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I Balcani


NOTIZIE EST #54 - JUGOSLAVIA/KOSOVO
13 giugno 1998

IL KOSOVO IN FIAMME
di Zoran B. Nikolic

Fonti vicine al Ministero degli Interni serbo hanno riferito il 3 giugno a Pristina che le operazioni si sono concluse a Decani con successo. Ciò significa che la strada Pec-Decani-Djakovica è stata finalmente aperta al traffico, significa che la corrente elettrica e i collegamenti telefonici sono stati reinstaurati, significa che i camion che trasportano cibo hanno ripreso a recarsi a Decani, Babaloc e a rifornire le unità dell'Esercito jugoslavo di stanza lungo il confine con l'Albania, significa che oltre 100.000 profughi sono tornati alle loro case. Ma queste dichiarazioni sono false e nulla di tutto ciò è accaduto nella realtà. Un reporter che avesse voluto andare a Pec e a Decani il 3 giugno non avrebbe potuto farlo perché la polizia vietava a tutti l'accesso. Fonti degli albanesi del Kosovo riferiscono che i villaggi vicino a Decani venivano ancora bombardati il 2 giugno in piena notte, mentre i rappresentanti dell'UNHCR e della Croce Rossa in Albania confermavano che il flusso dei rifugiati dal Kosovo proseguiva. L'operazione di Decani ha avuto molte "conclusioni" come quella sopra descritta, per esempio il 29 maggio scorso.

Tre poliziotti serbi sono stati uccisi, dieci feriti e due risultano dispersi, nell'ultima operazione, descritta da alcun osservatori occidentali come la più grande operazione armata nei Balcani dopo la "Tempesta" croata del 1995. [...] Ci sono state numerose schermaglie a Decani e nei villaggi vicini fino alla seconda metà di marzo, quando nell'area è scoppiata una guerra su piena scala. L'"Operazione Decani" è cominciata il 23 maggio, quando due veicoli dell'Esercito jugoslavo sono stati attaccati in prossimità del villaggio di Prilep. In conseguenza di tale attacco, la strada Decani-Djakovica è stata completamente chiusa al traffico. Due giorni dopo, veicoli civili sono stati oggetto di colpi di fuoco sulla strada Decani-Pec, vicino al villaggio di Istnic. Decani è stata così tagliata fuori dal resto del mondo. La popolazione serba e montenegrina di Decani, così come le unità dell'Esercito jugoslavo nella caserma di Huljaj e nella base di confine di Morina, sono state tagliate fuori da ogni rifornimento di cibo. Gli scontri sono continuati su entrami i lati della strada Decani-Djakovica per due mesi. Le pattuglie di frontiera hanno proseguito con difficoltà a cercare l'infiltrazione di uomini e armi dall'Albania, soprattutto a partire dalla seconda settimana di aprile. La polizia serba ha fatto alcuni inutili tentativi di "ripulire" il villaggio di Glodjani, dove gli albanesi locali hanno creato una base. Diverse miglia più oltre ci sono due villaggi con un nome identico - Babaloc, i cui abitanti sono nemici giurati. I serbi e i montenegrini che vivono in 122 case sulla collina sono fuggiti dall'Albania nel 1990. Sono stati persuasi dalla polizia a insediarsi a Babaloc e hanno avuto il loro primo conflitto con gli albanesi del luogo nel gennaio del 1996. Due albanesi di Decani sono stati uccisi in un violento scontro scoppiato in quella occasione. Un villaggio con 160 famiglie albanesi si trova a sole tre miglia di distanza. Quasi ogni sera si sentono provenire spari dal villaggio. I profughi serbi e montenegrini hanno lasciato Babaloc per andare a Decani il 20 aprile, ma le autorità li hanno rispediti a "casa" non appena sono giunti.

Dopo avere passato un mese sotto assedio, le poche famiglie serbe e montenegrine rimaste sono fuggite dai villaggi intorno a Decani abbandonando il loro bestiame alle stalle del monastero di Visoki Decani. Sei scuole albanesi e una serba della municipalità di Decani sono state chiuse a marzo, mentre le donne e i bambini di nazionalità serba sono stati fatti evacuare a fine aprile. I negozi, i forni e le farmacie hanno chiuso subito dopo che gli scontri si sono estesi alla città. Circa 200 serbi e montenegrini sono rimasti intrappolati a Decani. Le forze della polizia, che controllano solo un raggio di 50 metri intorno al loro posto di guardia nella città e mezzo chilometro della strada che porta al monastero (che è sorvegliato dall'esercito), sono riuscite a fare evacuare 150 di lkoro a Pec nei primissimi giorni. A Decani sono rimasti solo 500 albanesi, la maggior parte di essi è fuggita.

