità di vedute in merito alle modalità di un tale stanziamento tra americani ed europei, sulla decisione pesano la gravosità e i rischi di un'eventuale tale presenza, dovuti al carattere montagnoso del territorio, alla mancanza di infrastrutture e all'instabilità politica della regione (il nord dell'Albania è una roccaforte di Berisha e le zone della Macedonia al confine con il Kosovo, abitate da una maggioranza albanese, sono particolarmente tese dopo l'arresto del sindaco di Gostivar, Rufi Osmani, peri disordini dell'anno scorso). Ma soprattutto è l'entità delle truppe da impegnare, che frena il desiderio d'intervento - secondo le stime sarebbero necessari fino a 25.000 soldati, e questo mentre prosegue l'impegno militare dell'alleanza in Bosnia. Intanto l'Italia ha ottenuto il comando della "cellula NATO" insediatasi a Tirana. Mentre in Kosovo proseguono i massacri, c'è chi pensa a fare affari. Il "Financial Times" ha pubblicato due giorni fa un interessante articolo sul complesso minerario-metallurgico di Trepca, che è l'asse portante dell'economia della regione, del quale riportiamo qui sotto ampi stralci (richiamando l'attenzione sul breve, ma significativo, accenno al ruolo dell'Italia al termine dell'articolo): "Le vere condizioni in cui si trova il complesso di Trepca con le sue cinque miniere di piombo e zinco rimangono un grande mistero, avvolto in un fumo fitto come lo smog che lo circonda. Novak Bijelic, il direttore generale che guida le miniere e la fabbrica, così come i 15.000 dipendenti del complesso, si definisce 'il re dei metalli leggeri'. Insiste che il complesso funziona a piena capacità, ma altre fonti presentano un quadro ben diverso, con una produzione ben lontana dalla capacità massima e un'eccedenza di dipendenti. Eppure, un grande interesse nei confronti di questa azienda è stato dimostrato dal gruppo greco Mitilineos, il cui settore di attività principale è quello del commercio in metalli che vengono quotati presso la borsa di Atene. I rappresentanti di questa azienda affermano di avere investito, a partire dalla firma di un contratto con Trepca nel 1996, ben 517 milioni di dollari per la ripresa della produzione. Trepca è uno dei due complessi che il governo della Serbia considera come uno dei 'gioielli della corona' delle ormai imminenti privatizzazioni. L'altro e il RTB Bor, che possiede miniere di rame e oro e che, con l'eccezione della Russia, è il secondo produttore di rame d'Europa. 'Alcuni investitori stranieri esitano, ma si tranquillizzeranno quando vedranno quanto esportiamo', racconta Novak Belic. 'Li porto nelle miniere a 1.00 metri di profondità e poi li riaccompagno a Belgrado in elicottero e sono contenti... dico loro che gli europei sono stupidi. Pensano di potere fare soldi solo nell'Unione Europea. Qui noi abbiamo aumentato l'utile di 18 volte'. L'impero di Trepca, fondato da una compagnia mineraria britannica nel 1920 comprende oggi 32 città, 14 miniere di piombo e zinco in tutta la Serbia, due fabbriche per la lavorazione dei metalli e perfino un'azienda agricola nella Serbia settentrionale. Per gli oltre 10.000 albanesi che un tempo lavoravano qui, nei dintorni di Kosovska Mitrovica, le miniere rappresentavano il centro della loro comunità e l'unica fonte di mezzi di sostentamento. Questa realtà si è infranta nel 1989, quando i minatori di Stari trg hanno effettuato uno sciopero di otto giorni, protestando contro l'intenzione da parte di Slobodan Milosevic di centralizzare il potere e di cancellare l'ampia autonomia del Kosovo. I minatori affermavano di volere salvare la "vecchia Jugoslavia". Belgrado li ha bollati subito come "separatisti" e li ha arrestati. Burhan Kavaja, albanese, a quei tempi era direttore generale e ha fatto 14 mesi di prigione a causa del suo ruolo durante le proteste. Oggi, disoccupato coma la maggior parte dei minatori di etnia albanese, conduce una campagna per respingere gli investitori stranieri. 'Trepca è qualcosa per cui gli albanesi darebbero la vita', dice Kavaja. Bijelic, insistendo che il complesso lavora al pieno delle sue capacità, afferma che [...] sette investitori stranieri sono interessati, ma rifiuta di nominarli. Per quest'anno si prevede una produzione per 370 milioni di dollari, di cui 129 destinati all'esportazione [anche se molti contestano queste cifre ottimistiche, affermando che il complesso non è in grado di pagare nemmeno l'elettricità e l'acqua che utilizza]. Kavaja afferma che ai suoi tempi 2860 minatori producevano 850 mila tonnellate all'anno, mentre attualmente la cifra è di due volte inferiore, con soli 730 operai impiegati. Il contratto del 1996, che ha una validità di cinque anni, dà alla Mitilineos il diritto di comprare da 60 a 70 tonnellate di zinco e piombo a prezzi inferiori a quelli di mercato. In questo modo l'azienda greca, che prevede di investire anche nella RTB Bor, gode di un diritto di veto sulla futura vendita di Trepca nell'ambito delle privatizzazioni. In cambio, i greci devono realizzare la modernizzazione del complesso, assicurare le materie prime per il lavoro, così come forniture aggiuntive di concentrato di piombo e zinco dalle sue miniere in Macedonia o dai mercati internazionali. Evangelos Mitilenos, direttore esecutivo del gruppo greco, ha dichiarato ad Atene di avere deciso un'intensificazione dei lavori di modernizzazione di Trepca, approvando un investimento aggiuntivo di 40 milioni di dollari. Al "Financial Times" ha dichiarato: 'I risultati del complesso saranno migliori di quelli che vi aspettate, vista la situazione. Per esempio, presto avremo una commessa per 2500 tonnellate di metalli dall'Italia. Si tratta di un'enorme commessa per il settore del piombo". (fonti: come citate nel testo - selezione e traduzione dall'inglese di A. Ferrario)
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