La strada Pec-Djakovica rimane deserta a partire dal tramonto ormai dall'ultima settimana di aprile, la i rifornimenti alle guardie di confine jugoslave sono stati completamente tagliati quando la strada è stata chiusa del tutto. Ciò ha messo in pericolo il confine ed è questo il motivo per cui la polizia ha lanciato una controffensiva il 25 maggio, dopo un incidente nel villaggio di Streoci. Fonti albanesi affermano che 11 villaggi vicino a Decani sono stati bombardati quel giorno, mentre la polizia conquistava il villaggio di Ljubenic. "Portavano gli uomini fuori dalle loro case e li uccidevano sparando", racconta un testimone oculare albanese. La sola famiglia Hamza ha avuto otto uomini uccisi. Un ufficiale di polizia è stato ucciso da una mitragliata a Streoci ed è morto lo stesso giorno. I combattimenti sono proseguiti nella stessa città di Decani e la città è stata bombardata il giorno successivo. Gli albanesi dicono che la polizia ha messo uomini con mitragliatori su tutti gli edifici alti, ma non possono confermare che essa abbia ucciso qualcuno. Le due parti del conflitto sono rimaste bloccate in una situazione stallo per i due giorni successivi e gli scontri si sono estesi a Babaloc, dove i profughi serbi attendevano ancora l'evacuazione. Due poliziotti sono risultati dispersi in questo villaggio il 25 maggio, mentre un albanese è stato ucciso due giorni dopo. Fonti albanesi dicono che è morto "difendendo il suo villaggio". Forti scontri sono continuati anche venerdì 29 maggio, quando un posto di polizia e un convoglio di approvvigionamento stono stati attaccati. La polizia è stata oggetto di fuoco anche a Streoci e nel vicino villaggio di Rastavica, con la conseguente controffensiva per respingere gli assalitori. Gli albanesi si sono ritirati verso il confine albanese, a ovest, e i villaggi di Glodjani e Jablanica vero est. L'inseguimento è proseguito tutta la notte. La polizia dice di avere trovato dei bunker con cibo e armi in tutti i villaggi dai quali era fatta oggetto di colpi. A Ljubenic e Celopek sono stati trovati ospedali equipaggiati con attrezzature mancanti dall'ospedale di Pristina. Ironicamente, due dottori serbi sono stati arrestati quando il furto all'ospedale di Pristina è stato scoperto.

Un convoglio e un numero limitato di autobus sono riusciti ad andare da Pec a Djakovica e la polizia si è affrettata a dire che l'operazione era stata chiusa con successo. Gli incidenti, tuttavia, non sono mai smessi. Due poliziotti sono stati feriti e due albanesi sono stati uccisi a Streoci nella giornata di sabato. Gli albanesi dicono che sei bambini e due adulti sono stati feriti nello stesso giorno a Istnic. Le cose sono passate dal male al peggio domenica. La polizia è stata oggetto di fuoco a Istnic, Crnobreg, Beleg e Vranoc, e un suo uomo è morto per le ferite riportate. La polizia dice di avere eliminato "dozzine di terroristi" nel contrattacco.

Fonti albanesi dicono che la polizia ha bombardato Decani e distrutto molte case, la notte scorsa. I villaggi vicini sono stati anch'essi bombardati e i campi intorno a Decani erano cosparsi di cadaveri. Un gruppo di guerriglieri albanesi è stato respinto, mentre un altro è stato circondato in un'area che si trova tra i villaggi di Prilep e Rastavica. Il gruppo ha combattuto contro la polizia tutta la notte e il conflitto si è intensificato la mattina successiva, quando sono giunti i rinforzi dai villaggi confinanti. La polizia è riuscita ancora a respingerli e successivamente ha bombardato Glodjane, Babaloc e i villaggi confinanti. Combattimenti sono stati segnalati anche a Junik, il principale villaggio albanese lungo il confine.

Il convoglio di rifornimenti è stato nuovamente attaccato martedì alle 4 del mattino. Durante questo attacco a Crnobreg è stato ucciso un poliziotto. Gli assalitori sono stati respinti e la polizia ha detto nuovamente che la missione è stata portata a termine. Troupe della televisione di Pristina [controllata dalle autorità serbe - N.d.T.] sono arrivate a Decani e hanno trasmesso il "ritorno alla vita" della città. Hanno girato immagini del centro della città, dove non vi sono segni visibili dei combattimenti.

"Tutto ciò potrà finire solo se bruceranno ogni cosa lungo un tratto di cinque miglia su entrambi i lati della strada", dice un reporter albanese di Pristina. Un poliziotto locale condivide la sua opinione. "O li uccidiamo, o li scacciamo via, è assurdo continuare così", dice. La terra non è ancora tutta bruciata, ma sia i civili che la polizia si stanno ritirando mentre le unità albanesi avanzano. I rifugiati continuano a giungere in Albania dall'altra parte del Monte Junik. La gente si sposta da un villaggio all'altro cercando riparo, ma la polizia non controlla più la Metohija [così i serbi chiamano il Kosovo occidentale - N.d.T.] centrale e c'è più di un uomo armato tra i profughi di etnia albanese. Si sono scontrati con la polizia a Malisevo, lunedì scorso, e sono stati costretti a ritirarsi verso il Monte Milanovac, vicino ad Orahovac. L'esercito jugoslavo si è appellato agli abitanti dei villaggi di confine affinché tornino alle loro case per cercare di separare i guerriglieri dalla popolazione non armata. L'appello è stato trasmesso continuamente dalla radio di Djakovica, ma è improbabile che gli albanesi risponderanno. E' più probabile invece che l'enorme flusso di profughi creerà tensioni ancora maggiori in Metohija. Un'unità dell'esercito jugoslavo dispiegata tra Stimlje e Suva Reka è stata attaccata il 3 giugno. Un altro punto critico sulla mappa è la città di Pec, che è piena di profughi, mentre intensi combattimenti sono in corso a solo due chilometri di distanza nel villaggio di Raocic, in direzione di Decani. Ovunque ci si diriga, partendo da Pec, non è possibile fare molta strada. Comunque, l'obiettivo dell'operazione Decani non era quello di una soluzione permanente della crisi. E' più probabile che il suo scopo fosse quello di assicurare le comunicazioni con i posti di guardia al confine e ottenere poi qualche giorno di tregua. [...]

(fonte: "Vreme", 6 giugno 1998 - traduzione dall'inglese di A. Ferrario)